TITOLO ORIGINALE: Wonka
USCITA ITALIA: 14 dicembre 2023
USCITA USA: 15 dicembre 2023
REGIA: Paul King
SCENEGGIATURA: Paul King, Simon Farnaby
CON: Timothée Chalamet, Olivia Colman, Calah Lane, Keegan-Michael Key, Sally Hawkins, Hugh Grant, Rowan Atkinson
GENERE: fantastico, musicale, commedia
DuRATA: 116 min
Un inedito Timothée Chalamet è un giovane Willy Wonka nel prequel/origin story di Paul King che riconferma la sua idea di family (e comfort) movie. Un film, quindi, fatto per rincuorare che per stupire. Sincero, votato al divertimento più genuino, concentrato sull'alchimia tra i personaggi, un po' incerto nel musical. Riuscito pur sognando sogni preconfezionati. Dolce col rischio di risultare dolciastro.
Coi sogni non si mangia, dicono. Non sarebbe, non è d’accordo il giovane Willy Wonka, i cui sogni non solo gli daranno accesso ad una fortuna, ma sono addirittura commestibili. Stanno nella sua testa, prima che nel cappello, pieno quanto la valigia di Mary Poppins, il gonnellino di Eta Beta, la borsa di Hermione Granger o il cappellino rosso da esploratore di Paddington. Una galleria di personaggi, questa, che tiene insieme tutta la gamma di colori, sapori e chiari riferimenti che contraddistingue il prequel, la genesi o, com’è oggi meglio conosciuta, la origin story del cioccolatiere ideato dall’inesauribile mente di Roald Dahl, che ha incantato generazioni di lettori.
La regia, non a caso, è proprio di quel Paul King, secondo papà (quello cinematografico) dell’adorabile orsacchiotto parlante, ghiotto di marmellata, proveniente dal profondo Perù; l’erede dei vari Robert Zemeckis, Chris Columbus e (perché no?) Joe Johnston, l’inventore contemporaneo della formula del perfetto family movie (e, va da sé, del comfort movie) con sprazzi di Jeunet, George Miller, Wes Anderson e Michel Gondry, colui che, meglio di tanti altri, è riuscito ad esaurire ogni possibilità di questo filone che molto spesso non riceve la giusta considerazione. Il tutto, per dire che i due Paddington sono uno meglio dell’altro e che Wonka, inevitabilmente, ne è il figlio naturale, solo di più larghe vedute e con ambizioni ben diverse.
Dimenticatevi pertanto (anche se a malincuore) Dahl, dimenticatevi (o forse no) l’ambiguo e sadico Gene Wilder dell’ammuffito Willy Wonka e la fabbrica del cioccolato, dimenticatevi (questo proprio sì) il nevrotico, misantropo, fragile ma non meno inquietante e perverso, psicanalizzato e psicanalizzabile Johnny Depp dell’ottimo La fabbrica di cioccolato di Tim Burton, e dimenticatevi pure lo stereotipo e l’immagine divistica che pareva indissolubilmente legata a Timothée Chalamet!
Questo è il Wonka secondo Paul King. Ergo: una favola variopinta, baloccosa, soffice e leggera come le sue pennellate registiche, l’unico Mary Poppins possibile oggi (in barba ad Emily Blunt e a Rob Marshall), il Mary Poppins della generazione Z, in cui però non vale più la regola che “basta un poco di zucchero e la pillola va giù”, anzi lo zucchero è tutto ciò che conta. Ma è anche il Wonka prodotto dal David Heyman della saga di Harry Potter (e dalla sua Heyday Films), in bilico tra un’improbabile ed impossibile coerenza mitopoietica ed un universo di pura immaginazione, col sense of wonder sparso in giuste quantità e i dolci che sembrano vivere di vita propria, in cui si ha costantemente la sensazione di trovarsi dentro un mondo che è un po’ il nostro, che presenta degli appigli tangibili con quello che conosciamo, ma mantiene intatta la propria cifra fantastica e riconoscibile; un mondo intestino, parallelo, nascosto in piena vista, osservato come attraverso il vetro di una palla di neve.
Un mondo il cui protagonista è allora, inevitabilmente, anche un po’ un mag(hett)o, un prestigiatore, un illusionista, che, grazie al fisic du role di Chalamet, può apparire al pari di una creatura dahliana, ma non ne condivide poi molto lo spirito, né quel tipico dileggio, anche cinico e scorretto. Difatti, alla stregua del suo fratello minore/maggiore Paddington, il nostro giovane Willy Wonka è un’anima pura, candida, fanciullesca, malleabile, credulona, completamente sguarnita al suo primo approccio con la civiltà. Quella di pustolosi orchi schiavisti che sembrano usciti da uno dei romanzi di Charles Dickens, di un capitalismo avido, sregolato, opprimente, che non guarda in faccia a niente e nessuno, e di una corruzione dilagante che coinvolge i cioccolatosi rappresentanti di questo stesso sistema e quelli, ingordi, insaziabili e solo leggermente dissacrati (e dunque poco dahliani), di polizia e clero. In questo meccanismo, in questa radicata e sistematica organizzazione sociale, commerciale, politica, il nostro desidera entrare a tutti i costi, in nome del suo sogno nel cappello appunto: diventare, neanche a dirlo, il miglior cioccolatiere al mondo; finendo tuttavia solo per correggerlo, non per stravolgerlo o rivoluzionarlo.
Racconta la più cinica ed impietosa delle cose umane, Wonka: il commercio, le severe leggi dell’economia, del capitale e dei debiti, dei contratti e delle obbligazioni, il lucrare e il fare affari, pure con un atteggiamento coloniale. Tant’è che, come fa notare Gabriele Niola nella sua recensione, potrebbe essere scambiato per un romanzo di formazione avventuroso per giovani imprenditori digitali, se solo non fosse impacchettato per bene, rivestito con l’involucro da eccellente parabola hollywoodiana, rassicurante, dolce, confortevole e calorosa, e, soprattutto, non scegliesse di portare avanti suddetti discorsi ponendo l’accento su un patto del tutto antitetico. Quello dell’amicizia, della complicità al primo sguardo, dell’alchimia naturale, della collaborazione spassionata prima tra due orfani (uno per scelta, l’altra per destino), poi tra un gruppo di miserabili dall’animo nobile e dignitoso.
Proprio come il suo protagonista, quello di Paul King è quindi un film corretto, ma non eccezionale come i due precedenti tentativi del regista, complice forse il doversi misurare con un genere, il musical, verso cui dimostra qualche incertezza e reticenza, fra cui una messa in scena decisamente rigida, poco cinetica, incalzante, turbinosa ed effervescente, quasi teatrale nel suo rifarsi, anche fotograficamente, alle scene di una qualsiasi produzione di Broadway o del West End (chissà che direbbe Phoenix Buchanan). Allo stesso tempo, va dato atto a Wonka della sua generosità e sincerità d’intenti. Che mai si nasconde dietro o erge sopra fini che non siano il divertimento più genuino, gioca a carte scoperte col rischio di sapere di dolciastro, anche se i sogni che professa spesso non appaiano suoi, suonino proverbiali, se non preconfezionati.
E fin da subito muove (eccome!) il suo asso nella manica, affidando a Timothée Chalamet il ruolo che, a conti fatti, sembra nato per interpretare - nel quale questi mette tutto sé stesso e dà prova di una versatilità espressiva e completezza artistica solo accennate - e deliziando chi guarda, di conseguenza, con la sua performance migliore dai tempi di Chiamami col tuo nome. Pur non avendo nemmeno l’ambizione di misurarsi con i grandi del musical classico, bensì volendosi giusto ispirare ai vari Fred Astaire, Gene Kelly e Dick Van Dyke, la versione del personaggio: libera, spensierata, ottimista, utopista, tra Dickens, Verne e Syd Barrett; offertaci dal giovane divo ha di fatto la strada lastricata verso l’immaginario collettivo e pop(olare). Già iconico, del resto, è l’Umpa Lumpa vendicativo, orgoglioso e melodrammatico interpretato da Hugh Grant, utilizzato oculatamente da King (con cui rinsalda e riconferma i voti di un matrimonio artistico molto felice) in modo da non diventare proprio il centro di gravitazione della pellicola, ma lo stesso da rubare la scena ogni volta che è su schermo.
Appunto, oltre che dell’esattezza, quello della memorabilità è un tratto che appartiene, se non (ahinoi) alle canzoni, quantomeno all’intero cast della pellicola: dall’amabile Calah Lane (insospettabilmente perfetta al fianco di Chalamet) all’esilarante Olivia Colman, dai complementari Keegan-Michael Key e Rowan Atkinson, ai sodali Sally Hawkins (qui più fantasmatica) e Simon Farnaby (sempre irresistibile), fino ad arrivare al perfido trio di villain interpretati da Paterson Joseph, Matt Lucas e Mathew Baynton.
Questo, a riprova di quanto al Wonka di Paul King interessi poco il cioccolato a fiumi che lo irrora ma non lo inonda, l’illusione, il trucco magico, quanto piuttosto le persone che lo rendono possibile, che muovono letteralmente i fili dei nostri sogni, che li assecondano. Con cui la si spezza e condivide, quella semplice barretta di cioccolato.
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