TITOLO ORIGINALE: War - La guerra desiderata
USCITA ITALIA: 10 novembre 2022
REGIA: Gianni Zanasi
SCENEGGIATURA: Gianni Zanasi, Lucio Pellegrini, Michele Pellegrini
GENERE: commedia
DURATA: 130 min
Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2022
Dopo Siccità, fa la sua comparsa, nel panorama del cinema italiano, un altro film profetico dei tempi correnti. Scritto ben tre anni prima che si iniziasse a parlare di guerra in Ucraina, War - La guerra desiderata di Gianni Zanasi utilizza il pretesto della guerra fuori, di una guerra nata e continuata nell'infantilismo e nella distorsione, per parlare di un conflitto ben più intimo ed “ideale”: quello per una riappacificazione emotiva, per un ritrovamento terapeutico del contatto e del calore umano in un mondo che ci spinge sempre più ad un individualismo paranoide, ad un’alienazione nostalgica, ad una schizofrenia ordinaria. Peccato che queste sue nobili intenzioni si scontrino nel giro di qualche minuto dall'inizio con la più totale inettitudine ed indifferenza della messa in scena e dello sviluppo narrativo e discorsivo. Caotico, vaneggiante, scordato, chiasmatico, moralistico, didattico, irresponsabile, la più indesiderata idea di cinema italiano.
Un altro copione italiano profetico. Già, dopo quella idealmente post-pandemica (ma scritta in piena pandemia) di Siccità di Paolo Virzì, ecco fare la sua comparsa, nel panorama del cinema nostrano, un’altra distopia che, in un modo o nell’altro, ha preregistrato lo zeitgeist odierno ed imbracciato un tema oggi quanto mai attuale.
D'altro canto, questa sua dote premonitrice (sintomo di perspicacia, o forse di semplice fortuna), War - La guerra desiderata di Gianni Zanasi la sbandiera ed evidenzia ancor prima di cominciare, in un cartello iniziale, tanto borioso quanto buffo, con cui ci s’imbroda del fatto che, parafrasando, questo film “è stato concepito e scritto tre anni fa, ben prima che si parlasse di invasione russa in Ucraina”.
Non nega dunque le sue pretese ed ambizioni discorsive, la sceneggiatura ideata a sei mani dallo stesso regista insieme a Lucio e Michele Pellegrini, anzi sembra volersi di fatto imporre quale testo simbolico, insigne, contingente, necessario. Peccato che, a smentirlo, nel giro di neppure un minuto, sia la più totale inettitudine filmica della primissima sequenza, che, pur partendo da un’idea effettivamente interessante, ossia la natura del casus belli (una goliardata, una ragazzata, che degenera presto per un travisamento, un equivoco; un fatto infantile, risibile, distorto, come la guerra a cui darà poi il via), si scontra con la pochezza disarmante della descrizione, composizione e tessitura della scena, dei suoi ritmi e delle figure coinvolte da parte di Zanasi & co.
E se questo momento iniziale, ma centralissimo ai fini del discorso della pellicola - che utilizza il pretesto della guerra fuori, per parlare di un conflitto ben più intimo ed “ideale”, ovvero quello per una riappacificazione emotiva, per un ritrovamento terapeutico del contatto e del calore umano, per un rinsaldamento funzionale dei legami interpersonali in un mondo che ci spinge sempre più alla solitudine, ad un individualismo paranoide, ad un’alienazione nostalgica, ad una schizofrenia ordinaria - è semplicemente al di fuori della grazia del cinema, tutto ciò che segue non se ne discosta poi molto, trascinandosi ed arroccandosi man mano in una vanità e, al contempo, in una trascuratezza disarmanti.
Perché superato un primo atto in cui tutto concorre all’unico aspetto che sembra importare a questa macchina distopica tronfia e petulante; alla sola giustificazione plausibile per cui sembra esser stata partorita: l’atmosfera; il film sembra girare in tondo, senza idee e con evidente frettolosità.
Ecco, finché si tratta di dipingere un contesto - che è poi il nostro pur nella sua resa più grottesca ed esagerata -; di far percepire allo spettatore qualcosa, una forza, un (ri)sentimento, un pensiero, un fantasma (qualcuno ha detto Reagan, Top Gun, missili e caccia come prolungamenti fallici?), un’inquietudine, che striscia sotto l’apparenza burocratica della rappresentazione; di suggerire un controcampo che, tuttavia, non ci viene mai concesso [tra i pochi bei momenti, uno che sembra fuoriuscito da uno spy movie della miglior specie, citiamo il dialogo tra Edoardo Leo e Paolo Briguglia in cui questi gli e si chiede perché, ovunque andiamo, si sente sempre e solo della musica anni ‘70-’80], Zanasi sembra essere la firma più giusta per War - La guerra desiderata.
Poi però, quando la pellicola intraprende la strada (ormai convenzionale per l’ultimo cinema italiano) di ibridazione e sperimentazione col genere, iniziano i dolori. Innanzitutto perché, come molti altri prima (e dopo) di lui, il cineasta sembra far di tutto per evitare un confronto a tu per tu con la concretezza e la realtà del genere, suggerendolo, lasciandolo intravedere, ma mai facendolo respirare davvero. Ma anche e soprattutto in quanto tutti quei piccoli, grandi spunti di partenza non vengono approfonditi e sviluppati adeguatamente dall’effettiva e restante porzione del film, il quale, a volte, sembra proprio non esser stato diretto.
E questo, oltre che nella messa in scena il più delle volte svagata, nel montaggio delirante (e non nel senso metatestuale che si sarebbe voluto), nel più totale disinteresse per una vera evoluzione dei personaggi e nella poca credibilità della sostanzialità del mondo diegetico (per quanto ridicolo, deforme e caricaturale); lo si può ravvisare soprattutto nelle interpretazioni nette, insipide e prive di alcuna sfumatura ad opera di un cast potenzialmente promettente. Lo spettatore non si merita una Miriam Leone così diafana e traslucida, un Edoardo Leo così fastidioso ed un Giuseppe Battiston così macchiettistico.
Caotico, vaneggiante, scordato, chiasmatico, tanto insoddisfatto della propria natura distopica e pungente da virare verso il realismo magico (l’imbarazzante “sequenza dei fiori”), il videoclip (tutto il pezzo sull’autobus sarebbe pure bello, se preso a sé stante, slegato da tutto il resto) e l’ipertesto colto e sofisticato (con tanto di citazione ad Apocalypse Now nella scena della sauna); pigramente di maniera, abbozzato, sempliciotto, puerile e pedante nei parallelismi che traccia con l’attualità, infine stridentemente moralista e didattico: War - La guerra desiderata non solo è la peggior versione di Siccità di Virzì, ma dimostra una tale irresponsabilità ed un tale approccio sensazionale e sensazionalistico nei confronti della propria finzione, del suo racconto, dell’incarico autoconferitosi, da arrivare ad essere decisamente la più indesiderata idea di cinema italiano. E giù le mani dagli Spandau Ballet!
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