TITOLO ORIGINALE: DogMan
USCITA ITALIA: 05 ottobre 2023
USCITA FRANCIA: 27 settembre 2023
REGIA: Luc Besson
SCENEGGIATURA: Luc Besson
CON: Caleb Landry Jones, Christopher Denham, Marisa Berenson, Michael Garza, Jojo T. Gibbs
GENERE: drammatico, thriller
In concorso alla 80ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia
Caleb Landry Jones è sensazionale come vigilante canaro, reietto e uno pseudo-Joker in DogMan di Luc Besson. Il regista francese torna in forma smagliante con un film dignitosamente modesto, puramente intrattenitivo, che riesce, malgrado le numerose assonanze, a mantenere una propria cifra ed un suo perché.
È un film che abbiamo già visto DogMan di Luc Besson, il primo grande intruso del concorso di questa 80ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Nel conoscerne le premesse e nel vederlo, è infatti impossibile non pensare ai grandi racconti di reietti, emarginati, respinti, orfani, sia dell’amore di un familiare o di una relazione, che della considerazione della società in cui vivono e lungo i cui confini ed ambiguità deterministiche ed etico-morali si muovono. Parliamo, giusto per citare i più noti o per non menzionare altri antieroi bressoniani, di Taxi Driver e del suo figlio putativo Joker. Ed è proprio col DC movie di Todd Phillips che DogMan ha più in comune, dal momento che lo potremmo considerare alla stregua di un cinecomics d’autore.
Infatti, dopo quella che è una storia di origini in piena regola (fatta di abusi, violenza, repressione e fanatismo religioso), Douglas, il nostro antieroe protagonista, ha un’epifania, un miracolo, e scopre di avere un potere, che lo scagiona e rende finalmente libero, e che sfrutta per compiere qualcosa di molto vicino al vigilantismo dei comics americani. Esso consiste in uno strano legame inter-specie, più precisamente nella capacità di comunicare con i cani, ché si tramutano per lui in qualcosa di simile ad una fede incondizionata, ad una famiglia da accudire e da cui essere accudito. Perché, per Douglas, i cani e, per essere più precisi, i suoi cani hanno tutte le virtù dell’uomo, ma non sono viziosi. Sono randagi, vittima della meschinità di quelli che un tempo erano i loro padroni. Sono eternamente fedeli e mantengono i patti che stringono. E non mentono quando esprimono amore ed affetto.
Eppure, il film di Luc Besson - che custodisce tutti i suoi (pochi, facili, ma adeguati) segreti nel titolo, DogMan, e, come viene mostrato nel film, nell’inverso della parola Dog (God) - riesce ad emanciparsi da quello che pareva un certo destino di anonimia e derivazione grazie ad un paio di fattori. Il primo è proprio il retroterra fantastico del soggetto, nato a partire dalla lettura di un articolo di giornale riguardante la notizia di un bambino tenuto prigioniero in una gabbia (proprio come avviene al piccolo Douglas).
In secondo luogo, è sempre affascinante la praticità e l’artigianalità degli oggetti di scena (come, ad esempio, il medioevale tutore gambale a cui il nostro uomo dei cani verrà costretto) e, va da sé, dell’idea di action movie e di spettacolo analogico che ne deriva. Per non parlare della genialità e genuina ispirazione di alcuni espedienti e soluzioni, specie nell’utilizzo e nell’esplorazione delle possibilità creative dei brutali amici a quattro zampe - tant’è che potremmo definire la pellicola anche come un’espansione dell’orgia canina di John Wick: Parabellum.
Ma l’elemento decisivo che fa di DogMan, al di là di un film divertente, quadrato, solido, condito da effetti di gran livello ed un montaggio precisissimo, e di grande intrattenimento, la riconferma dell’innata e ritrovata abilità di Besson - qui in grande spolvero - di corteggiare, riprendere, navigare a vista e mimetizzarsi nelle formule e nei modelli del cinema mainstream, pur mantenendo una propria personalità, un tocco ben preciso, ed una misura riconoscibilmente sua; è senz’altro l’interpretazione di Caleb Landry Jones.
Il cineasta gli allestisce il perfetto palcoscenico per sbloccare le piene, smisurate e camaleontiche virtualità del proprio volto e del proprio corpo, scivolando con nonchalance dall’action sanguinolento al dramma, dalla commedia nera al thriller e all’horror, fino ad arrivare al musical e al queer cinema (con tanto di rianimazione drag, sfruttando i trucchi e le illusioni del medium, di grandi dive come Edith Piaf, Marlene Dietrich e Marilyn Monroe).
Egli, per contro, eleva la caratterizzazione semplice e proverbiale del copione dello stesso Besson, interpreta alla perfezione questo carattere trasformista ed ibrido del progetto, del suo racconto e, come scritto sopra, di tutto il cinema del cineasta francese; e dona a questa favola noir, l’ingrediente per ambire a qualcos’altro. Per essere qualcosa di più che un divertissement dignitosamente modesto.
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