TITOLO ORIGINALE: Beast
USCITA ITALIA: 22 settembre 2022
USCITA USA: 19 agosto 2022
REGIA: Baltasar Kormákur
SCENEGGIATURA: Ryan Engle
GENERE: thriller
Regista di The Deep, Everest e Resta con me, Baltasar Kormákur, qui alla sua terza grande produzione hollywoodiana, dirige Idris Elba, qui impegnato ad equilibrarsi tra la corporeità e muscolarità del B-movie ed una spinta verso qualcosa di più alto e nobile, nella sua ultima lotta all'ultimo sangue con un leone incattivitosi con l'umanità dopo che i bracconieri gli hanno sterminato il branco. Nulla di rivoluzionario, imprevedibile o sofisticato, eppure indubbiamente devoto, appassionato e divertito, Beast è un ottovolante tanto adrenalinico, quanto imperfetto, una variazione sul tema survival-slasher che potrebbe non soddisfare chi cerca qualcos’altro, qualcosa di più alto o di meno derivativo. Ma, anche e soprattutto, un B-movie estremamente coerente e corretto, con un proprio gusto ed un suo perché, più posato di quanto si immagini, che riesce sempre e comunque a mantenere una propria dignità, ambendo ogni tanto, seppur invano, ad un’elevazione.
Indossa una maglietta di Jurassic Park, Meredith, una delle due figlie adolescenti del dottor Nate Samuels, che, durante una vacanza nostalgica, insieme alle bambine, nel cuore profondo della savana sudafricana (o meglio, nei posti frequentati dalla madre ed ex-moglie, recentemente morta di cancro), viene attaccato da un leone feroce, perspicace, apparentemente invincibile, incattivitosi con l'umanità dopo che un gruppo di bracconieri gli ha sterminato il branco. (Ma, come motivo, sarebbe andato bene pure il remake live action de Il re leone...)
Si tratta dell’unico omaggio e del rinvio più esplicito e palese al tipo di cinema in cui intende inscriversi e a cui si rimette Beast dell’islandese Baltasar Kormákur, regista, meglio conosciuto per film come The Deep, Everest e Resta con me, specializzato nel racconto di situazioni al limite, di donne e uomini che tentano di sopravvivere in condizioni extra-ordinarie, se non addirittura estreme; ma con un occhio quasi sempre rivolto ai ritmi e alle regole del thriller più epidermico e sensazionale.
Due tendenze, dal cui matrimonio e prolungamento nasce questa sua terza grande produzione hollywoodiana, che vede per protagonista Idris Elba, reduce dalla spirale folle e dinamitarda di James Gunn in The Suicide Squad, dalle digressioni western di Concrete Cowboy e The Harder They Fall, oltre che dalla geniale fantasmagoria milleriana di Three Thousand Years of Longing, che qui tenta di equilibrarsi tra la corporeità e muscolarità del B-movie ed una spinta verso qualcosa di più alto e nobile, a partire da una recitazione che, nei frangenti più prettamente drammatici, rivela un'inconfondibile complessità espressiva.
Eppure, nonostante il potenziale slancio fornito da quest’ultimo, la sostanza di Beast può essere facilmente riassunta in quelle poche righe di sinossi di cui sopra. Una sinossi che, come spesso avviene, è più che altro un facile ed eccellente pretesto per le volontà action-immersive, del tutto attigue al videogame, del progetto. A questa regola, eccede soltanto l’interesse che la sceneggiatura di Ryan Engle dimostra nei confronti di una caratterizzazione un po’ più che funzionale dei personaggi, quest'ultima portata avanti da un tentativo (minimo) di analisi delle conseguenze di un trauma e delle fratture di un nucleo familiare.
Nulla di rivoluzionario, imprevedibile o sofisticato - anzi, il più delle volte si ricorre ad un campionario classicissimo, per non dire stucchevole, di sentimenti e soluzioni -, eppure capace di donare alla pellicola di Kormákur quel tocco di umanità, di spontaneità (nei dialoghi e nelle reazioni caotiche) e di cuore, che, in caso contrario, sarebbe andato inevitabilmente perso, di fronte all’inscalfibile forza e preponderanza, in termini produttivi e concettuali, dell’artificio, del prodotto digitale, del virtuosismo visibilmente sintetico.
Difatti, nella costruzione più esperienziale di Beast, la parte da leone (pardon) è riservata alle abili ed agili coreografie in piano-sequenza programmate, imbastite e cucite ad hoc dal direttore della fotografia Philippe Rousselot (Sherlock Holmes, The Nice Guys e Senza rimorso) e dal montatore Jay Rabinowitz, ma anche alle insalubri costruzioni CGI di ogni singola creatura non umana di questa savana sudafricana.
Invero, Beast, così come tante altre produzioni hollywoodiane prima e dopo di lei, paga pegno e diventa preda (di nuovo, pardon) della sua stessa smania fotorealistica: il leone in computer grafica è, sì, una minaccia credibile e temibile, ma lo è fino a quando si trova fuori campo o viene soltanto fatta percepire e subodorare allo spettatore. Tuttavia, nel momento in cui l’azione si innesca e la creatura irrompe nel quadro, è impossibile non notare l’artificiosità dell’animale, oltre che la sua eclatante dissonanza nelle interazioni più strette e ravvicinate con gli elementi profilmici reali e tangibili; e, di conseguenza, non iniziare progressivamente a sottovalutarne la carica e funzione tensiva.
E il fatto che, in un prodotto del genere - che sfrutta così tanto il digitale, da rimanerne poi invischiato - si professi il fascino dell’analogico, della pellicola, della concretezza e matericità dell’immagine, non è altro che un buffo (e forse inconsapevole) eufemismo.
Beast è allora poco più che una thrill ride, un ottovolante tanto adrenalinico, quanto imperfetto, una variazione sul tema survival-slasher che potrebbe non soddisfare chi cerca qualcos’altro, qualcosa di più alto o di meno derivativo.
Ma è, anche e soprattutto, un B-movie estremamente coerente e corretto, con un proprio gusto ed un suo perché. Uno più posato di quanto temessimo dal principio, che riesce sempre e comunque a mantenere una propria dignità, ambendo ogni tanto, seppur invano, ad un’elevazione, ad un’ammissione nella categoria superiore.
Insomma, un film di cui, dietro una tecnica valida ed efficiente (eppure mai davvero strabiliante), si riesce fortunatamente a scorgere un’intenzione, un'emozione, un approccio incondizionatamente divertito e senza troppe pretese all’esercizio cinematografico. Con buona pace delle altre, vecchie “bestie del grande schermo”, da quelle di un grande parco divertimenti, a quelle delle profondità acquatiche e spaziali.
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