TITOLO ORIGINALE: Hawkeye
USCITA ITALIA: 24 novembre 2021
REGIA: Rhys Thomas, Bert & Bertie
PIATTAFORMA/CANALE: Disney+
GENERE: azione, avventura, fantascienza, supereroi, commedia
N. EPISODI: 6
DURATA MEDIA: 45 min
Malgrado qualche inevitabile difetto, Hawkeye, la nuova serie originale Marvel Studios, perora in maniera eccellente la missione di approfondimento che accomuna tutte le serie live action finora rilasciate dalla major. Forte di una grande chimica tra gli interpreti, di sequenze action creative e divertite e di un'atmosfera natalizia che arriva a pervaderne pure la sceneggiatura, Hawkeye è un'avventura minore, ma ottimamente ritmata, che dimostra ancora una volta il fascino di un progetto a dir poco unico nel suo genere.
Cosa significa essere eroi al giorno d’oggi? Avere poteri straordinari, superare ogni barriera fisica esistente e compiere imprese titaniche? Senz'altro, era questa la definizione di eroe, quella più classica, a cui si ispirarono autori del calibro di Jerry Siegel e Joe Shuster, quando, nel 1933, crearono il personaggio di Superman, l’icona americana per eccellenza, un alieno proveniente dal pianeta Krypton dotato di strabilianti poteri, che, qualche anno più tardi, influenzò pesantemente la genesi del Capitan America di Joe Simon e Jack Kirby, superuomo che, a differenza di Superman, è più calato ed immerso nel contesto geopolitico a lui contemporaneo e che, proprio per questo motivo, negli anni del secondo conflitto mondiale servì da grande fonte di ispirazione per i soldati americani al fronte.
Ebbene, seppur si tratti, in entrambi i casi, di individui benedetti da una forza erculea e da uno spiccato senso morale, già solo da questi pochi, si può comprendere precisamente in che modo questi due personaggi incarnano ed intendono l'eroismo e, di conseguenza, condizionano e condizioneranno la politica editoriale delle due case editrici, rispettivamente DC e Marvel Comics [al tempo, Timely], che, su di essi fonderanno e fondano ancora adesso la propria fortuna.
Se, nel caso di Superman, abbiamo infatti un approccio rivolto più all’istituzione di icone ed emblemi socio-culturali, in Capitan America invece si possono scorgere una tendenza ed un’intenzione più “terrene”, centrate su un momento storico, sociale e culturale ben preciso, su un sentire specifico e, pertanto, plausibilmente transitorio e mutevole.
Per la cronaca, sarà proprio su questo stesso modo di leggere e figurare l’eroismo, che, qualche decennio più tardi, Stan Lee e Steve Ditko daranno il via alla grandiosa epopea di Spider-Man, personaggio che è forse la raffigurazione più forte di un discorso ancora oggi - cioè ad ottant’anni precisi dalla nascita del ragazzone a stelle e strisce - incredibilmente forte ed attuale.
Invero, per rispondere alla domanda di cui sopra, è bene chiedersi innanzitutto quale sia il vero motivo per cui la Marvel sta vincendo la battaglia delle trasposizioni (cinematografiche e seriali), superando - a dispetto dei detrattori - di gran lunga la concorrenza e diventando quanto mai un unicum produttivo e culturale a dir poco irripetibile. Ebbene, la risposta è presto detta.
Difatti, è proprio perché, al giorno d’oggi, la parola eroe non è direttamente proporzionale al potere materiale e fisico di cui è dotato un individuo, quanto piuttosto all’influenza che questo cosiddetto eroe ha e può avere sull’opinione pubblica, sul mondo là fuori e, di conseguenza, sull’immaginario collettivo; e a tutti i significati che un determinato eroe porta con sé, che la Marvel trionfa indiscussa. Anche quando sforna prodotti minori e potenzialmente trascurabili.
È questo il leit motiv principale su cui ruotano i sei episodi di Hawkeye, ultimo inserto di questo gigantesco mosaico supereroistico, che chiude l’anno della svolta post-Avengers: Endgame (una trauma che si farà ancora sentire, dentro e fuori lo schermo), perorando visibilmente ed imperterrito la missione che accomuna un po’ tutti e quattro i prodotti seriali live-action finora distribuiti dalla major, ossia approfondire e rendere giustizia a quei personaggi che, per esigenze narrative od una potenziale complessità gestionale, sono sempre stati messi in secondo piano all’interno degli “episodi cinematografici”.
Questa volta tocca ad Occhio di Falco (sempre Jeremy Renner), che, ancora scosso (giustappunto) dagli eventi dell'ultimo Avengers - o dal fatto che, a differenza sua, all’amica Natasha sia stato dedicato un film stand-alone -, si ritrova invischiato in una sordida trama ordita da un misterioso re del crimine di New York (che i fan più accaniti riconosceranno sicuramente), mentre si trova in città per festeggiare le vacanze di Natale con la famiglia.
Ciò nonostante, la serie punta tutti i suoi riflettori su Kate Bishop (Hailee Steinfeld), ragazza ricca, atletica, spigliata, promettente nel tiro con l’arco, fan accanita del supereroe dopo che questi le ha salvato la vita durante la battaglia di New York; la quale si ritrova, suo malgrado (o forse no?), in mezzo a questa pericolosa faida criminale.
Piano malavitoso, quest'ultimo, che vede coinvolti pure la madre Eleanor (una Vera Farmiga algida e austera), il fidanzato di quest'ultima, Jack (un Tony Dalton estremamente sopra le righe), ed un gruppo di criminali volutamente ridicoli, i cosiddetti “tizi in tuta”, a loro volta guidati da Maya Lopez/Echo (una Alaqua Cox che non si fa ricordare a dovere).
A dispetto di quello che potreste aver dedotto dalla nostra forse lunga, ma doverosa premessa - e come più propriamente intuibile dalla semplicità della trama e da alcuni suoi aspetti eccentrici e bislacchi -, la serie ideata da Jonathan Igla è forse il prodotto più essenziale, intenzionalmente manifesto e contenutisticamente modesto che i Marvel Studios abbiano sfornato negli ultimi dieci anni.
Uno show che si lascia travolgere del tutto dall’atmosfera natalizia e si propone agli spettatori - specie a quelli più appassionati della macro trama imbastita da Kevin Feige e soci - quale un’inaspettata, sorprendente e divertita svolta verso collegamenti abbastanza esili, un piglio ironico nei confronti delle aspettative del pubblico e delle norme editoriali dell’universo (vedi a cosa viene ridotta la sequenza post-credit) ed una costruzione narrativa che, se paragonata con quella di alcuni suoi colleghi, potrebbe addirittura apparire banale e sciapa, ma che ha invece il grande pregio di aprire e chiudere tutte le proprie storie senza indugiare in fronzoli inutili, dando vita a sequenze action di cui colpiscono innanzitutto la creatività e le intuizioni - ancor prima che la gestione dell’azione in sé e per sé - e a momenti viceversa più “introspettivi” e dialogati dove rende moltissimo il lavoro sugli interpreti (tra cui è d’obbligo citare pure una meravigliosa Florence Pugh, che riprende il suo ruolo di Yelena Belova da Black Widow).
Invero, malgrado uno squilibrio contenutistico tra episodio ed episodio, il racconto portato in scena da Rhys Thomas e dalla coppia di registe Bert & Bertie funziona, in via del tutto eccezionale, proprio per la chimica che si respira tra Occhio di Falco e Kate Bishop, tra un Jeremy Renner tra il bonario padre putativo e lo scorbutico solitario ed un’incantevole e divertita Hailee Steinfeld, già lanciata verso l’inevitabile conquista di uno splendido e radioso futuro all’interno di questo variopinto universo.
Poi, come inevitabile che sia, il serial è quasi costretto ad inserire al suo interno riferimenti al “bigger picture” che cadranno in un nulla di fatto (vedi la scritta "Thanos aveva ragione" che, laddove affrontata, avrebbe potuto o - quasi certamente - porterà a risvolti molto stimolanti), e riferimenti grafici ad un’eredità, quella fumettistica, che non combaciano minimamente con le ristrette ambizioni narrative ed estetiche del progetto (i titoli di coda e il logo della serie sono infatti un chiaro richiamo al pluripremiato ciclo di storie ad opera di Matt Fraction e David Aja).
Ciò nonostante, Hawkeye è una serie che, così come il recente Spider-Man: No Way Home, ha già creato un precedente, più che altro in termini produttivo-industriali. Infatti, riprendere e ricontestualizzare uno dei villain (e degli attori) più amati di un universo narrativo che, un tempo, era un microcosmo più oscuro, maturo e “totally metropolitan” del Marvel Cinematic Universe, è un vero e proprio colpo di genio che riflette la potenza e l’attrazione di mercato di un progetto che, ora per davvero, dovrà dimostrare che “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. Non tanto a livello di grandezza ed ambizioni epiche, quanto piuttosto nella rimessa in discussione e reinvenzione di un immaginario veramente difficile da ricostruire.
Non fosse per questo però, Hawkeye si limiterebbe (giustamente e volontariamente) ad un lungo biglietto di auguri che, oltre ad offrire cinque, sei ore di spettacolo scomposto e ridanciano, ricorda nuovamente la fidelizzazione dell'universo Marvel nei confronti di un (grande) pubblico talmente investito da sciropparsi pure le sue appendici più minime.
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