TITOLO ORIGINALE: Quasi orfano
USCITA ITALIA: 6 ottobre 2022
REGIA: Umberto Riccioni Carteni
SCENEGGIATURA: Herbert Simone Paragnani, Umberto Carteni
GENERE: drammatico, commedia
Ultimo arrivato di un inesauribile filone di remake all'italiana di grandi successi del cinema internazionale (in questo caso, di una commedia del francese Dany Boon), Quasi orfano di Umberto Carteni parte come ennesima esposizione del divario sociale e culturale tra Nord e Sud, per poi abbracciare toni e situazioni da family movie ottantino (purtroppo mancato). Un cast pure volenteroso non riesce però a sopperire le fallacie e l'anzianità di una sceneggiatura aridissima.
Il suo nome di battesimo è Valentino Tarocco. E, non a caso, gran parte della sua vita è una contraffazione, la continua imitazione di un ideale che diventa più vero di sé, del suo passato, delle sue origini, della sua personalità. Una falsificazione industriale freudianamente (e, pertanto, inconsapevolmente) sottintesa nella mission della sua prestigiosissima azienda di living design, alla “costante ricerca del più pieno significato del vuoto”.
Che è poi, in fin dei conti, una di quelle “cazzate che si dicono quando non si ha nulla da dire”, confiderà un più lucido, “vero” e ritrovato Tarocco nella seconda metà di Quasi orfano, la commedia di Umberto Carteni che, al netto degli anche buoni spunti di cui sopra, altro non è che l’ultimo arrivato di quell'inesauribile filone di rivisitazioni italiche di grandi successi (anche se, viste le ambizioni della quasi totalità dei progetti, sarebbe più corretto utilizzare un termine televisivo come format) del cinema internazionale, con un occhio di riguardo per quello transalpino.
Ed è invero da uno dei maggiori esiti della recente commedia francese - Ti ripresento i tuoi di Dany Boon - che prende il via il copione di Carteni e Herbert Simone Paragnani e, con esso, il racconto di una storia di divari culturali, riconciliazioni familiari e riappropriazione di sé, perfettamente divisa a metà.
La prima - che riprende Giù al nord, altro grande esito di Dany Boon, già ispiratore di Benvenuti al sud e Benvenuti al nord di Luca Miniero, con cui si misura inevitabilmente - è tutta incentrata sull’incontro, dopo decenni, tra Valentino Tarocco - che, venuto a contatto col bel mondo milanese, ha deciso di tagliare i ponti con la propria terra e i propri legami di sangue e cambiare definitivamente nome nel più cool Vale Rocco - e la famiglia ripudiata, e dunque su un’altra, ennesima esposizione, questa volta eccessivamente stereotipata, tra Nord (algido, cosmopolita, snob, smunto, tutto design, lusso ed eleganza, ma pochissima sostanza) e Sud Italia (verace, schietto, anacronistico, incontaminato, ma pure imbarazzantemente reazionario).
La seconda, al contrario, sembra virare verso toni e situazioni da commedia ottantina, da film per famiglie, sfruttando il pretesto dell’amnesia selettiva che coglie temporaneamente il protagonista, per costruire equivoci e tentare di far convivere in un solo corpo il meglio dei due mondi. Un ritorno alle origini ed una riqualificazione del proprio passato, con la consapevolezza acquisita durante il periodo nell’imprenditoriale Milano.
Trattasi, in maniera quanto più evidente, di una visione antiquata, fuori tempo massimo, che avremmo detto storicizzata, quella alla base di Quasi orfano. Un’idea geo-sociale e -culturale eppure coerente in un impianto filmico e comico che, datato, lo è sin dalle premesse, ancor prima che dal trailer.
Quale sarà mai il motivo del casting di una meteora della musica e presenza di passaggio del cinema italiano, solo recentemente riscopertosi personaggio televisivo di talent e fiction, come Adriano Pappalardo? E che impronta fornirà mai alla produzione la presenza, etichettata come “partecipazione straordinaria”, di Bebo Storti, qui macchietta ai limiti dell'indecenza, già star di programmi TV come Su la testa! e Mai dire Gol?
Che poi, in fin dei conti, non sono né l’indubbia vecchiaia concettuale, né tantomeno l’ambizione televisiva del progetto, i più grandi difetti del film di Carteni. Anzi, tolti i due succitati, Quasi orfano può comunque vantare un ensemble attoriale divertito, che, a partire da uno Scamarcio molto buono, passando per una Vittoria Puccini che ci ricorda quanto sarebbe stata azzeccata per Eva Kant, ed una Nunzia Schiano che è l'unico, vero nesso spirituale con il prodromo di Miniero, fino ad arrivare ad un Antonio Gerardi ed una Grazia Schiano purtroppo sottoutilizzati, riesce a prevenire il totale disinteresse dello spettatore nei confronti di quanto sfila su schermo.
Quello che davvero cambia in peggio le sorti di Carteni & co. è proprio la sceneggiatura, che riverbera e spande l’anzianità del progetto, tirando avanti, con inerzia, senza verve, con così tanta stanchezza da suscitare quasi compassione, una storia dai risvolti prevedibilissimi, purtroppo fallimentare in un approfondimento d’uopo dei personaggi, mai davvero rivitalizzata dalle gag che propone, da idee od intuizioni di sorta, fin troppo cerchiobottista per convincere l’uno o l’altro target di riferimento.
Quasi orfano, infatti, è l’ennesimo film italiano - dopo Bla Bla Baby e Tutti a bordo - che sembrerebbe voler regalare alle famiglie e ai bambini, ovvero alla fascia di pubblico eternamente sminuita e dimenticata dall’industria del cinema italiano, un prodotto fatto su misura per loro, ma che all’ultimo cambia idea(?), si vergogna(?), non va fino in fondo (?), preferendo ripiegare sui lidi più battuti e canonici della commedia all’italiana.
Di nuovo, come alla fine di gran parte delle ultime produzioni italiane, la stessa domanda sorge spontanea: qualcuno ai piani alti prima o poi capirà che produrre così tanto, seppur senza rischio di flop, non è necessariamente sinonimo di una buona salute del nostro cinema [parliamo, in questo caso, del quinto prodotto RAI/01Distribution ad uscire in sala nel giro di due mesi]? Oppure vi sarà bisogno - come sempre, d’altronde - di ricorrere alle maniere forti, ossia ad un riforma sistematica (e, ahinoi, improbabile) della produzione e delle sovvenzioni statali a suo beneficio?
Nel dubbio, ricominciamo, come canta un Pappalardo sfibrato, “insospettabilmente” in playback, nel finale di uno dei film più terribilmente teneri dell’anno. Quasi orfano… di pubblico.
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