TITOLO ORIGINALE: Tutti a bordo
USCITA ITALIA: 29 settembre 2022
REGIA: Luca Miniero
SCENEGGIATURA: Luca Miniero, Michele Abatantuono, Lara Prando
GENERE: commedia
In Tutti a bordo di Luca Miniero, un viaggio da nord a sud dello Stivale viene intrapreso, visto e vissuto da due prospettive, se non addirittura attraverso due tipi di film diversi. Se da un lato, vi è invero il solito road movie all’italiana, cadenzato da incontri ravvicinati con tipi italiani diversi e abbastanza inusuali, gag ricorrenti (forse pure troppo), chiamate dei genitori preoccupati (forse troppo poche) e pieghe demenziali; dall’altro, il regista sembrerebbe abbandonarsi (quantomeno inizialmente) ad una commedia più prettamente familiare, imitando e prendendo spunto dai modelli dei cugini americani, e dando vita ad un tentativo di racconto avventuroso, integralmente giostrato sui tentativi di un gruppo di bambini di contrastare le cattiverie di un capotreno macchiettistico, portato in scena da un Carlo Buccirosso divertito. Ed è forse lui, Buccirosso, l’elemento più riuscito e rodato di una pellicola che, proprio come il quasi coevo Bla Bla Baby di Fausto Brizzi, appare purtroppo come un mix caotico, inarticolato, disorganizzato di intenzioni, (veri) interessi, richiami, spunti, direzioni editoriali, tradendo inoltre l’unica e sola porzione di pubblico che avrebbe potuto credergli.
Qualche mese fa, usciva nelle nostre sale Bla Bla Baby di Fausto Brizzi, un film anticonvenzionale per il cinema italiano, poiché rivolto ad una fascia di pubblico - le famiglie e i piccolissimi - che, salvo eccezioni, o per meglio dire, i Me contro Te, sono stati quasi sempre ignorati dall’industria nostrana. Peccato soltanto che il film di Brizzi, quello stesso target, la tradiva fin da subito, disfandosi di un soggetto brillante e della sua possibile deriva fantastica, e gettandosi sui soliti e polverosi luoghi comuni da rom-com televisiva, salvo infine tentare di riparare al danno fatto con risvolti da heist movie complottista che chiede sin troppo ai propri attori e al proprio impianto cinematografico.
Ciò detto, nelle righe che seguono, non (ri)parleremo dell’occasione sprecata che è stata Bla Bla Baby, ma piuttosto ci soffermeremo sui motivi del fallimento agrodolce di Tutti a bordo di Luca Miniero (già regista del fortunato Benvenuti al Sud e del suo, meno fortunato, sequel Benvenuti al Nord), che, della baby commedia di Brizzi & co., è una specie di seguito spirituale. Anch’esso, infatti, vorrebbe rivolgersi a quel pubblico trascurato di cui sopra, adattando al suolo e ai costumi italici della commedia d’oltralpe (franco-belga) di grande successo Attention au Départ! di Benjamin Euvrard. Quello che propone Miniero, assistito in sceneggiatura da Michele Abatantuono e Lara Prando, è dunque un viaggio da nord a sud dello Stivale (l’unico possibile, a quanto ci dice il cinema italiano), intrapreso, visto e vissuto da due prospettive, se non addirittura attraverso due tipi di film diversi.
Un’idea di base che sembra quasi una variazione di Mamma ho perso l'aereo, semplice, ma dalle molteplici potenzialità: un padre e un nonno devono fare da accompagnatori ad un gruppo di otto ragazzini tra i 5 e 12 anni che parte da Torino per partecipare ad un camping estivo in Sicilia, ma che, al momento della partenza, rimangono giù dal treno e saranno così costretti a dare inizio ad una corsa contro il tempo per risalire a bordo e recuperare i bambini; si biforca infatti in due linee narrative dai toni, atmosfere e situazioni completamente diverse.
Da un lato, vi è invero il solito road movie all’italiana, in bilico tra Tre uomini e una gamba, In viaggio con papà e il film TV Viaggio in Italia - Una favola vera dello stesso Miniero e di Paolo Genovese, cadenzato da incontri ravvicinati con tipi italiani diversi e abbastanza inusuali (il pilota d’elicottero deluso in amore interpretato da Alessandro “Ale” Besentini o il toscano hippie animalista di Massimo Ceccherini), gag ricorrenti (forse pure troppo), chiamate dei genitori preoccupati (forse troppo poche) e pieghe demenziali, e tutto giocato sul contrasto e sul rapporto astioso e litigioso tra il Bruno di uno Stefano Fresi accomodante e accomodato e il Claudio di un sempre piacevolissimo Giovanni Storti.
Dall’altro, viceversa, il regista sembrerebbe abbandonarsi (quantomeno inizialmente) ad una commedia più prettamente familiare, imitando e prendendo spunto dai modelli dei cugini americani (Un biglietto per due, il già citato Mamma ho perso l’aereo, Matilda 6 mitica, Piccola peste), e dando così vita ad un tentativo di racconto avventuroso, integralmente giostrato sulla simpatia e spontaneità di un gruppo di bambini e sui loro tentativi di contrastare e difendersi dalle antipatie e dalle cattiverie di un capotreno giustamente macchiettistico, portato in scena da un Carlo Buccirosso divertito che, con questo ruolo, potrebbe aver scoperto un nuovo territorio, un nuovo habitat espressivo per un volto ed un corpo come i suoi: spigolosi, naturalmente arcigni e dai tratti fumettistici e cartooneschi.
Ed è forse lui, Buccirosso, l’elemento più riuscito e rodato di una pellicola che, al contrario, appare purtroppo come un miscuglio caotico, inarticolato, disorganizzato di intenzioni, (veri) interessi, richiami, spunti, direzioni editoriali.
Se è vero, infatti, che il malvagio capotreno - che sembra fuoriuscito direttamente da un film di Chris Columbus - funziona, con molta probabilità, proprio per un impianto filmico, stilistico ed estetico dagli echi ed eccessi (talora incomprensibili ed autocompiaciuti) pop, cartooneschi, fumettistici: a partire dalla fotografia deformante, disorientante e filo-hollywoodiana di Federico Angelucci, fino alle numerose e facilissime citazioni agli immaginari più disparati (Il silenzio degli innocenti, Tenet, gli stand-off leoniani con primi piani, dettagli, musica morriconiana ed ambientazione arida); d’altra parte, è innegabile la preferenza di Miniero e soci dello scombinato ed improbabile corsa dagli adulti, a discapito - ça va sans dire - della riottosa e rumorosa resistenza degli otto ragazzini in cerca (sempre e solo per convenienza) di genitore.
Per sua sfortuna, l’impegno creativo del team di sceneggiatori non giustifica o redime tale smaccata preferenza, né tantomeno permette di dimenticare la conseguente ed inevitabile svalutazione e banalizzazione dei piccoli protagonisti, ancora una volta, vera, potenziale, eppure tradita, nota di freschezza di un prodotto che, superato lo shock (positivo) dell’inizio, di una carrellata di esemplari genitoriali sfiniti ed instabili, ed insieme di incursioni nel passato prossimo del nostro paese (ci troviamo infatti in un’Italia appena uscita dall’incubo del lockdown e dall’amata/odiata DAD); esaurisce presto le sue cartucce e si rifugia in quello che sa fare meglio: copiare sé stesso, autoriprodursi incessantemente, fallire in qualsiasi suo tentativo fantastico, avventuroso, finanche action; perdendo insomma la fiducia dell’unica e sola porzione di pubblico che avrebbe potuto credere in un simile progetto, e che, proprio mentre stiamo scrivendo queste righe, ha già ripiegato su ben altri lidi. Come sempre ha fatto e (ahinoi) sempre farà. Almeno finché si sottovaluterà la difficoltà di coinvolgere, divertire, far sognare i più piccoli.
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