TITOLO ORIGINALE: Delta
USCITA ITALIA: 23 marzo 2023
REGIA: Michele Vannucci
SCENEGGIATURA: Massimo Gaudioso, Fabio Natale, Anita Otto, Michele Vannucci
GENERE: drammatico, thriller
DURATA: 105 min
Presentato in concorso al Locarno Film Festival 2022
Sette anni dopo il promettente esordio de Il più grande sogno, Michele Vannucci torna sul grande schermo con un thriller palustre che, forte di un contesto inedito per l'immaginario cinematografico italiano, contrappone due grandi star della nostra filiera. Purtroppo, le ambizioni della pellicola sono profondamente minate da un intreccio dalle finalità drammaturgicamente inconsistenti, oltre che proverbiale, due discorsi estremamente interessanti purtroppo non perseguiti fino in fondo, ed una generale frettolosità nell'esecuzione di un copione troppo quadrato ed accennato. Più che un Walter Hill italiano, la dimostrazione che non sempre tutte le buone idee su carta equivalgono a buoni film.
Destabilizzante. Non esiste aggettivo migliore per descrivere l’inizio di Delta, opera seconda del promettente (dopo Il più grande sogno) Michele Vannucci. I punti fermi a disposizione dello spettatore sono ben pochi: un uomo silenzioso che pagaia silenzioso immerso in un paesaggio paludoso, mentre sopra la sua testa si sentono inquietanti e cupi suoni di elicotteri. Dove siamo? In una zona di guerra? L’abbigliamento dell’uomo (cappotto mimetico, berretto invernale), così come la sua barba lunghissima e folta. Perché guarda con timore l’elicottero che gli passa sopra la testa? Lo stanno cercando? È in fuga? Cosa ha fatto? E cosa sta facendo lì, su quella pagaia, in quel preciso momento?
Come avrete capito, sono moltissime le domande che albergano o, meglio, dovrebbero frullare nella mente del pubblico, stimolato da poche e semplici immagini. Ed è proprio questa una delle caratteristiche che contraddistinguono il nuovo lavoro di Vannucci, che lesina e filtra al massimo le parole, per lasciar parlare le scenografie, le ambientazioni, i corpi dei propri attori, le immagini. Chi sia quell’uomo e perché lo ritroviamo, ad inizio film, insieme ad un gruppo di bracconieri dell’Est Europa, ora impegnati coi loro traffici nella zona padana del Polesine, in provincia di Rovigo, non ci verrà svelato, mentre verremo ben presto a sapere che, per quel figuro taciturno e rude, queste terre sono casa, sono radici, sono il luogo in cui è nato e cresciuto e da cui poi, appunto, se n’è andato.
Ciò detto, e viste le potenzialità che una premessa del genere propone, è allora un peccato che il regista - assistito nella stesura del copione da Massimo Gaudioso (già autore di Gomorra, Dogman e il più recente La stranezza), Fabio Natale ed Anita Otto - preferisca concentrare il proprio sguardo e la propria attenzione su altro, piuttosto che sul lento, implicito e subdolo disvelamento o, viceversa, sulla totale segretezza ed ambiguità che aleggiano sul passato di quest’uomo.
Non fraintendete: il personaggio di Elia - questo il nome dell’uomo barbuto - rimane al centro della visione, oltre che della costruzione tensiva e (anti)spettacolare di Delta, tuttavia diventa prima l’ingrediente di un affresco esistenziale, ancor prima che geografico, suggestivo e politico, di inconfondibile orizzonte e derivazione western, solo in salsa palustre ed italiana, e successivamente un mezzo, un corpo di fatto vuoto, l’ingranaggio poco oliato e realmente coinvolgente di un mosaico thriller come se ne sono visti tanti, e nemmeno così coraggioso e profondo come vorrebbe farci credere, o come i suoi autori credono che sia e possa essere.
Perché, ad un certo punto, per una serie di avvenimenti fortuiti e (in parte) pretestuosi, il bracconiere sarà portato a scontrarsi con i pescatori ambientalisti della zona e, in particolar modo, col loro capo, Osso. Delta diventa perciò, innanzitutto, un revenge movie abbastanza convenzionale, dalle formule, dalle dinamiche e dal giogo proverbiali. Ma, anche e soprattutto, la storia di uno scontro tra due anime e due uomini più simili di quanto loro stessi pensino; tra ultimi, poveri e disagiati immersi fino al collo nella stessa melma di mediocrità e sconfitta. Il racconto di una guerra fratricida in cui il confine tra giusto e sbagliato si offusca e perde di solidità e che non prevede né vincitori, né vinti. Di una contrapposizione nella quale riecheggia l’imprendibilità e l’offuscamento del nostro presente e di tutto quello che lo regola e compone.
Un presente, il nostro, in cui non esistono davvero quei punti fermi di cui sopra, dove è impossibile individuare e comprendere realmente chi sia il proprio nemico, la o le cause della propria sofferenza e della propria, precaria condizione, e nel quale è poco plausibile e a dir poco anacronistico pensare a conflitti novecenteschi tra classi sociali differenti, tra padroni e servi, tra oppressori ed oppressi, poiché siamo tutti (e nessuno) parte di una battaglia intestina, interna. Un presente dove tutto ciò che è intimo, privato ed individuale diventa l’eccellente casus belli.
Quest’ultimo è forse l’elemento più singolare ed avvincente di un soggetto, quello di Delta, che, per quanto riguarda tutto il resto, è viceversa tremendamente risaputo, generico, schematico e scolastico, oltre che irregolare e sbilenco. Questa lotta - che si tinge di melodramma, di western e thriller/revenge - è d’altronde messa sì in scena con eleganza, maniera e ruvidezza sensoriale da Vannucci, ma per scopi e finalità minime, risicate, per non dire drammaturgicamente inconsistenti.
Lo stesso Vannucci, che propone interessanti simmetrie e nessi logici tra ambientalismo e conservatorismo (di un passato cristallizzato, di un modo di intendere la pesca e la vita, di una maniera più nobile di rapportarsi con la natura), tuttavia non le persegue fino in fondo. Che si serve abilmente di tutti gli strumenti a sua disposizione (soprattutto della fotografia di buona atmosfera di Matteo Vieille Rivara, del sonoro d’impatto di Mirko Perri e Angelo Bonanni, e delle musiche di Teho Teardo), ma non riesce tuttavia ad acchiappare come dovrebbe e vorrebbe e, in tal senso, ad allontanare il proprio meccanismo thriller dall’inevitabile destino di genericità e grigiore verso cui si avvia sin dalla prima mezz’ora.
O ancora, che sceglie di ambientare la propria, “frenetica”, bestiale, violenta e alla lunga abietta corsa in un contesto relativamente inedito per il panorama italiano, senza però lasciarlo respirare a sufficienza, senza permettere ai propri volti emergere (anzi i personaggi secondari, le presenze secondarie e, in particolare, quelle femminili appaiono del tutto acerbe ed insignificanti) o alle sue caratteristiche tipiche di fuoriuscire, emergere ed imporsi nell’immaginario di chi guarda. Ma soprattutto che può contare su due dei nomi più grossi dell’attuale cinema nostrano, quali Alessandro Borghi (con la barba, l’accento e l’indole trasportati pericolosamente da Le otto montagne) e Luigi Lo Cascio (a volte pure più bravo del collega, accento permettendo), ponendoli al servizio e sprecandone l’indubbia riprova di bravura ed intensità nell’esecuzione di un copione dalla giusta e quadrata cura e analisi psicologica (dei soli protagonisti), eppure così trascurabile e dimenticabile, oltre che di un’azione tanto limitata, per non dire sottintesa o addirittura assente.
Forse bisognava immergersi di più nelle maglie e nel dedalo lancinanti delle conseguenze di due idee e discorsi molto forti, toccare il fondo limaccioso della propria visione, assecondare maggiormente, se non in toto, le pieghe e le naturali intuizioni di una premessa tanto promettente quanto esemplare per la filiera italiana. E forse quel respiro internazionale che si ricerca ad ogni costo e che scorta molte delle soluzioni (le più timide, pigre e confortevoli) della seconda parte, sarebbe venuto da sé.
Al contrario, Delta finisce per essere il cono d’ombra di un’eccellenza come la factory Groenlandia e del suo duplice tentativo di delocalizzazione commerciale e geolocalizzazione estetico-artistica dei propri prodotti. Più che il Walter Hill italiano, la dimostrazione che non sempre tutte le buone idee su carta equivalgono a buoni film.
Sei d’accordo con la nostra recensione? Se sì, lascia un like e condividi l’articolo con chi vuoi.
In più, per non perdere nessun’altra pubblicazione, assicurati di seguirci sulle nostre pagine social e di iscriverti alla nostra newsletter.