TITOLO ORIGINALE: Raya and the Last Dragon
USCITA ITALIA: 5 marzo 2021
USCITA USA: 5 marzo 2021
REGIA: Don Hall, Carlos López Estrada, Paul Briggs, John Ripa
SCENEGGIATURA: Adele Lim, Qui Nguyen
GENERE: animazione, azione, avventura, fantastico
PIATTAFORMA: Disney+
In seguito al tradimento degli altri sovrani del mondo di Kumandra e alla rottura di una preziosa e potente gemma - che ha condotto all’invasione e distruzione dei malvagi Druun e alla pietrificazione del padre -, la principessa Raya parte all’avventura per ritrovare Sisu, l’ultimo drago, e riportare tutto come prima. Con Raya e l’ultimo drago, la Disney sembra aver imparato dai propri errori (vedi Frozen II e Mulan, per quanto riguarda il live action), confezionando un fantasy d’avventura dall’intreccio forse semplice e perlopiù prevedibile, ma con tutti i crismi del caso, successivamente collimato e ristabilito da una grande capacità e senso del worldbuilding, da sequenze d’azione frenetiche ed ottimamente dirette e da una tecnica d’animazione con pretese pseudo-fotorealistiche. A mani basse, una delle esperienze visivamente più appaganti ed emozionalmente più coinvolgenti dell’anno.
Kumandra è un mondo molto simile al nostro, architettato e forgiato dai draghi - che diventano pertanto oggetto di culto e venerazione - millenni or sono. Il potere di tali magnifiche creature garantisce l’acqua e, con essa, sostentamento, armonia e vita. Un giorno, il florido e rigoglioso mondo di Kumandra viene però invaso dai Druun, mostri senza intelletto capaci di pietrificare ogni creatura gli si pari di fronte, che, sfruttando la debolezza degli esseri umani, gettano il mondo e i suoi abitanti nel caos più totale. Anche i draghi, nientemeno che l'ultima difesa di Kumandra, vengono sconfitti e trasformati in statue.
Tuttavia, prima di esalare il loro ultimo respiro, questi decidono di sacrificare la loro vita per il bene dell’umanità, imprimendo i loro poteri in una gemma, poi affidata al drago più giovane di tutti loro, Sisu, che scompare nel nulla, ponendo fine all'attacco dei malvagi Druun. Purtroppo, come sempre accade, in seguito a questa completa sparizione dei garanti di pace e armonia, i popoli di Kumandra iniziano ad erigere muri e a tracciare confini, dividendo il mondo in cinque regni: Cuore, Zanna, Dorso, Coda e Artiglio; e iniziando a combattersi a vicenda. Cuore, il regno sorto sulle rovine dell’antico scontro tra draghi e Druun, è il custode della gemma di Sisu e perciò viene visto con ancor più astio e diffidenza da tutti gli altri popoli che, ovviamente, vorrebbero mettere le mani su un tale potente e misterioso artefatto.
Cinquecento anni dopo, a comando di Cuore vi è Benja, sovrano saggio e mite - padre della ben più vivace ma fedele Raya -, che, spinto da intenzioni riappacificanti, decide di invitare nelle sue terre tutti i popoli di Kumandra. Sfortunatamente, questa lodevole iniziativa - che avrebbe potuto significare un importante primo passo verso un futuro più rigoglioso e sereno - si trasforma in un’opportunità irrinunciabile per gli altri regni - soprattutto per quello di Zanna -, che decidono infatti di tradire Benja e sottrargli la gemma. Tuttavia nel farlo, l’artefatto si frantuma, risvegliando i Druun, che pietrificano, tra i tanti, il re di Cuore, e condannando Kumandra alla distruzione. Addolorata per la perdita del padre, alla principessa Raya rimane solo una cosa da fare: ritrovare Sisu, riunire i cinque frammenti della gemma e riportare Kumandra al suo vecchio splendore.
59° classico d’animazione della casa di Topolino, Raya e l’ultimo drago è la riprova - a seguito del remake live action di Mulan - dell’attuale interesse e del richiamo che la Disney prova nei confronti di miti, leggende, mondo, pensiero, spiritualità, vestiario, usi e costumi, architetture e cultura del mondo indo-asiatico. Lasciamo dunque le lande innevate di Arendelle - e, con esse, l’immane delusione concernente il secondo capitolo, scontato e accondiscente, delle avventure di Elsa & co. - e tuffiamoci nella ben più entusiasmante ed imprevedibile Kumandra. Infatti, Raya e l’ultimo drago riaccende e avvalora - nuovamente e fortunatamente - la capacità disneyana nella costruzione di mondi magici e compositi, geograficamente variegati, storicamente idealizzati, culturalmente affascinanti, narrativamente vivi e dalle inesauribili potenzialità immaginifiche e creative.
In tal senso, Kumandra - una sorta di melting pot di Thailandia, Vietnam, Cambogia, Birmania, Indonesia, Filippine e Laos - rappresenta un palcoscenico variopinto, multiforme, elaborato ed eclettico, animato da popoli non certo equamente ed adeguatamente approfonditi, ma fin da subito riconoscibili a livello estetico-visivo.
Ultimogenito di una lunga serie di universi altrettanto straordinari - quelli di film dell’epoca revival Disney come Ralph Spaccatutto, Big Hero 6 e Zootropolis -, il mondo di Raya costituisce forse l’elemento di miglior fattura ed ispirazione del mosaico filmico, nonché più importante ai fini della sua riuscita complessiva, regalando allo spettatore un’immersione ed un coinvolgimento unici ed immediati e portandolo naturalmente e successivamente a volerne scoprire ed esplorare ogni minimo anfratto.
Come si suol dire, “chi ben comincia è a metà dell’opera”. Sempre nella speranza - sia chiaro - che, così come nel caso del sopracitato Frozen II, gli autori e i creativi Disney non ne limitino le possibilità a partire dal (possibile) sequel.
La capacità nel cosiddetto worldbuilding non è però il solo pregio di Raya e l’ultimo drago. Come affermato prima, questo mondo così affascinante e così composito ospita infatti tutta una serie di personaggi e creature più o meno realistici. Anche in questo senso, la major sembra aver imparato dagli errori del passato, dando vita ad un ensemble di figure che non lascia trasparire alcuna preferenza di caratterizzazione o dislivello in termini di importanza e centralità scenica. Con Raya, ci si trova dunque di fronte ad un film corale vero e proprio, oltre che del tutto divergente rispetto alla strada intrapresa da Jennifer Lee con Frozen II - in cui le attenzioni convergevano interamente su Elsa e sulla sua evoluzione, a discapito di una corretta (e quantomeno necessaria) crescita di tutti coloro e di tutto ciò che la circondavano e accompagnavano nel suo cammino di crescita.
Raya (la voce originale è di Kelly Marie Tran) è dunque una protagonista e principessa caratterialmente canonica sia in una chiave classica (fedelmente ad uno dei topoi più ricorrenti della produzione disneyana, ella diventa un’eroina in seguito ad un grave lutto familiare) sia in chiave revival Disney (giacché si presenta come un personaggio estremamente emancipato ed indipendente). Tuttavia, ciò che la differenzia veramente rispetto anche solo ad un’Elsa o ad una Vajana è il mostrarsi come una protagonista tutt’altro che impeccabile od incensa, l’avere ben poco da principessa, il venire spesso mostrata a sfavore di camera, rabbiosa, fallace, imperfetta e viziosa, ma soprattutto il fatto che ogni sua scelta, mossa o risvolto di caratterizzazione sia dettato da un rapporto di consequenzialità, da un evento precedente che l’ha segnata indelebilmente e da un’interiorità profondamente umana.
Si abbandona quindi la chiamata all’avventura proveniente dall’alto, da un’entità suprema o da concetti assoluti ed astratti come il destino, il sacrificio o il caso, a favore di un prototipo eroico terreno, concreto, reale e coerente con la storia individuale e collettiva del mondo d’appartenenza. Lo spettatore percepisce, di conseguenza, una logica e naturale empatia con il personaggio di Raya, con la sua franchezza, il suo umorismo sardonico, la sua pseudo-normalità (siamo comunque in un mondo magico e fantastico) e le sue debolezze tipicamente umane. Anche in quei momenti in cui le scelte che compie sono fondamentalmente sbagliate.
Unitamente alla principessa di Cuore, il racconto di questo 59° classico Disney è caratterizzato da una serie di comprimari che - pur essendo, per l’appunto, comprimari - godono di un design e di un’estetica accattivanti e di spazio e momenti a sufficienza per imprimersi a forza nella mente e nel cuore del pubblico.
Tra questi, è d’obbligo citare la seconda vera protagonista, Sisu (in originale, Awkwafina), l’unica vera creatura parlante della pellicola, nonché sua guida morale e moralizzante e principale comic-relief; Tuk Tuk, animale da compagnia di Raya che, pur non disponendo della facoltà di parola, apporta quell’elemento grazioso (e lucrativo in ottica di merchandising) al mosaico filmico; Boun, un ragazzino di 10 anni segnato anch’esso da un lutto, ora gestore di un ristorante sull’acqua, e Noi e dei suoi tre Ongi - forse i personaggi più di contorno, ma a cui sono riservate, nonostante l’età e la statura, alcune sequenze di grande comicità -; e Tong, il consueto gigante buono su cui torneremo tra qualche riga, poiché esempio di una dinamica narrativa precisa e propria dell'intreccio.
Giusti contraltari del dramma individuale della principessa - ma anche rappresentanti di un cordoglio e di un dolore collettivo - questi otto personaggi si affiancheranno a Raya nella sua missione salvifica ed eroica. Missione, quest'ultima, che la porterà a scontrarsi sia con i secondari e (volutamente) vaghi Druun sia con i governatori - su tutti, Virana, la regina di Zanna, e la figlia Namaari - dei vari regni di Kumandra, nei cui atteggiamenti e vizi si nasconde il vero male e villain della pellicola.
Sono infatti la cupidigia, la diffidenza, ostilità e inimicizia reciproca e gli inganni di questi sovrani ad aver permesso la seconda invasione dei Drunn e la conseguente distruzione di parte del mondo di Kumandra, che, in questo caso - malgrado la sua matrice fantastica -, condivide qualche punto di contatto con noi in quanto esseri umani e con il nostro e reale pianeta Terra.
Se ben ci si riflette, Raya e l’ultimo drago ci catapulta in un mondo in rovina, diviso e disilluso, abitato da popoli in costante conflitto tra loro, che ricorrono spesso all’inganno - quando non alle armi - per ottenere ciò che vogliono. Un mondo che, proprio a causa di questo clima di discordia e del comportamento avido, egoista e sfiduciato dei suoi abitanti, è sul punto di distruggere per sempre il suo ultimo baluardo (di speranza) contro la malvagità e la distruzione dei Drunn.
Stiamo parlando ovviamente della gemma di Sisu, che, al venir meno del frammento chiave (i draghi) di una sorta di ecosistema perfettamente magico, garantisce ancora acqua e salvezza a Kumandra: l’acqua è invero l’unica difesa rimasta all’umanità per tenere lontani i Drunn). Bene, se dall’equazione togliamo i Drunn e tutta la questione legata alla gemma di Sisu, otteniamo la perfetta fotocopia del pianeta Terra ora come ora: un mondo che sta soffrendo, al limite delle proprie risorse, funestato da conflitti, pregiudizio, ostilità e scissioni di varia natura.
Qualcuno potrebbe obiettare che tutta questa metafora moralizzante sia essenzialmente una delle più antiquate e convenzionali di sempre e che essa non sia neanche poi così approfondita dalla sceneggiatura del film. E questo qualcuno avrebbe pure ragione. Tuttavia - e considerato il target primario a cui quest’ultimo si rivolge -, bisogna constatare come tale messaggio (tra pacifismo, solidarietà ed ecologismo) non risulti di alcun peso o forzatura, ben confacendosi viceversa al racconto filmico, al modo in cui esso si sviluppa e dirama e alle sue pretese pedagogiche.
Torniamo quindi a parlare di target, ricordandovi che Raya e l’ultimo drago è prima di tutto un film fantasy d’avventura che, a livello narrativo e argomentativo (includendo anche quanto sopra), testimonia ancora una volta e ancor più chiassosamente la differenza editoriale e pre-produttiva dei prodotti della casa di Topolino (intesi come classici Disney) rispetto a quelli della divisione Disney Pixar. Pertanto, se quest’ultima dà origine a film come Inside Out, Up o Soul; a opere dunque che danno grande rilievo all’aspetto autoriale; a pellicole che di infantile hanno forse solo la comicità, dal momento che le tematiche affrontate sono decisamente e completamente rivolte ad un pubblico maturo e adulto; i Walt Disney Animation Studios preferiscono invece costruire film ben più classici e commerciali, con meno pretese sperimentali e ardite, destinati a tutti i differenti gradi di età e di pubblico.
Una politica produttiva ben definita, quella di Disney e dei suoi classici, che Raya perora e prosegue senza vergogna o ripensamenti. Infatti, salvo il messaggio pacifico-ecologista, l’opera si propone come una storia estremamente classica e lineare, fondata su concetti unanimemente ed universalmente comprensibili come amicizia, crescita individuale e fiducia (in sé stessi e negli altri), ma che preferisce, ciononostante, focalizzare tutte le proprie forze (e speranze di riuscita) sull’azione spettacolare, sul ritmo, sulla comicità - tra slapstick e gag facili ed immediate - e sulla messa in scena di un’esperienza cinematografica quanto più appagante e completa per tutti i tipi di audience, con particolare riferimento e attenzione alla fascia più giovane ed infantile. Il che potrebbe portare il film, come nel caso del già ampiamente citato Frozen II, sul baratro del già visto, del prevedibile, della monotonia.
A tal proposito, non vi nascondiamo di aver rivelato alcuni aspetti e risvolti scontati ed intuibili, e perciò controproducenti, durante il dipanarsi dell’intreccio. Questi vengono però bilanciati e collimati da un ingegno ed incastro creativo che sprigiona tutto il proprio potere e la propria magia nelle sequenze action - dirette in modo ineccepibile e contraddistinte da un dosaggio oculato di rallenti, piani sequenza e montaggio - e in quelle in cui Sisu tocca i vari frammenti, ottenendo così nuove e sorprendenti abilità; da un ritmo che non ammette interruzioni e cali, pure nei momenti più dialogati ed introspettivi; e da un movimento contrastante (e qui torniamo al personaggio di Tong) utile a sorprendere e produrre non pochi momenti ilari e ben congegnati.
Ogni nuovo sviluppo o introduzione narrativa si erge infatti su un contrasto tra aspettativa e realtà. Una dinamica, quest’ultima, che dà il meglio di sé in due particolari momenti del racconto: la prima apparizione di Sisu e il primo incontro con Tong.
Per quanto riguarda Sisu, il film riesce ad illuderci, anche solo per una decina di minuti, del fatto che le creature di Kumandra (come Tuk Tuk, per esempio) sia impossibilitati a parlare, per poi sorprenderci e sovvertire così questa flebile apparenza, facendoci udire - ancor prima che vedere - l’ultimo drago e la sua voce. Anch'essa un sovvertimento: la voce squillante e giovanile - ma anche l’atteggiamento piacione ed apparentemente ingenuo - di Sisu rovescia in parte lo stereotipo che vede i draghi come esseri austeri, saggi e solenni.
Nel secondo frammento riportato invece, Raya e il drago si risvegliano prigioniere di Tong, un abitante di Dorso che, vista la statura e la fisionomia, incuterebbe timore e soggezione a chiunque. Al contrario, nel dialogare con le sue due prigioniere, quest'ultimo mostra e rivela un lato tanto fragile e tenero, quanto profondamente impavido e premuroso. Ancora una volta, un sovvertimento di aspettative mediante e grazie ad una realtà inaspettata.
Unitamente a questa azione contrastante e all’ingegno ed intreccio creativo di alcune dinamiche, è d’obbligo citare - a sostegno e rivitalizzazione di una sceneggiatura che vede nella semplicità un qualcosa di contemporaneamente pregevole e difettoso - una tecnica d’animazione che punta ad uno pseudo-fotorealismo di corpi e modelli, senza però dimenticare uno slancio ed un dinamismo legati ad una concezione più tradizionale e classica del mezzo animato. Proprio come la struttura narratologica, anche il tipo di animazione adottato è sintomatico del confine editoriale che separa i prodotti Disney da quelli Pixar. Che separa dunque storie in cui l’elemento e la figura umana sono inserite in un contesto fantastico da altre ben più propense ed inclini ad abbracciare dimensioni spazio-temporali e iconografie ex-novo o quasi.
Ad ogni modo, pur non innovando e discostandosi in maniera eccessiva e tangibile rispetto alla produzione disneyana dell’ultimo decennio; a livello di concept e art design, di resa animata - spesso poetica - di ambientazioni e modelli e di fluidità dell’azione, Raya e l’ultimo drago è un autentico spettacolo per gli occhi. Uno spettacolo che - come altri prodotti simili - ci ricorda quanto sarebbe stata appagante una sua visione sul grande schermo.
Un universo dalle basi fondative semplici ma dalle possibilità immaginativo-creative praticamente sconfinate è pertanto la massima espressione astrattiva e attrattiva di una pellicola che vede nell’azione, nella magia, nella fantasia e nella loro ingegnosità, nel carisma dei propri personaggi (principali e non), nella magnifica ed emozionante colonna sonora di James Newton Howard (a differenza di altri classici, il film non comprende momenti prettamente musicali - il che, a nostro avviso, rappresenta un ulteriore incentivo per azione e ritmo) e nella regia animata un individuale e concreto rinascimento nei confronti di una sceneggiatura che , alla lunga, avrebbe potuto scoraggiare anche gli spettatori più fedeli ed affezionati.
Ed è solo in un secondo momento che suddetto rinascimento arriva ad estendersi al panorama extra-filmico, in termini di - come anticipato sopra - rivitalizzazione e risanamento del brand Disney in seguito ad un successo commerciale, ma non qualitativo, come Frozen II e ad un totale flop di critica e pubblico come il remake live action di Mulan (Raya potrebbe, in tal senso, aiutare la major a “recuperare” il consenso del mercato asiatico, che si era sentito offeso dal film di Niki Caro). Visto il risultato e le opportunità offerte, Raya e l’ultimo drago è, a tutti gli effetti, il franchise su cui - secondo noi - la casa di Topolino dovrebbe puntare nell’immediato futuro. E che dovrebbe trattare con i guanti di velluto, magari svecchiando leggermente l’impianto narrativo.
Vi invitiamo dunque a superare ogni possibile forma di preconcetto ed immergervi nel magico mondo di Kumantra e, con esso, nel racconto di Raya e l’ultimo drago: non certo un capolavoro o il miglior film Disney mai prodotto, ma probabilmente una delle avventure cinematografiche più affascinanti e coinvolgenti che avrete il piacere di vivere quest’anno.
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