TITOLO ORIGINALE: Peter Pan & Wendy
USCITA ITALIA: 28 aprile 2023
USCITA USA: 28 aprile 2023
REGIA: David Lowery
SCENEGGIATURA: David Lowery, Toby Halbrooks
GENERE: fantastico, avventura, musicale, commedia, drammatico
DURATA: 106 min
PIATTAFORMA: Disney+
Pur intitolandosi Peter Pan & Wendy, il centro e il cuore dell'ultimo arrivato della lunga serie di remake live action dei classici d'animazione Disney è il rapporto di amicizia tradita tra Peter Pan e Capitan Uncino. David Lowery è il regista di una pellicola che riporta l'attenzione dello spettatore sul tema del cambiamento e dell'immutabilità di un'avventura perenna e confortante, centrali nel mondo infantile di Peter Pan già a partire dalla pièce originale di J. M. Barrie, che egli, assieme al sodale co-sceneggiatore Toby Halbrooks, avvicina al tradizionalismo della storia originale. Soprattutto per questo, Peter Pan & Wendy è uno dei rifacimenti più dignitosi, compiuti ed interessanti.
Si intitola Peter Pan & Wendy l’ultimo arrivato nella lunga fila di contestati e controversi rifacimenti live action di alcuni dei più grandi classici animati della libreria Disney. Per chi vi scrive, però, questo titolo è equiparabile a semplice burocrazia, e compresa in un perspicuo tentativo, proprio a partire dal titolo, di riadattare allo zeitgeist contemporaneo l’intramontabile pièce teatrale d’inizio Novecento di J. M. Barrie e l’adattamento che, giusto 70 anni fa, la casa del Topo trasse in un’avventura animata che ha fatto storia, incantando generazioni su generazioni fino ai giorni d’oggi.
Difatti, pur trovando una sua dimensione di crescita e presenza all’interno dell’intreccio, la presenza di Wendy (portata su schermo da un’amabile Ever Anderson, figlia del regista Paul W.S. Anderson e dell’attrice e modella Milla Jovovich) in Peter Pan & Wendy è soltanto conveniente materiale drammaturgico; uno specchietto per allodole al fine di distogliere l’attenzione dei meno attenti dal vero cuore della pellicola e della sceneggiatura, scritta dal regista, David Lowery, insieme al sodale Toby Halbrooks. Ché è invece il rapporto e la personale storia che lega lo stesso Peter Pan al suo acerrimo nemico, Capitan Uncino, qui interpretato da un Jude Law in forma smagliante, il quale, ancora una volta (dopo Watson nella duologia ritchiana di Sherlock Holmes, e Silente nel franchise di Animali Fantastici), dona tutto sé stesso per rendere e far suo un personaggio già divenuto iconico prima, altrove, per merito di qualche altro interprete.
L’importanza del loro legame - quello tra il bambino che non voleva crescere (come già titolava, didascalicamente, la pièce originale di Barrie) e il qui fu bambino, deluso e scacciato dal primo, e divenuto un adulto incapace di essere qualcun altro al di fuori di quello che la vita, il destino, il sentimento, l’autore(?) gli ha imposto di essere - viene titillata sin dal primissimo segmento, dove Michael Darling chiede alla mamma il “perché Capitan Uncino odia Peter Pan”; risulta poi essere il principale materiale emotivo ed emotigeno di tutta la sezione centrale, ed è l’immagine con cui Lowery sceglie di chiudere l'avventura, lasciando ben poche possibilità di una prosecuzione.
Ciò detto, il motivo che informa la relazione e le schermaglie dei due, nonché l’immarcescibile colonna portante di tutta l’operazione è, come prevedibile, il solito diverbio e scontro/incontro di opinioni sul tema della crescita e del diventare adulti, visto da Peter (ed inizialmente pure da Wendy) come una maledizione da cui fuggire fisicamente (o figurativamente), rifugiandosi in un’avventura eterna, perenne, immutata ed immutabile, laddove in realtà, come dice una Wendy consapevole e speranzosa nel finale, affrontare ed essere affrontati dalla vita è forse il più grande dono e la più grande avventura che esista.
Allo stesso tempo, è interessante l’idea che, all’immutabilità confortante e al conservatorismo dell’avventura perenne, Lowery & co. accostino anche il tradizionalismo della storia originale, che, per maturare, crescere, essere attuale ed accordata col percorso di inclusività e diversità di rappresentazione della filiera hollywoodiana (il tanto, e talora ingiustamente, vituperato politicamente corretto), deve cambiare; deve, in qualche modo, venir tradita. Nel bene e nel male.
E quindi sono ben accolti, anzi scritti e messi in scena con inaspettata delicatezza tutti i cambi di etnia di personaggi come Trilli o lo stesso Peter Pan, così come l’inserimento di un giovane attore con la sindrome di Down tra le fila dei bambini sperduti, o ancora tutti gli accenni del copione che, prudentemente e mai sgraziatamente, rendono chiare le (secondarie) finalità rinnovatrici e revisioniste del progetto.
Risultano, al contrario, sì comprensibili, ma abbastanza discutibili la scelta di eliminare del tutto i conflitti interni al gruppo di eroi (specie negli iniziali screzi fra Trilli e Wendy), o ancora la soppressione quasi integrale di presenze come la tribù indiana (un tentativo di preservare l'integrità politica del film?) e le sirene, così come il bacio immediato ed istintivo che Wendy dà a Peter non appena ne fa la conoscenza, quest'ultima forse una delle scelte più audaci e moderne del classico d’animazione originale.
Altrettanto audace, molto interessante, ma forse non del tutto benefica ai fini della memorabilità e della capacità iconica del film, è infine la decisione, passata la metà, di rappresentare e dipingere Peter Pan come un personaggio quasi negativo; per quello che, in profondità, è sempre stato: un bambino capriccioso, viziato dal suo essere mito, arrogante e superbo. In tal senso, appare dunque più giustificato, ma non per questo corretto il casting di un attore bambino, l’esordiente Alexander Molony, forse non così carismatico da riuscire a sorreggere le ambizioni della pellicola e troppo poco naturale.
Ebbene, come avrete già intuito, proprio come nel caso de Il drago invisibile (altro intervento Disney del cineasta), è nei piccoli dettagli, nei ristretti spazi che egli sa ritagliarsi, nelle concessioni di una produzione pur sempre predominante e rivolta ad un pubblico quanto più largo, ché David Lowery riesce ad imporre quella che potremmo definire una sua idea di family movie, di rivisitazione del canone disneyano, oltre alla sua riconoscibile concezione del fantastico e dell’avventuroso, fatta di un’egemonia dello spazio e del naturalismo e realismo di ambientazioni suggestive e del loro matrimonio con innesti ed elementi digitali (non sempre performanti), di una fotografia (qui firmata da un ritrovato Bojan Bazelli) acrobatica e puntuale nei travelling (evidentemente artefatti) e nelle sequenze di combattimento, che predilige toni cupi e foschi solo per caricare ed accentuare il momento in cui il racconto si libera della sua ombra, per ritrovare un’anima leggera e spensierata. Un’idea, quella di Lowery, che qui si mostra decisamente più appassionante e senz’altro irregimentata rispetto al sopravvalutato, solipsistico e prevedibilmente dimenticato Sir Gawain e il Cavaliere Verde.
D'altronde, la semplicità semantica di una tintura che cola sul volto di un Capitan Uncino che finalmente si libera della maschera favolistica e leggendaria e rivela, umanamente, la sua autentica e canuta natura, è un’immagine che, da sola, vale tutto quel viaggio pretenzioso e convenzionale, complicato invano. Con Peter Pan & Wendy, David Lowery ritrova allora la semplicità moralistica di una delle più famose fiabe di tutti i tempi e, oltre a produrre uno dei remake live action più dignitosi e compiuti, ci ricorda qual è ed è sempre stata la stella del suo cinema.
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