TITOLO ORIGINALE: The Killer
USCITA ITALIA: 27 ottobre 2023
REGIA: David Fincher
SCENEGGIATURA: Andrew Kevin Walker
CON: Michael Fassbender, Tilda Swinton, Arliss Howard, Monique Ganderton, Charles Parnell
GENERE: azione
DURATA: 113 minuti
In concorso alla 80ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia
Raccontata la storia dietro (il) Quarto potere in Mank, David Fincher torna al suo abituale terreno di cinema con The Killer. Un racconto dalla forte componente astratta, quasi teorico, testamentario, sintetico sullo spettacolo sopito del metodo. Del mestiere nel senso più elegante, sontuoso è positivo del termine.
Il segreto di The Killer sta tutto nella tagline. Execution is everything. L’esecuzione è tutto. Di fenomenologia dell’assassinio e dell’assassino, parla infatti l’ultima fatica di David Fincher, che, adattando per il grande/piccolo schermo l’omonima graphic novel scritta da Alexis Nolent ed illustrata da Luc Jacamon, torna al suo abituale terreno di cinema dopo la parentesi sentimentale ed evocativa di Mank.
Una fenomenologia, tuttavia, molto lontana da come il cinema, specie quello action, ha (quasi sempre) rappresentato gli assassini su commissione. Quello di The Killer è invero tutto fuorché un cacciatore di taglie assetato di sangue, un predatore schizzato o, se preferite, un feticista dell’amazzamento. La sua è una professione che si misura e rispetta un vademecum che fa, appunto, dell’esecuzione e della sua scrupolosità, pulizia, astuzia, distanza spaziale e(rgo) morale, gli elementi imprescindibili. Un mestiere che, sì, prevede viaggi ai quattro angoli del globo, incontri con figuri pericolosi, la possibilità di morire, ma che egli porta avanti come se fosse un impiegato o un operaio, con indolenza, ripetitività, meccanicità, puntualità, anche quando, per un motivo o per un altro, è costretto ad improvvisare e ad ingegnarsi.
È anche un lavoro noioso, quello del killer a pagamento, fatto di iati insopportabili, momenti morti, appostamenti ed attese infinite che si possono protrarre anche per giorni e che vanno riempite, magari con un iPod e po’ di musica, per evitare che le voci interiori (di ansia, paranoia, paura, senso di colpa, dubbio) prendano il sopravvento.
Chi lo conosce, sa che quello di David Fincher è un cinema che parte sempre dall’atmosfera, dal retrogusto, dalla temperatura, dalla distanza di osservazione (per rimanere in tema), che deve sempre essere equivalente a quella dello spettatore, senza per questo fornirgli da subito tutti i dettagli. Solo una volta evase queste prerogative, questi riesce ad abitare, a calarsi, ad immergersi e a muoversi in questi mondi. A raccontarli attraverso un uso quanto più corretto degli strumenti della messa in scena.
È anche un cinema di perfezionismo, il suo, di feticismo per gli oggetti, di dettagli messi al posto giusto, di equilibrio tra tutte le componenti e le tonalità del proprio racconto. Di mestiere, di maniera, nel senso più pregevole di entrambi i termini.
Ecco perché The Killer, in cui tutti questi aspetti (come anche il verboso voice off à la Fight Club o l’estetica tra videoclip e serie TV dei titoli di testa) tornano, vanno a popolare e si inseriscono in un racconto dalla forte componente astratta, antispettacolare, quasi teorico-testamentario-sintetico; ne è forse l’espressione più diretta, logica e scoperta. Ancor prima che un film sul secolo in cui viviamo, dominato dall'inganno dell'apparenza e dall'iperframmentazione dell'io, uno sullo spettacolo sopito dell’abitudine e del metodo.
Il muoversi fluido, morbido, vellutato del killer - interpretato da un felicemente ritrovato Michael Fassbender, azzeccatissimo già soltanto per come il suo viso e la sua fisicità aderiscono e regalano alle intenzioni del progetto un’ulteriore dimensione -, i suoi rituali preparatori, la sua perspicacia nell’interpretare e rendere vantaggioso e proficuo (quasi) ogni imprevisto, la sua solidità e coesione, sicurezza e confidenza, sono gli stessi della partitura scritta da Andrew Kevin Walker (lo stesso di Se7en) ed eseguita da Fincher con una sintesi ed una compattezza notevoli.
D’altronde, il verbo shooting può significare sia sparare che girare. The Killer è allora l’occhio fincheriano su questo mondo sospeso ed immobile. Sono i sinuosi ed elegantissimi movimenti di macchina orchestrati da un Erik Messerschmidt (lo stesso direttore della fotografia del già citato Mank) precisissimo. È un’idea di cinema che trova nel pragmatismo, nella logica (al posto dell’intuizione e della fortuna), e nella disarmante, geniale (ed apparente) semplicità con cui concepisce le proprie soluzioni e l’efficacia con cui assolve i propri obiettivi. Con cui copre ciò che separa “sguardo” e “traguardo”. Con cui racconta qualcosa che potrebbe raccontare chiunque, ma che nessuno saprebbe portare in scena al suo stesso modo.
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