TITOLO ORIGINALE: Emily
USCITA ITALIA: 15 giugno 2023
USCITA USA: 14 ottobre 2022
REGIA: Frances O'Connor
SCENEGGIATURA: Frances O'Connor
CON: Emma Mackey, Oliver Jackson-Cohen, Fionn Whitehead, Alexandra Dowling, Amelia Gething
GENERE: drammatico, sentimentale, biografico
DURATA: 130 min
Presentato al Toronto International Film Festival 2022
Attrice austeniana in Mansfield Park, Frances O'Connor fa il suo esordio alla regia cinematografica con un film che intende raccontare la figura di Emily Brontë e la nascita del suo primo ed ultimo romanzo, oltre che grande capolavoro Cime tempestose. Laddove Emily è disposto ad indignare tutti i brontiani e qualche spettatore con una serie di tradimenti e libertà rispetto alle cronache, non lo è però a tal punto da convertire il proprio racconto al genere puro, ad una storia di fantasmi ambientata in un non-luogo che è una sorta di sintesi evanescente ed esangue. Rimangono comunque l'eleganza stilistica e il piglio promettente di O'Connor.
Tantissimi sono stati i ritratti femminili che hanno popolato il grande schermo negli ultimi anni. Così tanti che questa pratica - quella del restituire la complessità e, il più delle volte, la modernità di una figura storica e della sua vicenda pubblica ed intima - potremmo ormai definirla al pari di un filone, se non proprio di un cliché.
Evitare lo stereotipo, l’operazione scontata, smaccata, ostentata e dagli ovvi intenti, il compitino emancipatorio prodotto più che per comodità ed utilità che per altro, dal messaggio tanto esemplare quanto vacuo; è allora una delle vie, se non addirittura l'unica via da percorrere. La stessa che imbocca l’attrice australiana (nota per i suoi ruoli nell’austeniano Mansfield Park, nella rom-com Indiavolato al fianco di Brendan Fraser, e in A.I. - Intelligenza artificiale) Frances O’Connor nel suo esordio alla regia cinematografica.
È difatti nel segno della famiglia Brontë e, nello specifico, nella storia di una delle sue figlie, Emily, che si muove prima la penna e poi lo sguardo dell’interprete, dimostrando già da alcune piccole, grandi scelte - che potremmo definire altrimenti deviazioni, suggestioni, tradimenti, volte per l’appunto a sottrarsi al facile cliché - una notevole personalità, nonché un piglio promettente rispetto alla materia filmica.
Basti pensare, ad esempio, al fatto che, in una pellicola che intende raccontare le memorie, le ragioni, i presupposti, che hanno favorito ed ispirato la nascita di una delle grandi autrici di tutti i tempi, le sequenze in cui vediamo Emily scrivere effettivamente si possano contare per davvero sulle dita d'una mano. O ancora, all’importanza che, in un film che nasce ed avanza in un contesto storico, sociale, culturale e produttivo di assoluta e talora spregiudicata indipendenza, preminenza ed autonomia (anche affettiva ed amorosa) di figure femminili per il cinema (e non solo), riveste una presenza maschile ed una relazione totalizzante, ai fini della definizione individuale ed artistica (secondo il copione, invero, dalle emozioni che suscitano questo amore e la sua fine sarebbe nato il grande capolavoro Cime tempestose) della sua protagonista.
Quest'ultimo elemento diventa decisamente più significativo, se si considera che, di questa storia d’amore - quella che occupa ed interrompe la porzione centrale di Emily -, non vi sono prove certe, e che quindi deriva quasi del tutto dalla mente della regista.
Ciò nondimeno, malgrado ci si spinga in tradimenti quanto basta per indignare tutti i brontiani, la pellicola pare mantenere una certa dose di ambiguità o, meglio, sembra non voler andare fino in fondo. Emily sembrerebbe e, perciò, avrebbe dovuto essere infatti un horror gotico, un film di genere puro, una storia di fantasmi ambientata in un non-luogo che è una sorta di sintesi evanescente ed esangue sia dei fondamenti e precetti moralisti, conservatori e paternalistici su cui si erigeva la società inglese in pieno XIX secolo, sia dell’ideale, della mitologia e iconografia naturalistica, delle suggestioni e delle atmosfere, delle ambientazioni rurali, di campagna e brughiera, contenute nei romanzi neoclassici e romantici non solo delle sorelle Brontë, ma anche della parimenti rinomata Jane Austen.
E, in un certo senso, Emily lo è; ci permette di percepire questa sua vera essenza, la coesistenza di un altro film, più profondo, travolgente, provocatorio. Lo è in sequenze dove O’Connor rivela un disarmante senso della tensione, aiutata dall’incantevole sound design di Niv Adiri e dalla colonna sonora di buon intervento di Abel Korzeniowski.
Ma anche nel modo in cui lascia che la propria impalcatura filmica venga pervasa dal soprannaturale, dallo spiritico, dell’onirico, da quel buio sospeso ed inquietante da cui sembra fuoriescano i suoi personaggi, che cadenza (in un uso - al limite dell’abuso - di dissolvenze e stacchi al nero) la narrazione della storia di Emily e delle relazioni che intrattiene con le poche persone che la circondano, e che informa e definisce di fatto l’approccio ellittico ed asciutto di questa stessa narrazione.
Lo è infine nella scelta di affidare ad Emma Mackey l’oneroso compito di riportare in vita l’autrice di Cime tempestose. Il volto particolarissimo, “weird” (“weird” è soprannominata, d’altronde, la stessa Brontë dalla sua famiglia e da tutto il villaggio), gli occhi perennemente sgranati, la fisionomia quasi aliena della giovane star di Sex Education parrebbero puntare verso un’opera ed un prodotto parimenti accentuati nel tono ed enfatizzati nei risvolti narrativi ed estetici.
Al contrario, proprio perché Mackey non viene supportata e non si muove in un adeguato spazio filmico, non è innanzitutto possibile scorgere quel potere sopito ma distruttivo, caotico, vorticoso che alberga in lei, che la possiede e riesce ad esprimersi irrefrenabilmente nella scrittura. Latita, di conseguenza, il vero delirio, che - una volta conosciuto e smascherato quel potere, quell’illuminazione pervasiva - dovrebbe scuotere e prendere il controllo della giovane e, ovviamente, della sua scrittura, per dar vita a quel che sarà il suo primo ed unico romanzo, a cui seguirà, giusto un anno più tardi, la sua improvvisa scomparsa per via della tubercolosi. Quasi come se la manifestazione febbrile, disinibita e vivida di quel potere di cui sopra, di quella intuizione straordinaria, abbia finito per prosciugarne del tutto la forza vitale.
Quel che resta all’esordio di O’Connor è allora l’eleganza, il gusto e lo stile che contraddistinguono la scrittura (visiva) di quelle pagine. O, in altre parole, la consapevolezza con cui la neo-regista riesce a comunicare e sintetizzare stati d'animo attraverso le immagini e il loro dialogo reciproco, ricordando e rimettendo in quadro le lezioni di pellicole quali Lezioni di piano e Bright Star della connazionale Jane Campion, Miss Marx di Susanna Nicchiarelli e Il corsetto dell'imperatrice di Marie Kreutzer. Quel che viceversa si cela al di là e al di sotto di questa storia rimane ben custodito nell’ambiguità dello sguardo di Emily Brontë (e di sua sorella Charlotte dopo di lei).
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