TITOLO ORIGINALE: Kimi-tachi wa dō ikiru ka
USCITA ITALIA: 1° gennaio 2024
USCITA JAP: 14 luglio 2023
REGIA: Hayao Miyazaki
SCENEGGIATURA: Hayao Miyazaki
CON LE VOCI DI: Sōma Santoki, Yoshino Kimura, Kō Shibasaki, Masaki Suda
GENERE: animazione, fantastico, storico, avventura, drammatico
DURATA: 124 min
Candidato a due Golden Globes tra cui miglior film d'animazione
Dopo sei anni di intensa produzione, Hayao Miyazaki torna al cinema con l'ultima delle sue fantasie, Il ragazzo e l'airone. Ma anche con la più criptica, dispersiva, complessa, tortuosa, addirittura più onirica delle sue catabasi nell'animo umano e nei suoi dilemmi morali e filosofici. Con un film che è un eco interrogativo di Si alza il vento e, in parte, non è nemmeno una fantasia, dal momento che affonda le radici del proprio senso pure nella biografia dello stesso autore. Un'opera derivativa perché necessita di essere tale. Un'Arca di storie, creature, sogni con cui il maestro dell'animazione riflette sul suo cinema e, nel farlo, ci chiede: "E voi, come vivrete?".
Regna una notte fosca su Tokyo. Una notte strana, per certi versi inquietante. La metropoli è silenziosa, ma allo stesso tempo pare in attesa di qualcosa che rompa questa quiete insopportabile. Tutt'a un tratto, un boato, seguito dalle fiamme, che arrivano ad illuminare a giorno i tetti e le case. Una bomba. Siamo nel 1943, sono passati tre anni dall’inizio della Guerra, e il dodicenne Mahito, uno dei tanti tokyensi risvegliati bruscamente da quella visione incendiaria e da quel rumore terrificante, perde la madre Hisako durante il bombardamento dell’ospedale in cui questa presta servizio.
Passa un anno e il padre decide di risposarsi con Natsuko - zia di Mahito e sorella di Hisako, dalla quale attende già un secondo figlio - e di trasferirsi nella tenuta di campagna della famiglia di lei per allontanarsi dalla guerra. Appena arrivato, il giovane viene visitato da un airone cenerino che inizialmente sembra voler semplicemente dargli il benvenuto, ma che, man mano che passano i giorni, si converte sempre più in una presenza assillante, perturbante, finanche mortifera. L’uccello confida al ragazzo che sua madre, in realtà, è ancora viva, ed è tenuta prigioniera nel tortuoso groviglio di cunicoli e gallerie che si dirama sotto le rovine di una vecchia torre poco distante dalla residenza, costruita decenni prima dal prozio della madre, ossessionato dalla letteratura a tal punto da perdervisi.
Petulante in quanto dolente e senz’altro ancora scosso dal lutto subito, sentendosi a disagio nella magione e a scuola, ed incapace di accettare la scelta del genitore di ricostruire di nuovo una famiglia, figurarsi la presenza di Natsuko e l’idea dell’arrivo di un fratellastro o una sorellastra: Mahito sceglie perciò di assecondare l’invito del minaccioso e spietato uccello, pur consapevole che potrebbe trattarsi di una trappola, e di immergersi in tutto e per tutto in un’avventura da cui riaffiorerà inevitabilmente cambiato e cresciuto.
Da simili premesse spicca il volo Il ragazzo e l’airone, il dodicesimo lungometraggio del maestro dell’animazione giapponese (e non solo) Hayao Miyazaki, il cui titolo originale è in verità molto più significativo. Kimi-tachi wa dō ikiru ka: letteralmente, E voi come vivrete?; è infatti profondamente legato, innanzitutto, al titolo omonimo del romanzo di Genzaburō Yoshino da cui il cineasta ha prelevato le tematiche (ma non il soggetto), ma in particolar modo, all’invito (“Si alza il vento, bisogna tentare di vivere”) che più volte tornava e su cui si chiudeva Si alza il vento (2013). Il quale, di conseguenza, non è solo ed esclusivamente il film che precede quest’ultimo (di dieci anni!), quanto piuttosto una vera e propria creatura gemella.
Una sua sublimazione, magari non in termini tecnico-stilistici, giacché entrambe sono considerabili due opere di maturità, ma sicuramente a livello filosofico. O ancora, una sua continuazione ideale. Laddove la semi-biografia animata dedicata alla vita del grande Jirō Horikoshi può essere intesa, al contempo, come una sorta di intimo mito di rifondazione del Giappone ed estrema sintesi di una poetica, quella miyazakiana, che vede nell'ingegnere e nei suoi dilemmi e conflitti morali, e nel nobile sacrificio della moglie Nahoko (non a caso molto simile, nelle fattezze, ad Hisako e Natsuko), due anime genitoriali della propria opera; Il ragazzo e l’airone è invero una storia parimenti intima, ma raccontata in prima persona singolare, che affonda le radici (di gran parte) del proprio senso in una biografia ben più attinente alla realtà produttiva, ossia in quella dello stesso regista, specie alla sua prima giovinezza.
Meglio: di Si alza il vento, questa dodicesima fantasia animata del maestro giapponese, può essere un eco, la replica interrogativa, diretta, estremamente concreta a quel mantra di cui sopra, a quella esortazione che è molto facile possa sfuggire e perdersi fra gli stessi sbuffi di vento che l’hanno condotta fino alle nostre orecchie e davanti ai nostri occhi.
Tuttavia, pur essendo una riflessione posta a chi guarda in forma, appunto, così diretta, Il ragazzo e l’airone è forse la più criptica, dispersiva, complessa, tortuosa, addirittura più onirica delle catabasi (qui amniotica, di rinascita) di Miyazaki nell’animo e nei problemi dell’uomo e quindi del mondo in cui viviamo. Ciò nondimeno, il film riesce a svelarsi, a spiegarsi allo spettatore nelle sue componenti più superficiali ed elementari di avventura, romanzo di formazione e cautionary tale di carrolliana memoria, con una limpidezza, una trasparenza tali da garantirne il fascino della messa in scena, da conservare lo stupore di questo, ennesimo mondo sotterraneo o sotto il pavimento, e insieme quell’atmosfera sospesa, suggestiva, davvero inconfondibile.
Una volta approdati, allora, su questa prima spiaggia della nostra presa di coscienza del film e della consapevolezza che il giovane protagonista inizia ad avere di sé stesso, ecco che la pellicola cambia pelle, si trasforma. Da che era iniziata intima, quasi minuscola, un racconto appunto pseudo-autobiografico, in prima persona, essa si scopre via via più ampia, diventando parallelamente - in accordo con l’universo parallelo che si sviluppa sopra, sotto, in lungo e in largo - più vertiginosa ed immaginifica, e rivelando la sua debordante natura di riecheggio ed ipertesto, ma anche summa, sintesi (non più solo stilistica, ma anche e soprattutto contenutistica) della cifra e della filmografia miyazakiane.
In tal senso, al di là di pennellate ed inserti potenzialmente irriconoscibili ad una prima visione (della citazione ad 8½ di Fellini, del muoversi nel solco di un altro Amarcord, e di rimandi pittorici a L'isola dei morti di Böcklin, Il seminatore di Millet, La Torre di Babele di Bruegel, I labirinti di Escher…), ci sono i sempiterni rimandi al già citato Lewis Carroll e alla sua Alice, a Walt Disney con i Sette Nani e questi infidi parrocchetti che sembrano qui catapultati direttamente dai primi cortometraggi dello studio, e poi, in maniera quanto più evidente, la Commedia dantesca. E poi, l’airone a fare da ideale, volubile e perturbante trait d’union sia tra queste fonti d’ispirazione e devozione, sia tra la raffinata miscela di questi e l’universo poetico - di natura significativa e significante - del sensei.
Universo, che dal canto suo torna, mai così vivace e compatto, a ricomposizione, ad ennesima ridefinizione, alla stregua di un patchwork rimaneggiato, del reame grafico e del design de Il ragazzo e l’airone, che è pertanto: un Totoro che incontra La città incantata, sublimando, come già accennato, Si alza al vento, citando a più riprese Mononoke, ed erigendo un più subdolo, silenzioso e mortifero castello (in)errante di Howl o, in alternativa, un Castello nel cielo più etereo e fantasmatico.
Tale derivazione - che fa dell’opera uno sforzo degno contemporaneamente del miglior kolossal d’autore e del lungometraggio più costoso mai realizzato nel paese del Sol Levante - è però compresa in una meditazione lunga sei anni (di produzione) sul viaggio, sul percorso, sulla carriera di Miyazaki, del suo cinema e su ciò che entrambi possono avere ancora da offrire nel e al mondo d'oggi. Una valutazione che il regista si autopone e prevede a partire proprio dai legami biografici della pellicola, seguita da questo suo compendio necessario, da questa Arca di storie, creature, intuizioni, segni che egli “si limita” a disegnare, ed infine dichiarata esplicitamente dalle parole della canzone (地球儀 - Spinning Globe di Kenshi Yonezu) che accompagna i titoli di coda. Un qualcosa a metà tra un memoriale e, per l’appunto, una chiarificazione d’intenti, il quale contiene implicitamente nientemeno che la stessa domanda che intitola il film.
“Continuerò a desiderare, così come la Terra gira”, e voi come vivrete? “Continuerò a disegnare, così come la Terra gira”, e voi come vivrete? “Non posso trattenermi dal disegnare”. E voi come vivrete? Forse creando un mondo ricco, forse distruggendo quello che ci è stato dato. Liberi di creare, riparare, ricostruire, celare le nostre torri di sogni, desideri, ossessioni, qualunque essi siano, solo con la consapevolezza che, prima o poi, la realtà, anche se travestita da airone, verrà a beccare alla nostra finestra.
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