TITOLO ORIGINALE: Fantastic Beasts: The Secrets of Dumbledore
USCITA ITALIA: 13 aprile 2022
USCITA USA: 15 aprile 2022
REGIA: David Yates
SCENEGGIATURA: J. K. Rowling, Steve Kloves
GENERE: avventura, fantastico
Dopo I crimini di Grindelwald, capace, con le sue brutture, i suoi deliri e le sue assurde ambizioni, di disaffezionare ed indignare pure alcuni dei fan più duri e puri, con I segreti di Silente, David Yates, J. K. Rowling e, più in generale, la Warner Bros. tentano una rimonta, allo scopo di riconquistare il cuore del pubblico, riaffermare un'essenza, una forza, una parvenza di sostanza, ma anche e soprattutto di riacquisire credibilità e consenso all’interno dell'odierna cultura dell’hype. Nonostante il calzante rimpiazzo di Johnny Depp/Grindelwald con Mads Mikkelsen ed una maggior semplificazione e strutturazione dell’intreccio, il film finisce per inciampare in gran parte dei difetti degli scorsi due capitoli, tra cui un montaggio sconclusionato, un mancato approfondimento dei personaggi ed una costruzione comunque poco equilibrata dei momenti topici. Il risultato finale è dunque un racconto della durata di ben 142 minuti che avrebbe potuto essere ridotto a 80, massimo 90 minuti, in cui tutto cambia per non cambiare affatto, che gira per tutto il tempo attorno agli stessi quattro, cinque elementi, senza davvero combinare nulla di fatto, di evidentemente sconvolgente o anche solo inedito, e che, eccezion fatta per tre sequenze, non riesce mai davvero a raggiungere i propri scopi.
Tre sono i peccati originali della saga di Animali Fantastici. Tre sono le ragioni precipue alla base del generale fallimento e mediocrità - in termini sia qualitativi che di immaginario - di un progetto ad oggi sgangherato, disorientato, indefinito e deludente. La prima corrisponde al voler trarre cinque film da una costola letteraria della odissea di Harry Potter, un mero capriccio amatoriale, un bestiario accessorio, un optional del tutto evitabile.
Il secondo, di conseguenza, sta nel voler forzare a tutti i costi intenti prequel all’interno e come giustificazione di un’operazione che, più che su una narrazione complessa, epica, dinamica, trova la propria vera strada nelle atmosfere, nel contesto, nella scoperta e nel fascino di un mondo magico davvero senza confini, nelle infinite possibilità date dalla sottrazione alle vincolanti mura di Hogwarts.
Il minore dei tre, ma comunque inoppugnabile, riguarda invece la scelta del protagonista. Eddie Redmayne e il suo Newt Scamander infatti non godono né del volto, né tantomeno del fascino che si confanno ad un eroe in grado di sopportare il peso e l’immagine di una saga con tali pretese. Un volto ed una figura, le loro, forse adeguate ad un racconto lineare, faceto e avventuroso come quello del primo capitolo, ma non certo all’altezza di un’operazione dal respiro più ampio, epico, corale come questa, la quale, da spin-off che si pensava, si è rivelata essere a tutti gli effetti un prequel anomalo, incentrato soprattutto sulle diatribe di cuore e sullo scontro impossibile tra un ermetico ed impenetrabile Silente e l’amico/amante estremista Grindelwald, di cui però, allo stato attuale, (al di là dei guadagni facili) non abbiamo ancora ben compreso il senso, specie in relazione agli otto film con protagonista il maghetto occhialuto.
Dopo I crimini di Grindelwald, capace, con le sue brutture, i suoi deliri e le sue assurde ambizioni, di disaffezionare ed indignare pure alcuni dei fan più duri e puri, con I segreti di Silente (il terzo capitolo dei cinque promessi), J. K. Rowling & co. - tra cui, un David Yates per la settima volta dietro la macchina da presa del mondo magico e l'habituè Steve Kloves, qui chiamato in veste di co-sceneggiatore e presumibilmente equilibratore dei colpi di testa e dell’approccio letterario di mamma Rowling - tentano una rimonta.
Una rimonta senz’altro difficile e ripetutamente osteggiata (tanto dalla pandemia, quanto dalle controversie giudiziarie di Johnny Depp), che segue la china de L'ascesa di Skywalker, la via dell'esplicita ammissione di colpa, del soft reboot, di una correzione e smentita in extremis, di un più proverbiale “imparare dai propri errori”. Il tutto, ça va sans dire, allo scopo di riconquistare il cuore del pubblico, riaffermare un'essenza, una forza, una parvenza di sostanza, ma anche e soprattutto di riacquisire credibilità e consenso all’interno dell'odierna cultura dell’hype. Per capire l’entità di questa confessione, vi basti sapere che, ad un certo punto del film, lo stesso Newt dirà ad un Albus Silente contrito e commosso che “anche se commettiamo errori, possiamo sempre tentare di riparare. Tentare. È questo che conta”.
Ciò detto, non possiamo certo esimerci dal riconoscere uno sforzo nel sfruttare a proprio vantaggio gli errori, gli incidenti e i vari rimandi, così come la volontà di offrire un’avventura innanzitutto godibile e di nuovo comprensibile. Da leggere in questi termini, la sostituzione di Johnny Depp/Grindelwald con Mads Mikkelsen, un attore di certo più espressivamente complesso, maturo e talentuoso e che, proprio per questo motivo, tenta di svincolarsi dall’eccentricità, dalla malvagità tutto trucco e parrucco e dall’indole anarchica che animavano la versione di Depp, ricercandone una che corrisponda al proprio paradigma e alle proprie peculiarità interpretative.
Allo spettacolo, alla presenza scenica glamour-derivata, all’algidità cromatica del Grindelwald dei primi due Animali Fantastici, Mikkelsen sostituisce quindi un lavoro più subliminale che, a partire dalla psicologia del personaggio, tenta di restituirne la malvagità servendosi delle sue contraddizioni, di uno sguardo al contempo vuoto e fulgido, turbato e subdolo, fragile e temibile, sensibile e calcolatore, di un eccezionale senso della misura, della tensione, del controllo, di un’indubbia raffinatezza nei modi, nei gesti (anche i più deplorevoli e meschini), nella retorica, e di un idealismo, sì, estremista, reazionario, crudele ed evidentemente nazista (il concetto di purezza della razza vi ricorda forse qualcuno?), ma acuto, trascinante, penetrante.
Un lavoro subliminale, quello portato avanti da Mikkelsen, che si percepisce nella credibilità e pericolosità che egli stesso sa conferire al suo personaggio ogni volta che questi appare sulla scena, ma che la macchina di David Yates, incapace di comprenderne e valorizzarne la complessità, non sa infondere, riprendere ed esprimere poi a dovere in tutti quei momenti in cui questi è invece assente - in quegli stessi momenti, ad essere assenti, sono pure il senso della minaccia, la tensione e l’angoscia legata alle incertezze dell’oggi e del futuro, aspetto attorno cui ruota tutto il racconto del film -, sacrificando peraltro una ghiotta opportunità per offrire qualcosa di veramente inedito ad una saga invece carente di personalità.
Come intuibile infatti, nonostante il calzante rimpiazzo di Mikkelsen, combinato a sua volta con una semplificazione dell’intreccio di certo benvenuta, ma forse eccessiva, I segreti di Silente finisce per inciampare in gran parte dei difetti degli scorsi due capitoli, in particolar modo, in quelli di cui soffriva già il precedente. Il riferimento è quindi, per prima cosa, ad un montaggio nuovamente trascurato, caotico e sconclusionato, che lega a sé sequenze, senza un vero e proprio senso logico, rende illeggibili gran parte dei momenti più prettamente action (specie i combattimenti) e si focalizza sin troppo su momenti marginali ed irrisori, togliendo tempo e spazio invece ad altri ben più considerevoli e sostanziosi, dal punto di vista narrativo ed emotivo.
In tal senso, durante la visione del film, l’idea che torna con maggior insistenza è che tanto sia il tempo ed altrettante siano le forze spese per unire i puntini, accendere curiosità e aspettative e così giungere ad un preciso punto di svolta del racconto, ma che, una volta arrivati a destinazione, il modo in cui l'istanza narrante affronta questi momenti topici sia di per sé sbrigativo, modesto, artificioso, abbastanza esiguo. Tuttavia, ancor prima che al montaggio di Mark Day, le origini di tale sensazione sono da ricondurre appunto alla sceneggiatura firmata da J. K. Rowling e Steve Kloves, che, se da un lato ha il pregio di semplificare e rendere l’avventura in sé più cinematografica, spesso impiegando luoghi comuni e atmosfere tipiche di western e spy movie, dall’altro non sfrutta però questa semplicità per concentrarsi su una scrittura approfondita ed una costruzione più equilibrata dei momenti, dei personaggi e del mondo che li circonda, bensì la asseconda.
Il risultato è dunque un racconto della durata di ben 142 minuti che avrebbe potuto essere ridotto a 80, massimo 90 minuti, in cui tutto cambia per non cambiare affatto, che spiega tutto per non spiegare poi nulla, che gira per tutto il tempo attorno agli stessi quattro, cinque elementi, senza davvero combinare nulla di fatto, di evidentemente sconvolgente o anche solo inedito, e che, eccezion fatta per tre sequenze: quella iniziale (la più riuscita di tutto il film), l’esilarante tentativo di salvataggio di Theseus Scamander (che, oltre a ricordarci quale sia davvero il titolo di questa saga, pur facendo dei cosiddetti Animali Fantastici niente più che strumenti e soluzioni, ci offre una percezione dell’unico tipo di situazioni per cui dovrebbe essere impiegato e in cui risulta azzeccato e a suo agio il personaggio di Newt) e il duello finale (riuscito soprattutto per le interpretazioni ed una colonna sonora, firmata dal sodale James Newton Howard, che finalmente torna ad avere una giusta dimensione nel Wizarding World); non riesce mai davvero a raggiungere i propri scopi.
Ed è bene ribadirlo: il fatto che, tolti il Silente interpretato da un Jude Law indispensabile, almeno affascinante, salvifico, e il Grindelwald di Mikkelsen (questi ultimi, versioni ringiovanite di maghi già visti altrove), il personaggio più riuscito di una saga ambientata in un mondo magico sia un babbano la dice lunga sullo stato di salute di un progetto che, giunto alla sua terza iterazione, non è ancora riuscito a partorire una figura nuova davvero carismatica, intrigante o anche solo leggermente più approfondita, costretto inoltre a supplire le mancanze dell'avventura e ravvivare l’interesse e il coinvolgimento dello spettatore, attraverso tappe obbligate in tutti i luoghi più riconoscibili della serie principale, frasi emblematiche e continue allusioni al futuro.
Forse I segreti di Silente riaccenderà la speranza di qualche appassionato disilluso e l’interesse di qualche profano - sono forse coloro che danno ancora fiducia a questa saga, fatta più di scandali e controversie involontarie, che di film volontariamente riusciti, i veri Animali Fantastici? -, ma, per chi scrive, una pellicola così blanda, pigra, monocorde, che riafferma l’impotenza epica e la mancanza di intuizioni e contenuto di una saga il cui primo capitolo continua a rimanere un miraggio, una parentesi felice; e in cui oltretutto il contorno, le poche ma amabili creature, le scenografie e il design risultano ben più interessanti e amabili dell’intreccio e di un racconto di cui conosciamo già il finale, non può essere considerata più di un tentativo di ritrattazione mediocre, irresoluto, insoddisfacente.
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