TITOLO ORIGINALE: Star Wars: The Rise of Skywalker
USCITA ITALIA: 18 dicembre 2019
USCITA USA: 20 Dicembre 2019
REGIA: J. J. Abrams
SCENEGGIATURA: J. J. Abrams, Chris Terrio
GENERE: fantascienza, azione, avventura
J. J. Abrams torna alla regia della saga di Star Wars, tirando le fila di una pellicola deludente, a metà tra fan fiction e grandi aspirazioni visive e narrative. Concentrato sia a riparare al mezzo disastro dell’amato/odiato Gli ultimi Jedi sia a concludere l’arco narrativo di Luke & co., L’ascesa di Skywalker non lascia nient’altro che alcuni momenti memorabili, in un miscuglio di nostalgia e mediocrità narrativa. Un completo disastro
Pochissimo hype in partenza per questo nono e conclusivo capitolo della saga di fantascienza, rianimatosi, per quanto mi riguarda, tuttavia, pochissime settimane prima dell’uscita in sala. Cala il sipario sulla storia e sulla famiglia Skywalker. Un evento, a dir poco, irripetibile, unico e memorabile. Peccato, tuttavia, che la terza o nuova trilogia dell’universo di Star Wars, gradualmente, abbia perso mordente e spirito creativo e narrativo. Tra citazioni, ripetizioni, anafore rispetto alla terzina originale e sperimentazioni e slanci di stile arditi, questa ha vissuto una lavorazione travagliata, difficile ed impediente, passando nelle mani di due registi completamente agli antipodi. Da un lato, J. J. Abrams con un attaccamento quasi morboso, affettivo ed una visione classica della nuova trilogia; dall’altro, Rian Johnson con la sua volontà di rinnovare e distaccarsi completamente dai canoni e dagli stilemi classici. Dopo il mezzo disastro (perché, pur con i suoi difetti, presentava degli elementi ben resi e centrati, anche se innovativi) di Star Wars Gli ultimi Jedi, le fila della saga passano nuovamente in mano a J. J. Abrams, il quale – si nota abbastanza – non ha per niente apprezzato la linea rinnovatrice di Johnson, che ha “rovinato” una trilogia che inizialmente doveva essere interamente sua. Si ritorna, quindi, alla classicità e alla tradizione sotto moltissimi punti di vista, primo fra tutti, l’incipit di questo L’ascesa di Skywalker. Palpatine è tornato. L’Imperatore che tutti abbiamo ritenuto morto nel finale de Il ritorno dello Jedi, in verità, è sopravvissuto e, per tutti questi anni, è rimasto a tramare nell’ombra, tirando le fila di tutti gli avvenimenti di questa nuova serie di film. Questo incipit rappresenta, di per sé, un totale distacco dal finale aperto e proiettato in una direzione totalmente diversa de Gli ultimi Jedi. I nostri eroi dovranno così mettere fine alla cospirazione del fu cancelliere ed arrestare il dominio incontrastato del Primo Ordine – burattino di Palpatine – sulla galassia. In pochissime parole, questo è il soggetto, il punto d’inizio, su cui si basa questo episodio conclusivo della storia della famiglia di George Lucas. Tanto semplice quanto improbabile, questo primo spunto narrativo che, comunque, se sviluppato in maniera decente, sarebbe potuto risultare perlomeno credibile. Al contrario, il film si arena, risulta estremamente debole ed approssimativo, a volte combinando eventi senza un filo logico. Con questo capitolo, a metà tra fan fiction e nostalgia pura, si chiude, muore e viene sepolta, sotto quintali di terra di mediocrità ed approssimazioni, la saga degli Skywalker.
J.J., che ti è successo? Che è successo alla tua mano registica? Alla tua tecnica? Tutto bene a casa? No, perché veramente, con questo Star Wars L’ascesa di Skywalker hai raggiunto il fondo della tua carriera cinematografica, registicamente parlando. Era dai tempi di Mission: Impossible III – con quella maledetta handycam – che J. J. Abrams non dirigeva in modo così poco ispirato. Il film inizia con una macro-sequenza in cui, sia da un punto di vista registico che fotografico, non si riesce a distinguere e a delineare nulla correttamente. La pellicola prosegue con scene d’azione confusionarie, frenetiche, tagliate e ricucite in modo pessimo attraverso un montaggio approssimativo, quasi frettoloso, che non dà il tempo per assorbire e per immedesimarsi correttamente negli eventi. La cosa peggiore è che se si compara Episodio IX con il settimo, diretto dallo stesso Abrams, si nota un salto di qualità notevole, in peggio, ovvio. Sembra quasi che i due film siano stati diretti da due persone e due cineasti completamente diversi. La direzione registica di Abrams è estremamente altalenante. Si passa da sequenze e momenti visivamente evocativi a passaggi insignificanti, senza alcun mordente ed incredibilmente anticlimatici; da una regia disastrosa, confusa, con raccordi mancati a movimenti di macchina giusti, al fine di intrattenere lo spettatore. Soprattutto nel terzo atto della pellicola, si vengono a costruire sequenze memorabili unicamente dal punto di vista stilistico e visivo, merito, in larga parte, dei concept artist e dei production designer coinvolti nella produzione. A malincuore, aggiungo, inoltre, che questa minima cura, da parte di Abrams, penalizza soprattutto le sequenze di dialogo tra i vari personaggi della pellicola, privandole di quel pathos e di quella carica emotiva e narrativa sempre comune e cara alla serie. Allo stesso tempo, tuttavia, come non ricordare le memorabili inquadrature degli svariati scontri tra Rey e Kylo Ren durante tutta la pellicola o, anche solo, i piani che compongono le ultime sequenze della pellicola, ineccepibili da un punto di vista visivo. Seppur memorabili e significativi – soprattutto per un fan della saga -, questi istanti non riescono e non possono ristabilire un film, la cui falla principale è una sceneggiatura sbrigativa, imprecisa e grossolana che fatica a stare in piedi.
Che dire di questo ultimo capitolo di Star Wars, narrativamente parlando? Fondamentalmente, un completo disastro. La sceneggiatura firmata da Abrams stesso e da Chris Terrio si muove su un duplice binario di finalità ben precise, sulla carta, ma disastrose dal punto di vista della resa finale. Da una parte, il film di Abrams vuole riparare al disastro e all’inversione di rotta compiuta da Rian Johnson con il suo trattamento un po’ rinnovatore di tutta la concezione di Forza e dell’intera saga; dalla parte opposta, la pellicola deve concludere, una volta per tutte, la linea narrativa della famiglia Skywalker. Come già sottolineato all’inizio dell’articolo, già l’incipit de L’ascesa di Skywalker è un gigantesco buco sia di trama che logico proprio con la “rinascita” e la comparsa di Palpatine, vero e proprio burattinaio di tutta questa nuova trilogia, il che, fatemelo dire, non ha il benché minimo senso, viste le motivazioni e le giustificazioni della creazione di Snoke. Quindi, a partire praticamente dalle scritte, che, come solito, introducono il pubblico alle premesse e al contesto del film, Episodio IX – cambiando completamente direzione rispetto al finale di Johnson – circola su una rotta iper-spaziale di falle logiche, forzature, cose non dette, non spiegate ed un senso di chiusura mancante e deludente, quasi buttato lì, rovinando possibilità narrative che, seppur poco originali, potevano regalare moltissimo alla trilogia nel complesso e all’intera saga. I personaggi, da quelli originali fino a quelli di natura disneyiana, non presentano alcuna evoluzione durante il corso della pellicola, anzi, alcuni sembrano quasi involversi rispetto alle conclusioni e alle basi gettate dall’episodio precedente. L’unico che pare avere subito un cambiamento, almeno a livello di controllo della Forza, è Rey, ma questo sviluppo dei suoi poteri appare fin troppo subliminato, forzato ed approssimativo per risultare credibile. Questo film sancisce la rovina completa di personaggi storici e praticamente mitici come Luke, Leia, Han, Lando e Chewbecca, malsfruttati, marginali o ridotti a semplici macchiette o a presenze che rasentano il livello del cameo. Il destino, le scelte, le vittorie e le sconfitte di tutti i personaggi principali vengono sanciti per caso e lasciati alla coincidenza, alla forzatura, al buco narrativo [per esempio, il potere della Forza con finalità curative, sviluppato e nato a caso, di Rey e Kylo, la sequenza della navetta dei prigionieri con Chewbecca, il terzo scontro tra Rey e Kylo, l’imprevisto C3PO, la battaglia finale e conclusiva]. All’interno del film, in più, vengono introdotti personaggi secondari solamente per dare rilievo, migliorare o regalare un background più spesso ai personaggi principali. Questi caratteri secondari, a cui è riservato il mero ruolo di aiutanti, non risultano ben introdotti o, comunque, adeguatamente caratterizzati, per avere un senso e crescere all’interno della vicenda. Probabilmente, se l’ottavo capitolo non fosse passato per le mani di Johnson, questi sarebbero stati introdotti lì e gli sarebbe stato dato molto più spazio per fiorire.
Se nei film precedenti il ruolo del villain supremo era affidato al Leader Snoke, con la sua morte, J. J. e la Disney non sapevano proprio come fare per dare a questo ultimo capitolo un’ombra degna di un finale di saga. <<Beh, e se ritirassimo fuori Palpatine e lo rendessimo il motore dell’azione? Sì, dai ci sta>>. No! Assolutamente no! Vedendo i primi trailer de L’ascesa di Skywalker speravo, con tutto il mio cuore, che il villain principale fosse Kylo Ren, come deducibile dal finale de L’ultimo Jedi, e che tutta la vicenda non fosse incentrata sul ritorno e sulla sconfitta di Palpatine. E invece pensavo male, perché è esattamente ciò che hanno fatto. Fin dalla prima scena, nello spettatore, si crea perciò un sentimento di spaesamento, di distacco e di alienazione rispetto alla linea narrativa costruita durante il corso della trilogia, andando a costituire il primo dei numerosi buchi di trama presenti. Allo stesso modo, ciò che genera spaesamento ed un senso di incompiutezza verso il finale della pellicola è il fatto che a tutti gli archi narrativi secondari, tra cui quelli introdotti in Episodio VIII, non viene data alcuna chiusura, alcun compimento effettivo. Primo fra tutti, il bistrattato ed odiato personaggio di Rose, qui presente solo perché introdotta nel film precedente. Seguono poi le sussurrate e citate storyline amorose tra Poe e Rey e tra Finn e Rose, il rapporto tra Rey e Kylo e il discorso sull’universalità della forza, tracciato da Johnson nel finale del suo lungometraggio. Se si condividono i pregi – tra cui un lato artistico ed estetico notevole soprattutto per quanto riguarda ambientazioni, costumi e design di tutto l’universo – si condividono anche i difetti che sussistevano fin dal primo episodio di questa trilogia sequel. In questo caso, la resa un po’ approssimativa e tirata per i capelli dello sviluppo dei poteri da Jedi di Rey. Se in Episodio VII la nostra eroina riusciva a compiere gesti ed azioni con la Forza come fossero nulla, in L’ascesa di Skywalker, questo elemento viene ancora più caricato e sottolineato con lo sviluppo e la crescita della protagonista per ellissi, accorciamenti temporali e spiegazioni non date. Insomma, ad un certo punto sembra quasi che, in base alla necessità narrativa, Rey sviluppi un’abilità ed un potere a sua libera scelta.
Essendo L’ascesa di Skywalker il capitolo conclusivo non solo della trilogia ma anche della storia degli Skywalker è opportuno aspettarsi qualche twist o rivelazione che cambierà il corso degli eventi e le storie personali di ogni singolo personaggio dell’universo galattico. Queste verità rivelate ci sono eccome, ma sono ugualmente potenti e riuscite, da un punto di vista narrativo e di continuità? Il contrario, purtroppo. J. J. Abrams e Chris Terrio compiono numerosi passi frettolosi, falsi e ciechi all’interno di questo film e conducono la saga di Star Wars sul bordo di un precipizio. A soccorrere e salvare la situazione, ci provano una colonna sonora, firmata – come sempre – dal grandissimo John Williams, costituita da pezzi originali e riarrangiamenti di temi storici e significativi per il fandom e per il pubblico affezionato alla saga; concept art ed un’ispirazione per quanto riguarda il comparto estetico ed artistico della produzione e interpretazioni molto buone ma che risultano penalizzate da una caratterizzazione traballante. Apriamo un capitolo per gli effetti speciali e visivi e per la fotografia che, così come la regia di Abrams, sono caratterizzati da un carattere squilibrato per tutta la durata della pellicola. Daniel Mindel firma una fotografia che, se in alcune scene mostra la sua potenza, la sua forza non solo artistica ma anche espressiva – come, per fare un esempio, nella battaglia finale -, in altri momenti, cala moltissimo, a livello di qualità, diventando quasi anonima [scena iniziale di Kylo Ren dopo i titoli di testa, per fare un paragone o il combattimento tra le onde tra Rey e Kylo]. Stesso discorso per gli effetti visivi, che in alcune sequenze rasentano la perfezione visiva, in altre si avvicinano alla resa espressiva e grafica di un videogioco [flashback tra Luke e Leia].
Alcuni segreti – che nel film vengono alla luce – ribaltano completamente la visione che il pubblico e i fan, soprattutto, hanno della saga fantascientifica per eccellenza. Il tutto è diretto in modo abbastanza impreciso, dettato da soluzioni facili ma non per questo naturali, ben trattate, esplorate e contestualizzate. Il film tenta, per molti versi, di scioccare e di portare ad una svolta l’universo di Guerre Stellari ma ciò che rimane è una vicenda scarna, debole, piena di pretese fallaci, sostanzialmente sbagliata, colpa soprattutto di una gestazione travagliata sia dal punto di vista produttivo, che della coerenza e narrativo. Il susseguirsi degli eventi avviene in modo meccanico, artificioso, poco omogeneo. Sembra di essere dentro ad un videogioco dove è chiara la destinazione da raggiungere ma si perde in numerosi livelli che, qui, risultano fin troppo inutili, tirati per i capelli ed inseriti senza una vera e propria finalità, se non quella di riempire due ore e trenta di film. Due ore e trenta che potevano essere utilizzate molto meglio, per esempio, spiegando la logica di alcuni personaggi, introducendo meglio molti elementi e molti risvolti e soprattutto dando un senso più coeso, uniforme, epico e conclusivo al tutto. Va bene, lo scontro, il climax finale con Palpatine può essere bello quanto vuoi visivamente, ma deve essere contestualizzato ed introdotto adeguatamente per sfruttarne completamente le potenzialità sia emotive che narrative. Tra personaggi inutili come Finn – trattato malissimo – Rose, Lando, R2D2, Leia e molti altri, scene che possono risultare significative, emozionanti ed evocative se, alla base, ci fosse stata una vicenda trattata in modo certosino e curato, un montaggio disastroso, una regia ed un ritmo altalenanti, una sceneggiatura scritta frettolosamente in riparo ad Episodio VIII ed approssimativa. A malincuore, così, si chiude l’epica saga degli Skywalker. Una storia che ha emozionato e stregato intere generazioni, rivoluzionando la storia del cinema per come la conosciamo. Peccato che tutta questa grandezza abbia come punto di chiusura, come parentesi finale, L’ascesa di Skywalker, ultima disastrosa fatica – in ambito Star Wars – di mamma Disney, dopo l’acquisizione della Lucasfilm. Un vero disastro. Una vera delusione. Peccato, solo peccato.