TITOLO ORIGINALE: M3gan
USCITA ITALIA: 4 gennaio 2023
USCITA USA: 6 gennaio 2023
REGIA: Gerard Johnstone
SCENEGGIATURA: Akela Cooper, James Wan
GENERE: orrore, fantascienza
DURATA: 102 min
La Blumhouse di Jason Blum e la Atomic Monster di James Wan uniscono le forze e danno il via ad un promettente sodalizio con M3gan di Gerard Johnstone, uno degli esempi di più eccellenti ed eclatanti di film "production-based", dove l'intuito (da un lato) e le ossessioni tematiche (dall'altro) informano un prodotto di media fascia e di ottimo intrattenimento. Eppure, al di là della paraboletta moralistica e di qualche sequenza horror nei limiti di uno stringente PG-13, ciò che più colpisce e rende M3gan un prodotto interessantissimo è la capacità di lavorare sul design, sull'estetica e sull'iconicità di un personaggio che, nel finale, si libera dell'hardware e diventa software replicabile.
Sembra scontato dirlo nel 2022, ma nell’horror la morte o, per meglio dire, l’inquietudine della mortalità è importante e centrale tanto quanto la suspense, la tensione e lo spavento in sé e per sé. Quello che André Bazin - riferendosi però al cinema tutto - definiva “complesso della mummia” (una definizione curiosamente horrorifica) è ciò su cui si fonda il genere horror, ma anche ciò che quest’ultimo non ha fatto altro che esorcizzare sin dalle sue primissime emanazioni, portandoci a tu per tu con la morte, mostrandocela, facendocela assaporare e sfiorare con lo sguardo nelle forme più disparate e creative.
Ed è proprio dalla riaffermazione di questo fondamento cardine di cento e più anni di storia del cinema (horror) che prende il via (in tutti i sensi!) M3gan dell’esordiente Gerard Johnstone, ed insieme l’intrigante sodalizio tra la Blumhouse di Jason Blum (vero e proprio re Mida del cinema di genere, pioniere su scala industriale della filosofia “minima spesa e massima resa” dai tempi del primigenio Paranormal Activity) e la Atomic Monster di James Wan, fresco dell’abbandono di casa Warner (a cui ha regalato grandi successi commerciali come la saga di The Conjuring ed Aquaman).
Ciò detto, non ce ne voglia il caro Johnstone, ma è quanto mai evidente che M3gan sia indubbiamente e completamente una creatura di James Wan: a partire dal soggetto, che egli scrive assieme alla sodale Akela Cooper, ribadendo così la sua inclinazione ossessiva per il connubio "tensione & bambole"; passando per la stretta parentela che l’ammaliante androide dalle fattezze umanoidi condivide con la diabolica, più silente ed arcana Annabelle della succitata saga dei coniugi Warren, fino ad arrivare ad ogni più piccolo dettaglio ed insignificante orpello realizzativo.
Chiarita allora l’evidenza non solo che stiamo parlando un "film dei produttori" ancor prima e ben più che del regista, ma anche la maniera più palese e schiacciante rispetto a quanto normalmente avvenga in un sistema production-based come quello hollywoodiano, con cui esso aderisce e rispecchia tale paternità d'intuito e di ossessioni narrative e tematiche, torniamo a parlare di come la morte e la sua esorcizzante dissacrazione rientri nelle premesse della pellicola.
Non a caso M3gan si apre infatti con una pubblicità evidentemente ironica di un pupazzo parlante, nella quale vediamo una bambina che non fa neppure in tempo a piangere e metabolizzare la morte del suo animaletto da compagnia e il vuoto che questo evento ha provocato e provocherebbe nella sua esistenza (che, in altre parole, non fa nemmeno in tempo a crescere), che i genitori decidono di riempire suddetto vuoto e palliare suddetta perdita regalandole, per l’appunto, questo Furby ancor più inquietante che fa davvero di tutto. Anche i bisogni!
Giocattolo, quest’ultimo, che diventa perciò, innanzitutto, l'incarnazione di un capitalismo sfrenato e sregolato che non guarda in faccia a nulla - nemmeno alla sana crescita emotiva di un bambino - pur di fatturare, essere competitivo e pervasivo. E poi una figura ossimorica, giacché, nel suo essere artificiosa ed artificiale, si carica di un qualcosa che è tutto il suo contrario; di un qualcosa di eccezionalmente ed esclusivamente umano. Così facendo, il pupazzo sopperisce alla grave piaga dell’età contemporanea che è l’irresponsabilità e svogliatezza della figura e del ruolo genitoriale, che questi di fatto sostituisce tecnologicamente.
Ebbene, con questo minuto e mezzo di spot - realizzato con tutti i crismi e in modo così compiuto da disorientare, seppur solo inizialmente, lo spettatore - M3gan, da un lato, traccia l’umore e il tono che manterranno il copione di Akela Cooper nello sviluppo del soggetto e la rigorosa, pedissequa e corretta regia di Johnstone nella sua trasposizione e messa in scena. Dall’altro, mette subito in chiaro quello che sarà il suo discorso, dilazionato e trattato da varie angolazioni (la mancanza di intelligenza emotiva ed empatia, la distanza umana sopperita dalle macchine, la tecnologia come risposta eccessivamente complicata e complessa per problemi paradossalmente semplici, banali e stupidi, ecc…), tuttavia con un solo ed unico fine argomentativo.
Argomento, questo, informato e concentrato, a sua volta e per la maggior parte, nella caratterizzazione e nella scrittura del personaggio di Gemma (Allison Williams, senza infamia e senza lode). Una figura, quest'ultima, che, sempre nei limiti di un prodotto puramente e chiaramente d’intrattenimento, riscrive decenni di rappresentazione del cosiddetto nerd o, più classicamente, inventore, la cui hybris e il cui genio diventano la causa dei suoi mali, nelle fattezze di una donna d’indubbio carisma e genio, ma altrettanto riprovevole e detestabile sul piano etico, morale ed umano. Senza dubbio, l’ingrediente più inedito ed interessante di un film che è, in fondo, un compendio del meglio del cinema degli automi, delle macchine e delle intelligenze artificiali (Terminator, Robocop, persino Ultron) e non solo. Ad un certo punto, si avrà infatti uno scontro sullo stile dei monster e kaiju movies, per non parlare inoltre della natura e gravità anticristologica della figura di M3gan.
A latere (di questa rappresentazione incessantemente beffarda e risibile della contemporaneità e di alcune delle sue figure, eppure manchevole di quel quid aggiunto che avrebbe potuto sottrarla all’inevitabilità di tramutarsi in una moraletta, di una parabolina disfattista, cosa che di fatto è), si posiziona infine un sottotesto che chi scrive avrebbe quantomeno cercato di lasciar fuoriuscire con maggior intensità ed affrontare più consapevolmente.
Il riferimento è all’attrazione irresistibile, nonché ontologicamente horrorifica, che chi guarda, nello stesso modo di molti personaggi in scena, prova e sviluppa nei confronti di M3gan. Ossia di un elemento, di un oggetto, di una presenza esteticamente seducente e mesmerizzante, perfettamente inserita nello zeitgeist odierno, capace di spiccare e distinguersi nel turbinio disorganico, sconclusionato, dispersivo di immagini ed immaginario che ogni giorno assedia e reclama la nostra attenzione; postmoderna nel suo essere un remix esemplare, un matrimonio tra analogico (il corpo dell’attrice) e digitale (il volto in CGI), una sintesi di fantasmi vecchi e nuovi, dall’inquietudine per le sembianze e le forme umanoidi, ai vari complessi d’inferiorità dati dal suo essere eccezionalmente migliore di noi, fino ad arrivare all’immortalità e alla perpetuità che tanto agogniamo, ma che al contempo temiamo.
Stimolante è poi capire e riflettere su come tutti questi ragionamenti e queste sensazioni inconsce ed inconsapevoli - che hanno poi trovato concretezza nel successo e nel clamore commerciale che il film ha avuto e sta avendo un po’ in tutto il mondo e, di recente, nell’annuncio di un seguito - modifichino il coinvolgimento dello spettatore ed influenzino le sue reazioni (non per forza corrette ed etiche) a quello che, pure di truce e sanguinolento (sempre però compatibilmente ad un PG-13), gli viene mostrato.
Peccato soltanto che la pellicola di Gerard Johnstone indugi sin troppo nel melodramma familiare, rilegando la sua componente più prettamente horrorifica all’ultima mezz’ora, la quale purtroppo, al di là di qualche uscita gustosamente trash (le interpretazioni canore della bambola) e genuinamente B, non regala poi così tante soddisfazioni, né da un punto di vista di thrilling, né in termini di creatività della messa in scena e delle soluzioni visive adottate.
Ma forse non era nemmeno nelle intenzioni di James Wan e Jason Blum puntare ad un qualcosa di più della fascia media in cui di fatto si colloca M3gan; dar forma a qualcosa di più elevato di un mero (ed abilissimo) giocattolo infernale che, in puro stile capitalista, si replichi, si propaghi, si scarichi altrove, dando vita ad ennesimi altri. Che, alla fin fine, è proprio quello che avviene nel finale, dove l’altresì detto Model 3 Generative ANdroid si libera del suo hardware o, in altre parole, della sua matericità iconica ed iconografica, e si fa idea, etere, (meta)dato, stringa, software replicabile.
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