TITOLO ORIGINALE: Finally Dawn
USCITA ITALIA: 14 dicembre 2023
REGIA: Saverio Costanzo
SCENEGGIATURA: Saverio Costanzo
CON: Lily James, Rebecca Antonaci, Joe Keery, Rachel Sennott, Alba Rohrwacher, Willem Dafoe
GENERE: storico, drammatico
DURATA: 140 min
In concorso alla 80ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia
Forte di una grossa co-produzione europea da quasi 30 milioni di euro, Saverio Costanzo firma un’inquietante, ipnotica e pericolosa discesa in un mondo anestetizzato dall’apparenza, vacuo, artificioso, sfuggente, ingannevole, morboso, criminale, se non proprio mortale, impreziosito da una convincente interpretazione di Lily James. A rovinare il tutto, ci pensa però un finale prolisso, sabotato da una CGI vergognosa, inutilmente simbolico, di fatto incomprensibile.
Fin dai primi minuti di visione, viene da chiedersi perché, nel nostro paese, non sia stato fatto prima un film come Finalmente è l’alba di Saverio Costanzo. In un momento storico e cinematografico in cui tutti, specie oltreoceano, si stanno rifugiano nel proprio glorioso passato, nel racconto terapeutico dei propri successi e dei propri miti fondativi, nella nostalgia, nella riscoperta e rivalutazione anche ucronica, appare quasi incredibile una sequenza come quella che apre l’ultima fatica del regista de La solitudine dei numeri primi e di Hungry Hearts, che, per fotografia, intensità, costruzione drammatica e soggetto, sembra estrapolata da uno dei grandi capolavori di Roberto Rossellini e Vittorio De Sica. È destabilizzante pensare che, viste le direzioni e le correnti degli ultimi anni di cinema, non sia stato prodotto prima questo C’era una volta a… Cinecittà.
Ci pensa, appunto, un Costanzo mimetico e sottratto, riconoscibile soltanto nella scelta e nell’uso di musica e spazi, con una maxi-coproduzione europea da quasi 30 milioni di euro ed un cast dal respiro internazionale (figurano Lily James, Joe Keery da Stranger Things, e Willem Dafoe col suo adorabile accento italiano), che racconta quella che, ad un’occhiata fugace, parrebbe l’ennesima storia sul fascino e la magia del mezzo e della macchina cinematografica, ambientata nella Roma degli anni ‘50 (nello specifico, del 1953), letteralmente presa d’assalto da registi, attori, produttori hollywoodiani, che occupano e monopolizzano gli studi in via Tuscolana per girarvi i propri imponenti e preziosi kolossal.
Sul set di uno di questi film si ritrova Mimosa (l’esordiente, classe 2004, Rebecca Antonaci) - una giovane ragazza abbastanza ingenua e pura di cuore (forse anche troppo), avida lettrice di rotocalchi, in procinto di sposarsi con un uomo che piace di più alla sua famiglia che a lei - insieme alla sorella, “chiamata” per un provino come comparsa. Qui viene notata da Josephine Esperanto, la star del film (un peplum ad ambientazione egiziana), veterana della Hollywood classica, che la vuole di fianco alla macchina da presa mentre gira una delle sue scene più ardue ed importanti. Ammaliata dal fascino della diva e un po’ sbigottita dalle attenzioni riservatele, la giovane ragazza verrà coinvolta in una di quelle lunghe e tipiche notti romane di vagabondaggio, incontri e discesa sempre più inquietante e pericolosa in un mondo anestetizzato dall’apparenza, vacuo, artificioso, sfuggente, ingannevole, morboso, criminale, se non proprio mortale. Infatti, alla stregua di quanto fatto da Tarantino in C’era una volta a… Hollywood, Finalmente l’alba si rifà e pone le proprie vicende in semi-contemporaneità col vero, misterioso ritrovamento del corpo annegato di Wilma Montesi - una ragazza idealmente come la nostra Mimosa, anche lei col sogno del cinema -, senza però mai affrontarlo o trattarlo con la medesima visceralità e sentimento tarantiniani.
È più uno strumento atmosferico, un riferimento temporale, un meccanismo di tensione ed angoscia per un racconto che abbraccia più volentieri (rispetto al nostalgico ritratto) una dimensione di romanzo di formazione e di favola nera con tanto di strega (una Lily James melliflua in uno dei suoi migliori ruoli) sul solito e (in campo metatestuale) confronto tra illusione e realtà. Sulle verità e sulle bugie anche un po’ deprimenti e spietate delle passioni letali, delle gioie terribili, del proverbiale “oro che luccica”. Immagini e miti eterni, sogni ad occhi aperti, in questo caso, da cui è facilissimo diventare dipendenti, che lanciano i loro incantesimi irresistibili (meraviglioso il lavoro sul fuoricampo che stimola il nostro desiderio di vedere) per divorarci, prosciugarci di tutta la nostra luce e trascinarci negli angoli bui della propria grandezza, fra rimorsi, false identità, crisi improvvise, ferite, vizi e complessi di inferiorità.
Ma Finalmente (arriva) l’alba e, con sé, una nuova consapevolezza, che Costanzo, non parco di una chiusura ideale, a metà tra il finale di Buongiorno notte e la spiaggia de La dolce vita; purtroppo porta troppo in là. Fino ad un finale prolisso, sabotato da una CGI vergognosa, inutilmente simbolico, di fatto incomprensibile, che condanna e rovina tutto ciò che la pellicola, pure mirabilmente, era riuscita a creare.
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