TITOLO ORIGINALE: Back to Black
USCITA ITALIA: 18 aprile 2024
USCITA UK: 12 aprile 2024
REGIA: Sam Taylor-Johnson
SCENEGGIATURA: Matt Greenhalgh
CON: Marisa Abela, Jack O'Connell, Eddie Marsan, Lesley Manville
GENERE: biografico, drammatico, musicale
DURATA: 122 min
Dopo i Queen, Elton John, Elvis e Bob Marley, anche Amy Winehouse si aggiunge alla lunga lista di artisti la cui (turbolenta) vita è diventata soggetto per il cinema. Back to Black di Sam Taylor-Johnson racconta, tra le altre cose, la dipendenza, i disturbi, le ansie, le pressioni e le spinte autodistruttive della voce soul più riconoscibile della storia inglese, ma, complice la sceneggiatura da profano di Matt Greenhalgh, lo fa nella maniera più innocua e pigra possibile.
Se c’è una cosa che non tornerà nell’oscurità (del cinema), quella sono i biopic musicali. Anche se, tra i più recenti, solo due, tre hanno avuto successo (Bohemian Rhapsody, Elvis, Rocketman), tanti altri sono seguiti comunque. I Queen, Elton John, Aretha Franklin, Billie Holiday, Judy Garland, Bob Marley e, in attesa di quello dedicato a Michael Jackson diretto da Antoine Fuqua, ecco aggiungersi a questa folta lista la voce penetrante e scurissima di Camden Town che ha portato il jazz, il soul e l’R&B verso nuove vette, la precorritrice del cosiddetto soul bianco, la personalità unica ed inimitabile di Amy Winehouse.
La sua nota, dolorosa e tragica storia di dipendenza, disturbi, ansie, pressioni e spinte autolesioniste e autodistruttive (senza dimenticare la discutibile relazione tossica con l’ex marito Blake Fielder-Civil) diventa il soggetto di Back to Black, un progetto dal destino, già di per sé, abbastanza prevedibile. Le premesse, infatti, non erano proprio delle migliori. Dietro la macchina da presa ritroviamo Sam Taylor-Johnson, prima fotografa e concept artist, poi regista dalla filmografia non particolarmente brillante (tolto il simpatico esordio Nowhere Boy, con protagonista il futuro compagno Aaron Taylor-Johnson, si passa da un Cinquanta sfumature di grigio ad un A Million Little Pieces, fino ad approdare a videoclip di dubbia memorabilità). La penna, invece, è quella - quasi del tutto sconosciuta - di Matt Greenhalgh, il quale dimostra di conoscere l’argomento come potrebbe un assoluto profano o un ascoltatore distratto della musica di Winehouse.
Ancor prima che in una fattura degna di una di quelle produzioni scampate per un soffio all’oblio dei cataloghi streaming, e in un approccio vitreo che pare l'opera di un’intelligenza artificiale, il primo ostacolo alla buona riuscita di Back to Black è proprio il copione, che sembrerebbe dare una scorsa alla pagina Wikipedia dell’artista e selezionare - a mò di cherry-picking - tutti i passaggi meno controversi, problematici e oscuri della biografia di quest’ultima. Passaggi, che il film dispone e struttura nella maniera più scriteriata possibile, ognuno con la medesima intensità e importanza nell'economia del racconto.
Tra segmenti di vita che si estendono fino a diventare ridondanti e altri che Greenhalgh e il montaggio di Martin Walsh ricostruiscono frettolosamente, Back to Black riesce a dire tutto e nulla di Amy Winehouse, a rendere confusionario seguire il dispiegarsi e l’evoluzione del suo percorso d’arte e di vita per chiunque non abbia ben presente la cronologia esatta dei fatti. Al tempo stesso, quando non lasciate al beneficio dell’ellissi o all’immaginazione dello spettatore, il nero, le tenebre a cui fa riferimento il titolo (del suo più grande successo) vengono affrontate dall’istanza narrante con enfasi, artificiosità e patetismo.
Ma non c’era senz’altro bisogno di arrivare a simili livelli di pigrizia, mediocrità e insignificanza per fare di questa pellicola l’ennesima riproposizione della medesima formula, ormai sul filo del puro cinema d’exploitation, compresa la presenza quanto più mimetica di Marisa Abela e dei caratteristi al suo seguito (Jack O'Connell, Eddie Marsan e Lesley Manville), e un ruolo del tutto marginale dedicato alla musica, ai suoi piccoli retroscena e alle grandi intuizioni di sound, alla magia e all’atmosfera che accompagna il processo di creazione, distinto e particolareggiato per ogni artista.
E dire comunque che, ad un certo punto, seppur per un fugace istante, Taylor-Johnson & co. sembrerebbero propendere verso un discorso e una riflessione estremamente interessanti e attualissimi, riguardanti il segno anacronistico di Winehouse, oltre che in termini di look, stile e sensibilità artistica, nel suo rapporto con il maschile. L’idea della cantante, pertanto, come di una figura, oggi più che mai di rottura e in controtendenza, che - complice un rapporto di freudiana memoria col padre - si strugge e annulla per un uomo, negando un femminismo a cui molti continuano ad associarla, perché “amo troppo gli uomini” e perché “voglio essere ricordata per essere stata me”.
Per quanto suoni pletorico dirlo, Amy non ha di che temere. Ovunque essa sia, verrà ricordata nonostante Back to Black - il film, non certo la splendida canzone. Ci saranno anche le sue hit in colonna sonora, ma di certo, la sua vita, il suo spirito, la sua eredità non aleggiano, né si riescono ad intravedere fra le piattissime e slavate immagini fotografate da Polly Morgan, o nella vitrea interpretazione di una pur volenterosa Abela, la quale soffre della stessa affettazione di altri succedanei malekiani e, per giunta, non risulta convincente nemmeno a livello fisionomico. E ci sarà pure Nick Cave che canta e dedica alla nostra un’inedita “Song for Amy”, ma è come avere un singolo di successo all’interno di un album pieno zeppo di canzoni stonate.
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