TITOLO ORIGINALE: Pieces of a Woman
USCITA ITALIA: 7 gennaio 2021
USCITA USA: 30 dicembre 2020
REGIA: Kornél Mundruczó
SCENEGGIATURA: Kata Wéber
GENERE: drammatico
PREMI: COPPA VOLPI per la MIGLIORE INTERPRETAZIONE FEMMINILE
Durante un parto casalingo, Martha e il compagno Sean perdono la figlia per via di un apparente errore dell'ostetrica venuta in loro soccorso. Ispirandosi ad una pièce teatrale da loro scritta sulla base di un evento accadutogli quando ancora erano una coppia, Kornél Mundruczó alla regia e l’ex-moglie Kata Wéber al tavolo della sceneggiatura firmano un dramma familiare e femminile dalle grandi sorprese, nel bene e nel male. Un piano sequenza di 23 minuti che rasenta la perfezione tecnica, interpretativa, sensiva e di scrittura; così vero da essere quasi intollerabile, apre il sipario su uno sviluppo, per contro, eccessivamente artificioso, parziale e simbolico che, di quell’incipit, conserva solamente il livello attoriale, la perizia registica e l’ottima caratterizzazione della protagonista.
Possono un piano sequenza di 23 minuti ed una prova attoriale fragile, sofferta ed espressiva determinare la riuscita di un film lungo poco più di due ore? Questa è solo una delle possibili domande - probabilmente una delle più importanti - che potrebbero sorgervi una volta ultimata la visione di Pieces of a Woman e a cui, con questa recensione, vorremmo trovare risposta. Approdata sulla piattaforma streaming Netflix a mesi di distanza dalla sua vittoria alla 77esima edizione della Mostra del cinema di Venezia [la giuria ha premiato Vanessa Kirby con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, ndr], la pellicola, prodotta da Martin Scorsese e da Sam “Euphoria” Levinson, costituisce il primo approccio al mercato nordamericano e statunitense da parte del regista ungherese Kornél Mundruczó, che, per l'occasione, traspone su schermo uno spettacolo teatrale, da lui ideato insieme all’ex-moglie Kata Wéber, basandosi su un’esperienza avvenutagli quando ancora erano una coppia.
Infatti, in seguito ad una gravidanza fallimentare, i due persero il figlio che stavano attendendo ed è quantomeno evidente come la pièce prima e il film poi rappresentino per loro una sorta di elaborazione del lutto, conseguente e derivante da suddetto trauma. Martha (Vanessa Kirby), la protagonista del film Netflix, può essere vista quindi come un simil-alter ego della Wéber che, durante un parto in casa, perde la propria bambina a causa di un presunto errore dell'ostetrica venutale in soccorso. Il lutto travolge e distrugge completamente la vita della ragazza e i rapporti con tutti coloro che la circondano, incluso quello con il compagno Sean (Shia LaBeouf), che, ben presto, sprofonda nuovamente nell’oblio fatto di vizi e dipendenze da cui si era ripromesso di stare alla larga.
In tal senso, mai titolo fu più azzeccato: “Pieces of a Woman” esprime perfettamente lo stato d’animo e il tracollo emotivo sperimentato da Martha, che, a fronte dello choc subito, si frantuma, per l’appunto, in mille pezzi. Ciò nonostante, il titolo dell’opera di Mundruczó/Wéber non limita i propri significati al mero e superficiale incipit narrativo, ma può essere inteso anche sotto un profilo registico e narratologico.
Da un lato infatti, la macchina da presa porta su schermo una rappresentazione parcellizzata e frammentata di questa “Woman”, dando vita, attraverso inquadrature focalizzate su particolari del suo corpo - una mano, il ventre o il viso inumidito dalle lacrime -, ad un ritratto sconnesso e destrutturato che spetterà al pubblico ricomporre. Dall’altro lato invece, la sceneggiatura interpreta il titolo in modo ben più letterale: mediante una struttura ellittica, il racconto filmico presenta allo spettatore - sullo sfondo della costruzione di un ponte - otto giornate (per sette ellissi) della vita di Martha concomitanti e successive alla perdita della figlia, mostrando a tutti gli effetti i Pezzi (di vita) di una Donna. Pertanto, da un punto di vista attuativo potremmo interpretare il titolo come Una donna a pezzi, mentre a livello narrativo è giusta la traduzione letterale.
Unitamente alla narrazione, in sede di analisi e recensione, anche il film in quanto elaborato potrebbe essere frazionato (in questo caso, bipartito). Come suggerito in apertura, è possibile dividere l’opera di Mundruczó/Wéber in due unità differenti e differenziate per durata, ritmo, ma soprattutto qualità produttiva e di scrittura. La prima delle due corrisponde al prologo, all’azione scatenante il dramma e la frattura psicologica di Martha, all’ultimo atto d’amore che vedremo su schermo. In poche parole, al parto e alla morte della neonata, che il regista sceglie di girare completamente in piano sequenza.
Il risultato finale è forse uno dei momenti cinematografici più alti che vedremo in questo 2021; la commistione ineccepibile e sinergica di tutte le anime produttive della pellicola; la perfezione sotto forma di immagini in movimento. Far coincidere per 23 minuti il tempo della storia con quello del racconto si rivela una scelta funzionale e funzionante che - sfruttando l'immedesimazione, l’espressività e la voce degli interpreti [consigliamo la visione in lingua originale], l’ambientazione claustrofobica, movimenti di macchina estremamente ravvicinati (e perciò soffocanti) e dialoghi concreti e plausibili - dà vita ad una coreografia paradossalmente naturale e spontanea, cruda e viscerale, corporea e carnale, unica ed irripetibile che sommerge e disorienta lo spettatore, il quale si riconosce ed identifica immediatamente con Martha e il suo dolore pre, durante e post-parto.
23 minuti sono tutto ciò che basta a Pieces of a Woman per lasciare una traccia indelebile nella mente, nel cuore e nelle viscere di chi guarda. Peccato soltanto che la restante ora e mezza, nonostante ci provi in tutti i modi, e con un altro paio di piani sequenza, non riuscirà mai più a replicare l’alchimia, l’afflato, le sensazioni e l’indiscutibile perfezione di un incipit così vero e dinamico, arenandosi per giunta su soluzioni narrative e visive monotone, spicciole ed estremamente retoriche, su caratterizzazioni superficiali e parziali e su una trattazione tematica tutt’altro che brillante. Non ci riusciamo proprio a capacitare di come Mundruczó/Wéber possano aver concepito un tal orgasmo cinematografico per poi sminuire e sminuirsi con uno sviluppo che conserva intatti ben pochi elementi di quel folgorante preludio.
Tra questi, è d’obbligo citare il personaggio di Martha - fulcro degli eventi, ma anche unico vero focus della sceneggiatura della pellicola; la sola a mantenere un ottimo livello di struttura ed un’evoluzione coerente e ragionevole -, le interpretazioni che, a loro modo, riescono a riabilitare in parte uno script impreciso e la regia di Mundruczó che - pur mostrandosi incredibilmente depotenziata rispetto agli standard stabiliti in precedenza e restia, quasi pudica, nel mostrare integralmente e femminilmente il corpo della Kirby e le sue voluttuosità (con quello di LaBeouf avviene l'esatto contrario) - persevera in maniera egregia quel gioco di scomposizione e ricomposizione summenzionato.
Dunque, i veri problemi che affliggono Pieces of a Woman sono insiti non tanto nel comparto tecnico-estetico - il quale si attesta su livelli produttivi consueti, soprattutto in materia di originali Netflix -, quanto nella sceneggiatura firmata dalla sola Kata Wéber. Se alcuni di questi sono praticamente innocui, altri, col passare dei minuti, si trasformano in veri e propri crateri.
Ci riferiamo, ad esempio, alla mancanza di un contraltare tematico ed ideologico forte e convincente, al pari di quello rappresentato e difeso da Martha (e quindi dallo spettatore); ad una critica, presente ma fin troppo di contorno, nei confronti di una società sempre alla ricerca di un capro espiatorio, di qualcuno o qualcosa su cui riversare colpe e frustrazioni (basti vedere il processo ai danni dell’ostetrica: sembra quasi costruito ad hoc per accusarla e, con ciò, aborrire la pratica del parto casalingo); e alla banalità con cui si arriva a trattare tematiche post-mortem come autopunizione, rimpianto, depressione e rottura del rapporto coniugale.
In merito al primo punto - da cui poi derivano e dipendono i due successivi -, esso è perfettamente riassumibile ed identificabile nel personaggio di Sean, interpretato da uno Shia LaBeouf orso, non abbastanza struggente e fin troppo miserevole. Ed è questo il difetto principale di Pieces of a Woman: i (pochissimi) maschi. O meglio, come sono caratterizzati. Non fraintendeteci, così dicendo non vogliamo assolutamente dare luogo ad un discorso di parità di genere. Tuttavia, ci sembra corretto valutare e denotare come la scrittura prediliga un approfondimento della porzione femminile del racconto, a discapito di un’adeguata costruzione della controparte maschile. E, trattandosi di un racconto sulla perdita traumatica di una figlia, questa devozione femminile non sarebbe nemmeno un errore. Purtroppo, la sceneggiatura di Kata Wéber si spinge troppo oltre e, nel tentativo di raccontare questo dramma materno sofferto e sofferente ed esaltarne l’anima muliebre, rompe l’equilibrio tra le parti.
Ecco quindi che gli uomini di Pieces of a Woman diventano figuri zotici, rozzi, egoisti, individualisti [non a caso Sean si paragona ad un gatto e non ad un cane, ndr], irresponsabili, instabili, e tutto ciò che di negativo vi possa passare per la mente, a dimostrazione di una scrittura fin troppo artificiosa, demonizzante e dissimulatrice. Non ci saremmo mai aspettati una virata così sproporzionata da parte di un’autrice che, solo qualche decina di minuti prima, era riuscita a far centro emotivamente e cinematograficamente parlando.
Un’ultima grande ingenuità di questi Pezzi di una donna è senz’altro l’eccessivo simbolismo e la metaforizzazione che, da metà film in poi, prende il sopravvento, imponendosi su narrazione e messa in scena. Seppur gestita con attenzione e in modo sapiente, sul lungo termine questa predominanza allegorica e figurativa finisce per cozzare prepotentemente con il realismo e la crudezza di quei fantomatici 23 minuti.
Il cappotto rosso indossato da Martha nel primo tempo [quasi ad indicare la rabbia, la collera e l’ira derivanti dalla perdita subita] e il vestito blu del finale [simbolo di serenità e tranquillità]; la passione per la germinazione come superamento del lutto; il ponte in costruzione come specchio della ricostruzione psicologica ed individuale intrapresa da Martha verso l’epilogo; la storia di un altro ponte - il Tacoma -, crollato in maniera del tutto inspiegabile (o forse per un fenomeno naturale e spontaneo) sulla falsariga della morte, fortuita ed imprevedibile, della neonata; lo stesso finale [simile, per certi versi, a quello di 1917 di Sam Mendes] che, avvolto nel mistero della sua natura (un sogno? una fantasia? la realtà?), fonde idilliacamente i due concepimenti della protagonista: immagini e metafore di certo semanticamente pregevoli, ma tutt’altro che inedite o perlomeno stimolanti.
In definitiva, rispondendo dunque alla domanda posta in apertura, possono un piano sequenza di 23 minuti ed una prova attoriale fragile, sofferta ed espressiva determinare la riuscita di un film lungo poco più di due ore? Non certo se lo sviluppo consecutivo a quei 23 minuti è come quello di Pieces of a Woman che, all’infuori di un paio di interpretazioni convincenti, un comparto tecnico di tutto rispetto ed un simbolismo accorto ma fin troppo preponderante e, alle volte, retorico, presenta ben pochi elementi degni di nota e, soprattutto, di lode.
Uomini-gatto infimi, recidivi e traditori, interessati solo alla preservazione della loro virilità e alla soddisfazione del proprio membro, donne che “si fanno la guerra” a vicenda senza interrogarsi e riflettere sulla condizione mentale ed emotiva di chi le circonda e pezzi che si ricompongono per retorica, modi di dire, pianti e alberi di mele: tanto basta a Pieces of a Woman per sotterrare il ricordo e il brivido di un parto virtuoso e magniloquente, così vero da essere quasi intollerabile.
Sei d’accordo con la nostra recensione? Se sì, lascia un like e condividi l’articolo con chi vuoi.
In più, per non perdere nessun’altra pubblicazione, assicurati di seguirci sulle nostre pagine social e di iscriverti alla nostra newsletter.