TITOLO ORIGINALE: The Little Mermaid
USCITA ITALIA: 24 maggio 2023
USCITA USA: 26 maggio 2023
REGIA: Rob Marshall
SCENEGGIATURA: David Magee
GENERE: fantastico, musicale, sentimentale
DURATA: 135 min
Dopo tante controversie, approda in sala il remake live action de La sirenetta. A dispetto di un inizio che pare appartenere a tutt'altro tipo di produzione, la pellicola corrisponde al millimetro al tipo di operazione che premesse e materiali pubblicitari avevano fatto intuire. Un'operazione che punta dunque a modernizzare il già moderno testo di base, rendere detto il non detto, espandere (talora a dismisura) la mitologia e il racconto che informavano le tavole del classico d'animazione. Torna il peccato originale di quasi tutti i tentativi di rifacimento dal vero Disney per quanto concerne creature animali e fantastiche, così come non convincono le nuove canzoni scritte da Lin-Manuel Miranda. Tuttavia, la giustezza di Halle Bailey e la saldezza della mano di Rob Marshall rendono quantomeno simpatica un'avventura di per sé abbastanza innocua.
“Ma una sirena non ha lacrime, e quindi soffre molto di più”. È di Hans Christian Andersen, lo stesso autore della fiaba da cui fu tratto dapprincipio, nel 1989, l’indimenticabile classico d’animazione de La sirenetta, la citazione in esergo che apre il controverso e discusso remake live action che Rob Marshall (Chicago, Into the Woods e Il ritorno di Mary Poppins) dirige proprio di quella, iconica pellicola.
È una scelta peculiare, che sembrerebbe appartenere ad un altro genere e tipo di prodotto e produzione, più sofisticata e raffinata di quanto non sia mai stata la sequela di rifacimenti “dal vero” delle più belle avventure della casa di Topolino. Una scelta che dota questi primissimi minuti di un’aura particolare, nuova, inaspettata, promettente, suggestiva.
Peccato che bastino due soli stacchi di montaggio per smentire premesse e promesse - ma forse si trattano soltanto di nostre personalissime illusioni - e capire fin da subito che, a dispetto di ciò che quella citazione e quell’inizio così rarefatto e lirico avevano stimolato, La sirenetta di Rob Marshall corrisponde al millimetro (perché non avrebbe dovuto poi?) al tipo di operazione che i materiali pubblicitari, ma anche la stessa durata avevano fatto intuire.
Anzi, già dai 135 minuti lungo cui si è deciso di spalmare la storia di una pellicola che, al contrario, ne durava solo 82, si capiscono davvero molte cose sugli intenti del progetto Disney. Alcune (poche) sono positive, altre (la maggior parte) non proprio come noi avremmo e avrebbe desiderato chi ci ha lavorato.
Difatti, ci troviamo di fronte, innanzitutto, ad un altro remake che, come quasi tutti i suoi predecessori, tenta disperatamente di convincerci, ammaliarci dei propri legittimi e giusti propositi. Che si giustifica in continuazione della propria esistenza e della sua occorrenza in rapporto al testo e al materiale originale.
E, tutto questo, lo fa, da un lato, aggiornando e ponendo un’enfasi maggiore sul discorso ambientalista ed ecologista, sull’importanza della salvaguardia e dell’equilibrio degli oceani e delle creature che lo abitano (perché sarà proprio il mare che, un domani, si prenderà la terra ferma), rovinato da noi, gli abitanti di superficie, che, a differenza di quanto avvenisse nel cartoon, in una recrudescenza quasi omerica, credono che le sirene siano esseri malvagi e vendicativi che, con la propria voce, lanciano sortilegi sui marinai per farli andare alla deriva.
Ma anche donando una supposta, maggiore profondità ai personaggi di Ariel ed Eric, dando risalto ed esprimendo ancor più palesemente i loro sogni, le loro ambizioni, il loro modo di vedere le cose, la vita e il mondo che li circonda. Ecco quindi che, da personaggio abbastanza funzionale, il principe si converte in un ragazzo adottato, temerario, anti-classista, ribelle, assetato di conoscenza e nuove scoperte, e desideroso di cambiare la politica del proprio regno, la maniera in cui il proprio popolo si relaziona con quello che si cela al di là e al di sotto delle proprie coste, nelle profondità marine, aprendo dunque la via per un governo meno diffidente, circospetto e discriminatorio di quanto (poco) non sia, ma aperto all’ignoto, alla collaborazione col diverso, con l’altro, più egualitario e democratico, in un certo senso.
O ancora attraverso quella che potremmo definire quasi un’espansione, una dilatazione della mitologia e del racconto che informavano, riempivano ed animavano le tavole della pellicola originale di Clements e Musker.
Ciò detto, la mera esistenza di questi, piccoli e grandi cambiamenti, variazioni e libertà rispetto al testo di base non permettono di dimenticarci di quanto audace e, per molti versi, innovativo fosse La sirenetta del 1989. Basti pensare al percorso di Ariel, che sceglie autonomamente di abbandonare il proprio mondo e potremmo aggiungere di emanciparsi rispetto ad un futuro già precostituito e fatto di felicità ed agio innati, per inseguire, sì, il grande amore, ma anche il semplice desiderio di uscire fuori dal guscio ed esplorare il mondo degli umani.
Percorso, quest’ultimo, che fa poi del principe Eric il solo, unico e vero personaggio esclusivamente finalizzato alla ricerca di una ragazza con cui accasarsi e sistemarsi, come desiderano il suo fido Sir Grimsby e i suoi genitori - un’incombenza, quella del matrimonio e di “trovare un buon partito”, che al tempo apparteneva perlopiù a corde femminili.
In aggiunta, la sola presenza di tutte quelle scelte e quelle aggiunte di cui sopra non rendono le stesse meno superflue e pleonastiche rispetto alla meravigliosa sintesi della pellicola che, proprio grazie alla sua modernità compositiva e ad una “poppizzazione” del genere operistico, diede poi il là al Rinascimento Disney.
Ciò nondimeno, sono soprattutto le tanto vociferate nuove canzoni a rimarcare maggiormente ed ulteriormente la vanità delle ambizioni di Marshall & co., e a rendere proprio chiara l’inefficacia di un racconto gonfiato e trascinato a dismisura. Composti e scritti nientemeno che dall’attuale mirato di mamma Disney, Lin-Manuel Miranda (il premiatissimo autore di Hamilton e delle colonne sonore instant cult di classici d’animazione più recenti come Oceania ed Encanto), brani come quello solista del principe Eric, il duetto tra Sebastian e Scuttle, o ancora quello immaginato da una Ariel privata del suo magico canto, non mostrano - seppur magari riabilitati un po’ dalle prove degli interpreti e delle voci originali - la stessa energia, la medesima ispirazione, la stessa emozione, né tantomeno si integrano ed amalgamano così bene con quelle, originali e leggendarie, di Alan Menken - che per La sirenetta vinse pure l’Oscar.
A questo si aggiungono i problemi di fondo, i peccati originali di quasi tutte le operazioni di rifacimento live action. Vale a dire la mancanza e la perdita della varietà e di tutte le possibilità espressive od iper espressive garantite dall’animazione, specie per le creature animali e fantastiche, non più antropomorfe, ma necessariamente fotorealistiche (CGI permettendo), talora inquietanti, stranianti (meno però, per fortuna, de Il re leone, grazie all’equilibrio dato dalla presenza umana) oltre che anonime, fredde, vitree.
Per non parlare, infine, dell’inevitabile e tutt’altro che sorprendente derivazione generale del progetto, in termini meramente estetici, non solo strettamente dal cartoon di base, ma anche da pellicole come Pirati dei Caraibi (il quinto, non a caso, è a firma di Marshall) ed Aquaman e da serie come Bridgerton.
Oppure, se proprio vogliamo essere ancora più precisi per quel che riguarda l'edizione italiana, del doppiaggio discontinuo, volubile, irregolare nelle accentuazioni e nelle sfumature del cantante Mahmood nei panni del granchio Sebastian, o dell’effetto parimenti alienante della discrepanza, soprattutto nei primi e primissimi piani, tra labiale inglese e cantato italiano. È questo, purtroppo, lo scotto che lo spettatore dovrà pagare per poter riascoltare, senza sottotitoli di sorta, alcune delle canzoni più amate e celebrate dell’intero repertorio Disney.
Eppure, Halle Bailey nei panni di Ariel è azzeccatissima (in barba alle critiche), dotata di quel senso di meraviglia, di quello svagato spaesamento, dello stesso sguardo trasognato. In più, la chimica che dimostra quando è su schermo insieme a Jonah Hauer-King (ovvero il principe Eric) fa sì che pure momenti evidentemente filler o, per l’appunto, allungati oltremodo, come la prima conoscenza tra i due in biblioteca o l’esplorazione del regno con tanto di sequenza di ballo, regalino al film una certa dose di dolcezza e tenerezza, permettendo allo spettatore, anche se solo per un attimo, di dimenticarsi dell’irrinunciabile immaginario ed iconografia del film originale e provare una sorta di simpatia per le sorti del loro amore e della loro avventura. Pure Melissa McCarthy non sfigura nei panni di Ursula e non lo fa nemmeno Javier Bardem come Re Tritone.
E malgrado si trovi più a suo agio nelle sequenze musical che non in quelle d’azione, e, in particolare, funzioni sommariamente meglio quando si trova a ricalcare quasi shot-for-shot, con intuizioni visive che si vede troppo bene quanto non gli appartengano (eccezion fatta per il combattimento finale contro una gigantesca Ursula, davvero sgraziato e privo di qualsiasi senso di mostruosità o pericolo); la mano di Rob Marshall si mantiene salda, sbaglia sì qualche punto macchina ed angolo di ripresa, non riuscendo a cogliere il sentimento e la gravità di un paio di momenti iconici, ma riesce comunque ad orchestrare, con mestiere, uno spartito abbastanza arduo da rieseguire, senza offendere nessuno.
Tanto simpatico quanto innocuo, La sirenetta è allora un canto che non ammalia più di tanto, né trova la sua voce, ma che, per fortuna, non stona più di quanto ci si aspetterebbe.
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