TITOLO ORIGINALE: The Devil All the Time
USCITA ITALIA: 16 settembre 2020
USCITA USA: 16 settembre 2020
REGIA: Antonio Campos
SCENEGGIATURA: Antonio Campos, Paulo Campos
GENERE: drammatico, thriller
PIATTAFORMA: Netflix
Un racconto corale tra Ohio e Virginia Occidentale sviluppato attorno ad una polverosa e decadente scia di sangue che trascende il tempo. Antonio Campos e il fratello sono i creativi-autori dietro l’ultima produzione originale Netflix, Le strade del male. Noir-thriller dalle tematiche e dinamiche abbastanza tradizionali, il film è caratterizzato da un racconto e attuazione che, purtroppo, non oltrepassano mai i limiti della comfort zone: una regia che non si sbilancia ed una fotografia efficace ma ridondante sostengono una messa in scena espressiva e profonda e magnifiche interpretazioni. Il tutto coronato da una sceneggiatura argomentativamente limitata ma godibile e da una caratterizzazione dei personaggi tanto corretta quanto omologata. Un’opera buona, anche se fin troppo ordinaria.
Il destino. La casualità. La fatalità. La fortuna. La sfortuna. Il passato. Il presente. Il futuro. La vita. La morte. Cosa potrebbero mai avere in comune un reduce della seconda guerra mondiale, una coppia di serial killer, il predicatore di una piccola chiesetta di campagna, uno sceriffo e due orfani? La risposta è presto detta, dal momento che ognuno di loro condivide, così come tutta l’umanità, una vita determinata proprio dalla stessa serie di parole riportata poco sopra. Una vita basata su due specifici e particolari assiomi: la violenza, madre generatrice di ulteriore violenza, e la fede, cieca, indiscussa e malata. Come se non bastasse, ciascuno di loro è anche una pedina fondamentale all’interno del mosaico/odissea spazio-temporale de Le strade del male. Ultimissima produzione originale Netflix per la regia di Antonio Campos - nonché trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Donald Ray Pollock (che, nel film, “veste le corde vocali” del narratore) -, la pellicola si configura come un racconto corale ambientato tra Knockemstiff (Ohio) e Coal River (Virginia Occidentale) e sviluppato attorno ad una decadente scia di sangue che risponde a rancori e ad un tanto fervente quanto fasullo credo religioso. Come saranno pertanto queste “Strade”? Un’opera riuscita o un disastro totale? Asfaltate e dal passaggio confortevole o dissestate e piene di buche?
Innanzitutto, ai fini della recensione, è mio dovere illustrarvi le due caratteristiche principali su cui si erige l’intero progetto, ossia specularità e discontinuità. Il lungometraggio di Campos declina infatti questa coppia di elementi ad ogni comparto e particella produttiva: dalla regia alla sceneggiatura, dal montaggio alla messa in scena. Come avrete forse intuito, Le strade del male è un film costruito sulla base di due differenti linee temporali: una post-bellica che va dal 1945 al 1957 e un’altra più recente che prende il via nel 1965, in piena guerra del Vietnam. Tuttavia, la sceneggiatura prima, il montaggio poi, si divertono a intrecciare ed alternare lievemente (a volte, sotto forma di semplice rimando visivo) questi differenti archi narrativi, dando origine ad un racconto discontinuo, ma mai così tanto frammentato da risultare criptico. Allo stesso tempo, tale narrazione si compone di momenti, scenari e situazioni che, ripetendosi e tornando periodicamente, giustificano una sorta di ciclicità degli eventi. Questa attitudine nella gestione dello sviluppo della vicenda viene assimilata ed introiettata da una messa in scena attenta e precisa, sia nel riconoscimento dei punti macchina più efficaci sia, per l’appunto, nell'espressione di questa specularità - che sussiste a distanza di anni e generazioni - di fatti e circostanze.
Le chiedo scusa, reverendo. Ha un minuto per un peccatore?
Arvin Russell (Tom Holland)
Peccato soltanto che la messa in scena sia forse l’unico e solo picco caratteristico e identitario del comparto tecnico de Le strade del male - costantemente diviso tra convenzione e subordinazione. Difatti, anche se rigorosa e strutturalmente corretta, la regia di Antonio Campos si attesta su livelli operai, quasi da tipico serial Netflix. La sua è una direzione completamente devota alla traslazione visiva del racconto che, senza mai sbilanciarsi o esporsi troppo, difficilmente riesce a conformarsi e rispondere ad una composizione narrativa così vasta ed “epopeica”. Lo stesso discorso può essere applicato, seppur limitatamente, alla fotografia di Lol Crawley che, appellandosi al filone dei thriller-noir ambientati nell'entroterra statunitense, ripropone i soliti e ormai sdoganati toni polverosi e umidicci alla True Detective (2014) o Non è un paese per vecchi (2007), tanto per intenderci. Nota lieve è invece quella riguardante la colonna sonora e le musiche intra- ed extra-diegetiche che completano e ben si accordano con quanto rappresentato su schermo.
Se ve lo steste chiedendo, il riferimento ai fratelli Coen e al loro Non è un paese per vecchi è tutt'altro che casuale. Per tematiche e atmosfere, il soggetto de Le strade del male potrebbe essere invero il punto di partenza di un’opera del famoso duo. E’ altrettanto certo che, se la scrittura del film fosse stata di loro competenza, la pellicola avrebbe raggiunto quella vetta di autorialità e quello status di epopea, a cui gli autori (lo stesso regista insieme al fratello Paulo) aspiravano invano durante la stesura dello script. Difatti, malgrado non risenta delle stesse debolezze di regia e fotografia, la sceneggiatura de Le strade del male non raggiunge appieno gli obiettivi prefissati e non sfrutta al meglio le proprie potenzialità, fermandosi ad una semplice, ma godibilissima esposizione voyeuristica ed onnisciente di fatti ed eventi. Oltre a ciò, non si comprende la reale natura degli intenti tematico-argomentativi della produzione e, seppur presente, il messaggio di fondo non è poi così rilevante a conti fatti. Il racconto del film si basa infatti su un continuo gioco di contrasto/complementarietà tra i due assiomi citati in apertura d’articolo (fede e violenza). Questo gioco-conflitto viene poi interiorizzato ed incarnato da ogni singolo personaggio, convertendosi perciò nel tratto fondante la loro costruzione ed evoluzione, ma anche in una loro parziale rovina. Sfortunatamente, malgrado una caratterizzazione sommariamente convincente e funzionale, questo contrasto interiore ha, come unico risultato - se non in qualche caso specifico -, una specie di omologazione delle diverse figure e dei loro obiettivi e, parallelamente, un appiattimento della propria unicità.
Tolti questi sprazzi di esplorazione psicologica dei personaggi ed una riflessione sul fatto che violenza e fede, a volte, siano praticamente due facce della stessa medaglia, la sceneggiatura esaurisce le proprie argomentazioni, coinvolgendo lo spettatore, di conseguenza, soltanto sul piano emotivo. A ciò si uniscono infine una voce narrante fin troppo invasiva e, talvolta, dannosa ai fini della suspense (spesso anticipatrice di potenziali colpi di scena) e una sporadica prevedibilità di certi risvolti, per una scrittura che, sfruttando un artificiosamente pilotato puzzle in cui ogni singolo elemento si incastra perfettamente, partorisce un racconto piacevole da seguire ed esplorare, ma che non brilla certo per originalità o inventiva. La vera punta di diamante della produzione sono però le interpretazioni che, sostenute da dialoghi a metà tra il teatrale e il realistico, riescono veramente a fare la differenza ed elevare la sceneggiatura dei fratelli Campos. Un Tom Holland alla sua migliore interpretazione, un Robert Pattinson ancora più convincente che in Tenet ed un Bill Skarsgård nevrotico sono gli apripista di un cast stellare ed ispirato, oltre che elemento focale alla base di momenti di alta tensione e memorabilità.
E qui si conclude il nostro viaggio attraverso queste malvagie e peccaminose “Strade”. Un viaggio (film) fatto di alti e bassi, di splendore e oscurità. Il risultato finale è soddisfacente? Certo che sì. Il comparto tecnico e quello narrativo hanno dato tutto ciò a loro disposizione? Purtroppo, no. Le strade del male non osa, limitandosi ad un racconto ed un’attuazione che raramente oltrepassano i confini di un’immaginaria zona di comfort. Antonio Campos firma una pellicola senza infamia e senza lode che, nonostante tutto, si attesta su livelli di discreta ed intrattenente godibilità. Un noir-thriller classico per temi, situazioni e gestione della vicenda che, tuttavia, riesce ad emergere per l’espressività, coesione e potenza del proprio cast. Un’opera buona - né un capolavoro né tanto meno un completo disastro - che gioca con il tempo, rimanendo però lei stessa ferma nel tempo.