TITOLO ORIGINALE: Talk to Me
USCITA ITALIA: 28 settembre 2023
USCITA AUS: 27 luglio 2023
REGIA: Danny e Michael Philippou
SCENEGGIATURA: Danny e Michael Philippou
CON: Sophie Wilde, Alexandra Jensen, Joe Bird, Otis Dhanji, Miranda Otto
GENERE: horror
DURATA: 95 min
Presentato al Sundance Film Festival 2023
Nati youtuber, i fratelli Danny e Michael Philippou esordiscono alla regia e alla sceneggiatura cinematografiche con un horror a tema giochi maledetti e possessioni demoniache che parte come racconto generazionale molto vivido ed interessante, e finisce nelle forme meno coraggiose di un dramma esistenzialista sul senso di colpa e la responsabilità.Una thrill-ride senz'altro efficace, ma tutto fuorché la folgorazione ipnotica e stregonesca a lungo promessa.
È chiaro ciò di cui vuole parlare, quel che vuole essere (quantomeno nella sua prima metà) Talk to Me di Danny e Michael Philippou, nati youtuber e qui al loro esordio alla regia e alla sceneggiatura cinematografiche. Un Euphoria in salsa horror (senza però la sperimentazione e le acrobazie visive di Sam Levinson). Il ritratto e la metafora di una generazione, con i medesimi spettri e le medesime inquietudini ed ossessioni, ma la variante di una mano mozzata, ricoperta di ceramica, affastellata di scritte come fosse un gesso, e, non per ultimo, stregata (già pronta ad entrare di diritto nella storia dell’horror, oltre che nell’immaginario collettivo); e le possessioni demoniache che si innescano al contatto con essa.
Difatti, non solo sono evidenti i parallelismi che questo rituale intrattiene con l’universo della droga e delle dipendenze in genere, dei suoi ganci emotivi e, in particolar modo, di effetti e conseguenze, ma vengono da sé anche i significati che esso trattiene di coloro che vi prendono parte. Esponenti di una generazione (la cosiddetta generazione Z di cui gli stessi Philippou fanno parte) anestetizzata dalla virtualità, dai ritmi e dalle norme della nuova socialità mass-mediatica, affetta da numerosissime ansie e paranoie schiaccianti (tra cui quelle da prestazione, da vetrinismo, che sfociano irrimediabilmente in atteggiamenti bullistici), che vive nel segno dell’apparenza, così tanto sovraesposta ad un flusso continuo di stimoli e di novità che fa prestissimo a trarre le proprie conclusioni, ad annoiarsi, a storicizzare e ad abituarsi a quel che gli succede attorno.
Una generazione, la loro, che, proprio questo, vive la vita come una continua, sregolata, imprevidente condivisione collettiva (perché, se non viene condiviso, non esiste, a costo di essere un fake), sempre al massimo - sia esso di segno positivo e negativo -, sempre alla ricerca di emozioni forti, euforizzanti, di continue epifanie, di stress-test al limite della moralità, se non addirittura di vita e morte. Esperienze ed emozioni che sono semplicemente modi per sentirsi e sentire, per percepire e percepirsi, per essere ed esserci. Che funzionano da momentaneo e, in fondo, inefficace palliativo per quella che è forse il più grande dei turbamenti della Gen-Z: il tempo che scorre troppo velocemente, come ben raccontato dal nostrano Alain Parroni in Una sterminata domenica.
Tutto questo, i fratelli Philippou lo descrivono con coscienza e tatto, a partire dal soggetto formidabile e, per certi versi, geniale di Daley Pearson, dando vita - prima in fase di sceneggiatura e poi in concordanza con la fotografia opaca, cupa e desaturata di Aaron McLisky - ad una rappresentazione estremamente realistica, rigorosa, autentica dei personaggi, delle loro dinamiche relazionali, del loro mondo. Cosa che sprigiona tutta la propria efficenza e virtuosità nel momento in cui, nel quadro e nel racconto, irrompe l’elemento horrorifico, violento e raccapricciante. Quest'ultimo viene conseguentemente amplificato, accentuato, complici un lavoro magnifico sull’effettistica (speciale e digitale) ed una cura invidiabile per il design sonoro; ma viene allo stesso tempo aperto a possibilità e risvolti più prettamente ridanciani, in linea col modo e lo spirito con cui questa stessa generazione si approccia a questo genere.
Purtroppo, il soggetto di Pearson non sembra avere le gambe abbastanza lunghe per sostenere i requisiti di un lungometraggio e, dal canto loro, il duo registico non dimostra abbastanza interesse, convinzione e, pur giustificabilmente, statura e coraggio registico nel portare avanti il discorso da cui prende le mosse il loro film. Nel portare, insomma, alle estreme conseguenze quell’intuizione, sì, derivativa nel concetto dalla migliore stirpe horrorifica , già omaggiata da David Robert Mitchell in It Follows (quella che, negli anni ‘70 e ‘80, parlava della generazione a lei coeva attraverso il tema della sessualità, disinibita ed ossessiva), eppure così fulgida, forte, agile, elegante.
Al contrario, Talk to Me si lascia prendere per mano (pardon) da uno svolgimento che scade nel proverbiale, nel prevedibile, nello scolastico e, pure inspiegabilmente (visto il mirabile rigore applicato a priori), nel caotico, nell’appariscente. Nello specifico, la sceneggiatura ripiega e di fatto si accontenta di un dramma esistenziale sull'accettazione del lutto, sul senso di colpa, su visioni paranoidi e anche, come accennato sopra, sull'astinenza. Incessantemente e molto ben interpretato dall’esordiente Sophie Wilde (capace di superare l’imprescindibile modello della Rue Bennett di Zendaya), questo racconto più intimo, inizialmente frammento di un mosaico e di un ritratto più grandi e generali, attira su di sé tutte le attenzioni compositive e viene promosso ad argomento principale del mondo diegetico e, con molta probabilità, delle sue diramazioni future.
Insomma, da elevated horror, da risposta indie e alternativa, quantomeno in termini produttivi (la firma è degli stessi di Babadook, a distribuirlo è A24, ed è stato presentato al Sundance, festival indipendente per eccellenza), Talk to Me si dimostra infine ennesimo proselito della filosofia (low-budget) Blumhouse e quindi un prodotto non poi così distante dall’idea di orrore e dalla viralità insita di pellicole decisamente ed eminentemente più commerciali come Oculus, Ouija e M3GAN. Una thrill-ride senz'altro efficace, con un paio di pieghe d'impatto, ed un debutto che rileva due nuove ed interessanti voci, ma ben lontana la folgorazione ipnotica e stregonesca a lungo promessa.
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