TITOLO ORIGINALE: Mr. Harrigan's Phone
USCITA ITALIA: 5 ottobre 2022
USCITA USA: 5 ottobre 2022
REGIA: John Lee Hancock
SCENEGGIATURA: John Lee Hancock
GENERE: thriller, horror
PIATTAFORMA: Netflix
Approda su Netflix l'ennesima trasposizione di un racconto del Re del Brivido Stephen King, qui impegnato in veste di produttore esecutivo insieme a Ryan Murphy. A dirigerla, il buon mestierante John Lee Hancock, che sceglie Jaeden Martell (già protagonista di It di Andy Muschietti) e Donald Sutherland come volti di una storia che vuole riflettere sul nostro rapporto morboso (che diventa soprannaturale) con la tecnologia. Basta però a fare di Mr. Harrigan's Phone un buon adattamento kinghiano?
“I film sono effimeri, mentre i libri - quelli buoni - sono eterni, o vanno molto vicini ad esserlo” si dice, ad un certo punto, in Mr. Harrigan’s Phone di John Lee Hancock. Non a caso, a scrivere questa frase, non è altri che Stephen King, i cui iconici romanzi e (per Hollywood) proficue storie del terrore sono note ai più, tanto quanto il suo rapporto conflittuale con il cinema e con le numerosissime trasposizioni delle sue opere. Specie quando queste trasposizioni vanno a stravolgere o tradire il testo originale.
Non è certo una novità, in tal senso, il suo sdegno e il suo atto di disconoscimento nei confronti di Shining e del lavoro di riscrittura, se non proprio di vero abuso, che Stanley Kubrick operò, con risultati eccelsi, nei confronti del racconto kinghiano - e vi basterà recuperare Brivido, l’unico film da lui diretto, per capire i suoi limiti creativi e la sua poca praticità con il mezzo.
Detto ciò, forse proprio a causa di questo primo approccio non proprio esemplare, anzi per lui offensivo, con il cinema, King ha iniziato a pretendere un controllo sempre maggiore sui film e le serie TV tratte dai suoi lavori, talora in veste di produttore, altre volte addirittura in quelle di sceneggiatore, con risultati a dir poco altalenanti.
Pertanto, conoscendo anche solo superficialmente il matrimonio incostante e non sempre felice dell’autore con la macchina-cinema, e scoprendo inoltre il suo coinvolgimento diretto, in qualità di produttore esecutivo, in quest’ultimo Mr. Harrigan’s Phone, ecco che quella frase assume un significato più profondo, curioso, affascinante, più vicino ad una ben celata dichiarazione filosofica e poetica, che non ad una banale linea di dialogo, ripresa pedissequamente dall’omonimo racconto da cui il film si origina. Una tesi, o forse un abbaglio di chi scrive, che trova però ennesima ed ulteriore conferma nell’anticipata ed effettiva effimerità cinematografica della pellicola.
Buon mestierante, già regista di Saving Mr. Banks e The Founder, qui reduce dallo sgraziato, inconcludente e fincheriano Fino all'ultimo indizio, John Lee Hancock non aggiunge grande personalità, né tantomeno offre nuove prospettive, orizzonti, sbocchi al persistente e gremito (al limite del sovraffollamento) discorso kinghiano tra cinema e serialità, anzi optando per soluzioni abbastanza proverbiali e limitandosi ad una riproposizione intorpidita, pedestre, quasi una forma di omologazione continuativa e transmediale, dell’immaginario visivo ed estetico legato alle recenti trasposizioni del Re del Brivido.
Se non proprio alle scelte fotografiche di John Schwartzman, si pensi anche solo al casting (non sempre credibile) di Jaeden Martell, già protagonista e membro dei perdenti in It di Andy Muschietti, che qui interpreta Craig, un ragazzino diverso, eppure simile ai suoi coetanei (per senso di integrazione, se non proprio di sopravvivenza), che intrattiene, per lavoro ma anche per sincero piacere, un rapporto letterario, o forse semplicemente di compagnia e compatimento, con un anziano, solitario e moribondo affarista, il Mr. Harrigan del titolo.
Per interferenza di Craig, questi verrà a contatto con la nascente [siamo nel 2007, ndr] tecnologia degli smartphone e alle potenzialità, da lui arrogantemente deprezzate, del World Wide Web. Questi strumenti si convertono però ben presto in una sorta di dipendenza consapevole ed inquietante per il vecchio, tanto da seguirlo anche nella tomba. Infatti, pur avendone constatato la morte, Craig continua ingenuamente a chiamare la segreteria del signor Harrigan, finché non inizia a ricevere degli strani e criptici messaggi di risposta dal telefono del defunto…
Racconto tra i meno compiuti della buona raccolta Se scorre il sangue, Il telefono del signor Harrigan è un racconto dal contenuto e dai temi indiscutibilmente kinghiani che aggiorna, all’epoca del primissimo iPhone - quando la Apple sconfisse definitivamente il BlackBerry, quando possedere un prodotto Apple era ancora considerato elitario e definiva realmente lo status sociale di una persona -, il classico racconto della tecnologia posseduta, dei risvolti inquietanti ed etici del progresso capitalista e dei suoi emissari. Un territorio, quest'ultimo, già battuto dall’autore di Portland nel noto Christine - La macchina infernale e nel meno riuscito Buick 8.
Sono quindi di King, tutti gli eventuali ed effettivi spunti di riflessione del testo. Da come le cose ci possiedono, al nostro rapporto morboso, ambiguo, problematico con la tecnologia, con ciò che è futuribile e futuro, con la novità - che fa paura, ci distrugge, annienta, allontana dalla realtà e dalla verità, ma di cui, al contempo, non possiamo fare a meno, poiché palliativo del nostro "complesso della mummia”, della nostra paura rispetto all’ineluttabilità della morte (un rapporto, per certi versi, conforme a quello che lega il “vecchio” Harrigan e il “nuovo” Craig). Da un’originale correlazione tra il “dono della morte” e il Dio denaro e la competizione capitalista del “pretendere”, ad un’idea, che qui diventa materia horror, di sopravvivenza, o meglio, maledizione digitale.
D’altronde - tiene a dircelo Craig all’inizio del film -, lo stesso Oscar Wilde scriveva che “quando gli dei vogliono punirci, esaudiscono i nostri desideri”. Ed è proprio l’assolvimento di ogni nostro più piccolo capriccio, il compito precipuo di quelli che ormai sono, a tutti gli effetti, insostituibili, indispensabili e “scandalosi” (come scriveva Marco, l'evangelista) prolungamenti del nostro corpo.
Peccato soltanto che questi molteplici itinerari discorsivi - oltre ad essere, come sopra, “farina del sacco” di King - non vengono mai davvero approfonditi od integrati, ma anzi minimizzati dal racconto di John Lee Hancock, che, dal canto suo, fallisce nei suoi intenti più prettamente horrorifici, tanto nella creazione di un’atmosfera sospesa, di un’inquietudine crescente, di una tensione che dovrebbe essere strisciante e subdola, ma finisce per essere inesistente, quanto, dunque, nella definizione di un’idea di genere funzionante, ancor prima che caratteristica o personale.
Così come nel nostro mondo, fintamente profetizzato dall’Harrigan di un Donald Sutherland (ahinoi) non salvifico, la spersonalizzazione e l’artificiosità del mezzo e della macchina prende il sopravvento e - in maniera non dissimile dal già citato Fino all’ultimo indizio - porta Mr. Harrigan’s Phone a dissolversi e a morire nel vortice inarrestabile, ipertrofico ed iperstimolante di immagini simili, intercambiabili, effimere. Compiendo così la (erronea) visione, il volere e l’anatema del suo Re.
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