TITOLO ORIGINALE: Home Alone
USCITA ITALIA: 18 gennaio 1991
USCITA USA: 16 novembre 1990
REGIA: Chris Columbus
SCENEGGIATURA: John Hughes
GENERE: commedia, comico
I McCallister partono per passare le vacanze natalizie in Francia e, per una serie di coincidenze, si dimenticano a casa il piccolo Kevin. Inizialmente gioioso di questo fortuito incidente, il bambino scopre ben presto che rimanere a casa da solo è ben più difficile di quanto pensi. John Hughes al tavolo della sceneggiatura e Chris Columbus dietro la macchina da presa firmano il cult movie anni ‘90 per antonomasia. Mamma ho perso l’aereo è il viaggio di crescita, consapevolezza e rivalutazione di un bambino di otto anni, una rappresentazione caricaturale della famiglia americana medio-borghese, una parabola di Natale sospesa tra atipicità e classicità e un pilastro indelebile dell’immaginario collettivo e cinematografico. Un film spassoso, emozionante, nostalgico che, dopo decenni, riesce ancora a tenere incollati allo schermo gli occhi di milioni di (tele)spettatori.
Immaginate di fare una lista di tutte le cose che dovete mettere in valigia per andare in vacanza. Ovviamente, in questa lista non includereste di certo i vostri figli, dal momento che sarebbero la prima cosa che “vi portereste dietro” alla vostra partenza. Ora immaginate invece un autore di nome John Hughes [regista, produttore e sceneggiatore tra i più prolifici degli anni ‘80 e ispiratore del movimento Brat Pack] che, con quella stessa idea in testa, decide di ribaltare completamente ogni punto di riferimento e sviluppare un racconto che ha per protagonista un bambino, Kevin McCallister (Macaulay Culkin), che viene lasciato “a casa da solo” dalla sua famiglia, in viaggio per la Francia durante il periodo natalizio. Il titolo del racconto, divenuto poi un film per la regia di Chris Columbus, è Mamma ho perso l’aereo (quello originale, Home Alone, è ben più essenziale) e il suo successo è proporzionale soltanto al suo impatto culturale - la pellicola, col tempo, è divenuta uno dei classici natalizi più amati, nonché vero e proprio oggetto di culto.
Accortisi della mancanza del bambino solo una volta saliti sull’aereo, i McCallister faranno di tutto per tornare a casa e andare in suo soccorso. Tuttavia, anche senza la presenza degli adulti e pur dovendo confrontarsi con numerosi ostacoli (alcuni più infantili e quotidiani, altri leggermente più insoliti come, per esempio, l’effrazione di casa propria da parte di una coppia di ladruncoli da strapazzo), il piccolo non se la cava poi così male. Anzi, questi giorni trascorsi “in casa da solo” rappresenteranno per lui un’irripetibile opportunità di crescita, maturazione e rivalutazione dell’ideale di famiglia e unione (la sera prima del viaggio, questi rivela alla madre di desiderare fortemente la sparizione di tutti loro, nessuno escluso). Opportunità traslata dalla carta allo schermo per mano di, come indicato sopra, un Chris Columbus noto all’epoca per la firma degli script di Gremlins (1984) e de I Goonies (1985) e reduce dalla direzione di due commedie per famiglie. Fin dal primo incontro con Hughes, il regista rimane così folgorato dal progetto e dall'atmosfera natalizia della storia, tanto da riscriverne alcuni passaggi di sceneggiatura e apportare al racconto una serie di cambiamenti sostanziali, in termini di narrativa ed emotività. Sua è, ad esempio, la storyline del vecchio Marley e della sua diatriba col figlio e, sempre suo, è il finale commovente, in cui Kevin assiste compiaciuto ed emozionato alla riappacificazione tra i due e all’abbraccio tra nonno e nipote.
Fin dai tempi di Gremlins e de I Goonies, Columbus è sempre stato (e sarà, vista la sua produzione successiva e odierna) un autore orientato al mondo dei ragazzi e ad una dimensione infantile e ingenua della vita, in cui le parole fantasia e meraviglia sono all’ordine del giorno. In tal senso, Mamma ho perso l’aereo rappresenta il coerente proseguimento di questa poetica, che spesso coincide con un racconto visivo degli eventi dal punto di vista dei più piccoli, in questo caso di Kevin. Infatti, nonostante qualche sequenza in cui, per motivi di comprensione narrativa, l’ocularizzazione è traslata al mondo degli adulti, la macchina da presa predilige una centralità della figura del giovane McCallister e della sua percezione e impressioni riguardo a quanto gli sta accadendo. Il cineasta abbassa dunque il proprio occhio registico di qualche decina di centimetri e - attraverso frequenti soggettive che mostrano allo spettatore un mondo ingigantito, pericoloso e incerto e oggettive che vedono in Kevin la propria convergenza visiva - prende le difese e si immedesima totalmente con la scoperta del mondo esterno e con l’avventura formativa del giovane “home alone”.
Una regia a forma di Macaulay Culkin, funzionale ai fini immersivi della trama e solida, soprattutto nella rappresentazione di momenti più frenetici e potenzialmente confusionari - coadiuvata da un montaggio spesso speculare, ma oltremodo classico - è la finestra su un mondo, quello fuori dalla porta di casa, sconosciuto, pericoloso e concettualmente fantasy, in cui però l’elemento meraviglioso ed eccezionale è rappresentato da azioni, eventi e ambienti tipicamente routinari e monotoni, almeno per il pubblico adulto. Il concetto narrativo del viaggio - che, nel romanzo fantastico, è sinonimo di crescita, presa di coscienza delle proprie abilità e riconsiderazione di quanto si è lasciato alle spalle, a casa -, in Mamma ho perso l’aereo, è reincarnato in una serie di faccende e incontri fortuiti che il nostro Kevin sperimenta, imparando ogni volta qualcosa di nuovo, e che progressivamente lo aiuteranno a riflettere in maniera diversa - se non opposta - sulla propria situazione familiare.
Detto ciò, il racconto di Hughes (che si sviluppa, come nella migliore tradizione epica, secondo una struttura lineare e concreta) non è soltanto la storia di un bambino che affronta, crescendo e formandosi, un problema capitatogli suo malgrado (o forse no?), ma anche una raffigurazione caricaturale, enfatica e iperbolica della famiglia americana piccolo/medio-borghese - presentata come caotica e disorganica; come prodotto di una società capitalistica, dei consumi e dell’eccesso, che si sta avviando pian piano al nuovo millennio -, una parabola di Natale atipica inizialmente, proverbiale invece in epilogo, e, ancora, un film per famiglie che prevede e regala una certa dose di divertimento (favorito da una comicità fisica, buffa e puerile, propriamente slapstick) e intrattenimento.
Divertimento e intrattenimento che vedono la propria summa nello scontro conclusivo - che è anche il vero e proprio climax evolutivo-narrativo di questo viaggio di formazione - tra Kevin e i due ladruncoli, interpretati da un Joe Pesci già affermato grazie alle collaborazioni con Leone e Scorsese e da un più sconosciuto Daniel Stern. In questi quindici minuti, che rispondono a parole d’ordine come esagerazione, sproporzione ed esasperazione, Mamma ho perso l’aereo raggiunge la propria quintessenza, mescolando un’ingegnosità bizzarra e meschina di trucchi e trappole con un senso di simil-compassione nei confronti dei due “poveri” criminali, qualche sadica risata, un ritmo incontenibile e un’autentica pornografia dell’urlo (di dolore, ovviamente). Questa frenesia ritmica e questo delirio cinico vengono poi raffreddati e bilanciati da un finale, per contro, dolcissimo e viscerale - come evidenziato dal commento sonoro sognante di John Williams - che riporta il tutto ad una dimensione idilliaca, ma purtroppo di durata esigua. Ci pensa infatti Buzz McCallister, al grido di “Kevin, che cosa hai fatto alla mia stanza?”, a riportare comicamente lo spettatore (e il piccolo protagonista) alla conflittuale realtà dei fatti e allontanarlo da quella finestra, ospite di una scena di affetto assoluto e imprescindibile.
O meglio, un instant cult? Le ragioni sono molteplici e possono essere ricondotte ad una serie di fattori benefici sia alla riuscita generale del prodotto, che al suo spirito, aura e importanza per il cinema anni ‘90. Uno di questi è, senza ombra di dubbio, l’interpretazione di un Macaulay “enfant prodige” Culkin che, semplicemente con la sua fisionomia ed espressività, riesce a dominare lo spazio scenico e convogliare ogni attenzione del pubblico. Un viso plastico, naturalmente simpatico e multiforme (sorridente, beffardo, piacione, urlante e “munchiano”) che si stampa irreversibilmente nella mente e nella memoria dello spettatore. Unitamente alla performance di Culkin - la cui carriera, grazie al film in questione, subisce una vera e propria impennata -, un altro elemento da prendere in considerazione è certamente l’essenza del racconto di Hughes. Infatti, questo, pur essendo esagerato e presentando un contesto familiare disfunzionale e un focus narrativo insolito, si configura come una storia natalizia dall’epica tradizionale e struttura tipica che diverte in modo spassoso e genera un’identificazione fulminea dell'audience nei riguardi di Kevin. Per ultimo, è d’obbligo citare la fattura produttiva ed estetica dell’opera che, malgrado il passare del tempo, mostra e lascia trasparire tuttora un fascino nostalgico e memore di un tipo di cinema pensato e fatto con tanto cuore - oltre che per sbancare il botteghino.
Con Mamma ho perso l’aereo, Columbus e Hughes firmano uno dei titoli più importanti, fortunati e riusciti delle loro carriere, dando vita ad un prodotto certo imperfetto e, alle volte, figlio di quegli anni (e non solo) in molte sue sfaccettature e ingenuità narrative. Tuttavia, sarebbe sleale non riconoscere il prestigio di un film che è diventato tradizione, che, per decenni, ha tenuto incollati gli spettatori di tutto il mondo al grande schermo e che, ancor oggi e ogni anno, continua a tenere incollati milioni di telespettatori all’ennesima e consueta replica televisiva di fine anno. Se non è cult questo...
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