TITOLO ORIGINALE: The Green Knight
USCITA ITALIA: 16 novembre 2021
USCITA USA: 30 luglio 2021
REGIA: David Lowery
SCENEGGIATURA: David Lowery
GENERE: fantastico, avventura
PIATTAFORMA: Amazon Prime Video
David Lowery e A24 firmano l'adattamento di un famosissimo poema cavalleresco del ciclo della Tavola Rotonda, il cui principale intento è rivoluzionare l’immaginario classico e convenzionale del fantasy, dando adito ad un viaggio metafisico e psichedelico, visivamente ambizioso ed unico nel suo genere, attraverso le pieghe epiche dell’animo umano. Purtroppo, l’incantesimo di Lowery svanisce man mano che ci si addentra nel racconto e Sir Gawain e il Cavaliere Verde si rivela in quanto parabola vacua e abbastanza banalotta. Un film che, dietro belle immagini, una superba fotografia ed un ottimo lavoro di production design, cela un discorso convenzionalissimo, dai risvolti interpretativo-concettuali ancor più prevedibili, nonché contorti inutilmente. Un gran peccato, ma anche una conferma.
Di film sul ciclo dei cavalieri della Tavola Rotonda se ne sono visti pure troppi, e non tutti sono certo così imperdibili, specie quelli usciti in tempi più o meno recenti. Basti pensare a King Arthur di Antoine Fuqua o al raffazzonato King Arthur - Il potere della spada (che fantasia nei titoli!) di Guy Ritchie. Tutti film, questi ultimi (ma non solo), caratterizzati da pretese di semi, completo o funzionale realismo, che spesso però si risolvono in racconti di dubbia qualità. Difatti, questa loro smania di veridicità si scontra inevitabilmente con la matrice fantastica, chimerica e dunque irreale delle storie da cui hanno origine - ricordiamo che il ciclo arturiano figura tra le maggiori fonti d’ispirazione del fantasy letterario in ogni sua manifestazione.
Ecco perché temevamo che il destino di The Green Knight, ultima iterazione di questa stanchissima e stancante tradizione di adattamenti - che, in Italia (ahinoi), arriva in esclusiva streaming su Prime Video con il titolo (fedelissimo) Sir Gawain e il Cavaliere Verde - sarebbe stato più o meno simile. Tuttavia, sarebbe ingiusto non ammettere come, il constatarne la profonda deriva fantasy o anche solo l’idea di David Lowery nuovamente dietro la macchina da presa, abbia contribuito, seppur in parte, a ravvivare la nostra curiosità in merito.
Voce indubbiamente eclettica ed estremamente versatile all’interno del panorama cinematografico contemporaneo, Lowery è invero il firmatario di uno dei remake Disney più ricchi e creativi degli ultimi anni (Il drago invisibile), così come di uno dei film a tema fantasmi più originali e sorprendenti di questa decade (Storia di un fantasma). Già solo da questi due titoli, possiamo distinguere facilmente due correnti all'interno della sua filmografia. Il secondo, distribuito da A24 [una delle case di produzione e distribuzione indipendenti più famose al mondo], appartiene indubbiamente a quella branca più impegnata, più cinematograficamente alta, più ricercata in termini estetici e tematici del suo cinema. Una branca della quale fa parte appunto anche questo Sir Gawain e il Cavaliere Verde.
Non è infatti un caso che a produrlo (e non soltanto a distribuirlo) questa volta, vi sia proprio quella A24 che ha fatto dell’alternatività, dell’indipendenza rispetto ai blockbuster hollywoodiani, della ricerca ed esplorazione di nuovi territori artistici, del cinema in quanto disciplina totalizzante, impegnativa e personalissima, il proprio vanto e la propria missione. Di conseguenza, non stupisce scoprire l’intento di base tanto della produzione, quanto dello stesso Lowery, qui in veste di sceneggiatore e regista.
Vale a dire partire dall’adattamento di un famosissimo poema cavalleresco e, con esso, rivoluzionare l’immaginario classico e convenzionale del fantasy, dando adito ad un viaggio metafisico e psichedelico, visivamente ambizioso ed ipnotizzante, imperdibile ed unico nel suo genere, costellato inoltre da tinte psico-horror e dark fantasy; nelle pieghe epiche dell’animo umano, attraverso le lande incontaminate e naturalmente suggestive dell’Irlanda centro-orientale.
Purtroppo, l’incantesimo di Lowery svanisce man mano che ci si addentra nel racconto. In particolar modo, quando ci si inizia ad accorgere che, dietro tutte queste immagini spesso di derivazione pittorica, dal significato metaforico, onirico o critico, lavorate dalla fotografia superba, chiaroscurale e variopinta di Andrew Droz Palermo, filtrate da un design pulito, geometrico e razionale degli interni, contrapposto ad esterni dove la natura spadroneggia e regnano le superstizioni, il caos e la magia, e montate (talora maldestramente) dallo stesso Lowery; si cela un discorso convenzionalissimo [il viaggio dell’eroe e l’idea di viaggio come crescita e maturazione individuale esistevano da ben prima dell’avvento di Cristo] dai risvolti interpretativo-concettuali ancor più banali, che la sceneggiatura, viceversa, complica, contorce e sofistica inutilmente.
Ci troviamo allora di fronte ad un’Odissea dopo la quale il nostro Sir(?) Gawain imparerà qualcosa su di sé, sul proprio passato e sul proprio futuro. Ad una parabola vacua e abbastanza banalotta se depurata di ogni arzigogolo, alias di una messa in scena che cerca lo shock culturale in quasi tutto. Ad un racconto che si sostanzia attorno al concetto di tempo [nei cui sprazzi rivediamo il nostro amato Lowery], di credo [siamo in un’Inghilterra di transizione, tra i culti esoterico-pagani e il cristianesimo puritano], e di dualismo tra i concetti di onore/fedeltà alle proprie origini (anche letterarie) e di integrità/cordialità.
Ad un’avventura che vorrebbe coinvolgere e far vibrare qualcosa (non si sa bene cosa) nell’emotività o, semplicemente, nell’occhio dello spettatore, ma pretende fin troppo, soprattutto in termini di ritmo, affabulazione e proposta attoriale (Dev Patel è a dir poco insopportabile). Ad un film A24 in tutto e per tutto. Nel bene e nel male.
Ma anche e soprattutto, ad un testo che vorrebbe essere visto come un qualcosa di nuovo, seminale, di mai visto prima, di originale, ma che, oltre a non inventare nulla [la volpe è la stessa di Antichrist di Lars Von Trier, i giganti nudi quelli de L’attacco dei giganti, alcuni momenti sembrano presi di forza da un film di Del Toro, inoltre è ravvisabile una massiccia ispirazione a Il Trono di Spade], parla di cose veramente basilari: la denuncia del potere (machista), l’avventura intimista, il cerchio e i suoi vari significati, visioni, fantasmi, apparizioni, sdoppiamenti…
Non basta pertanto il modo in cui tale convenzionalità viene messa in scena o immaginata, per giustificare una pellicola che è sostanzialmente l’ennesimo esemplare - salvo le dovute eccezioni - di un cinema indipendente (americano) che vuole distaccarsi a tutti i costi da quello mainstream (il quale, seppur spesso involontariamente, presenta maggiori appigli con il qui e ora) e dalla crisi d’idee della catena hollywoodiana, ma che probabilmente è ancor più in crisi, finto e ammodo di ciò rispetto cui si distanzia.
O, almeno, questo è quello che viene naturale pensare, se consideriamo che il più alto punto di pretenziosa rottura con la tradizione di Sir Gawain e il Cavaliere Verde consiste in Dev Patel/Sir Gawain che si eiacula sulla mano!
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