TITOLO ORIGINALE: Ghostbusters: Afterlife
USCITA ITALIA: 18 novembre 2021
USCITA USA: 19 novembre 2021
REGIA: Jason Reitman
SCENEGGIATURA: Gil Kenan, Jason Reitman
GENERE: azione, fantascienza, commedia, thriller, fantastico, avventura
La filosofia del rilancio di proprietà intellettuali storiche ed amate e la nostalgia sono i due assiomi fondanti il cinema commerciale-pop odierno e, a suo modo, pure Ghostbusters: Legacy di Jason Reitman. Sequel putativo del cult movie anni '80 per antonomasia, Legacy è l'omaggio che Reitman fa al padre Ivan, regista dei due capitoli originali del franchise. Purtroppo, nonostante presenti tutti gli strumenti in regola per sviluppare al meglio le proprie commosse intenzioni, la pellicola deve fare i conti con l'infima e scialba qualità con cui sceglie di incorporare una quantità esorbitante, quando non opprimente di citazioni e riferimenti all'interno di narrazione e messa in scena. Il risultato finale è una pornografia dell’elemento nostalgico, una perversione dell’oggettistica e dei suoi significati intrinseco-culturali, una masturbazione fanatica sul richiamo, sul ricordo, sulla commozione e sull’affetto per un dato testo. Una danza mesta, di pura matrice capitalista (come biasimarli), sulla tomba del franchise, per non dire del povero Harold Ramis.
Il rilancio di proprietà intellettuali storiche e la nostalgia - con particolare riferimento agli anni ‘80 - sono i due assiomi fondamentali del cinema commerciale-pop odierno. Un po' come la scopa e la paletta, difficilmente si vendono separati e spesso l’uno determina o consegue l’altro in termini logici e pratici.
Nel caso in oggetto, come fosse un composto chimico, se, a questi due paletti imprescindibili dell'attuale industria cinematografica, andassimo ad aggiungere elementi quali il sogno, l’ammirazione e la paternità otterremmo una soluzione che risponde al titolo di Ghostbusters: Legacy, nostalgico sequel putativo dell’omonimo cult movie anni '80 per antonomasia, diretto da Jason Reitman - figlio del ben più noto Ivan, regista dei due storici film sugli Acchiappafantasmi.
Ora, immaginatevi il nostro caro Jason che, un giorno, sale nella soffitta di casa, dove il padre, più di vent’anni fa, ha lasciato a prendere polvere tutti i giocattoli di quando era giovane; di quando, negli scintillanti anni ‘80, andava in giro per New York con i suoi amici a catturare fantasmi a bordo di una Cadillac straripante di tecnologie improbabili, sventare apocalissi bibliche, abbattere giganteschi omini di marshmallow e sconfiggere divinità sumere che tornavano in vita, pretendendo il controllo del globo.
Ebbene, preso da un eccesso di malinconia misto ad un profondo affranto per la morte di uno di questi cari amici di papà (Harold Ramis, ndr), Jason decide di rimettersi in spalla zaino protonico e trappole ed inventarsi un’avventura in cui un gruppo di ragazzini, magari proprio della stessa età di quando vedeva il padre compiere quelle fantastiche imprese, venisse a contatto e rivivesse l’incanto di quel quintetto di giovanotti guasconi, particolari, esuberanti, taluni donnaioli, sessisti (e chissene), un po’ nerd, come li chiameremmo oggi. Un’avventura che denoti dunque la profonda riverenza ed omaggi spudoratamente quel mondo fantastico e fantasioso che quei cinque, inseparabili amici hanno contribuito a creare e rendere mito, icona, leggenda.
Solitamente una romanticizzazione del genere preluderebbe ad un testo in cui non si fa altro che esprimere lodi e riconoscere magari la creatività, la passione o la riuscita del prodotto. Invece, siamo qui a dire che forse sarebbe stato meglio se tutto questo fosse stato, in fondo, giusto un sogno. Che i giocattoli, una volta rispolverati, fossero stati riposti e, di loro, Reitman avesse conservato solo un ricordo agrodolce. Dal momento che stiamo scrivendo queste righe, purtroppo così non è stato.
Di fatto, il problema principale di Ghostbusters: Legacy è uno, ed uno soltanto. Ovvero l'essere una fantasia ed un desiderio (del suo regista, produttore e principale autore, insieme a Gil Kenan) che però, all'atto pratico, mancano proprio di quella fantasia e di quel desiderio tanto intensi e pronunciati nelle premesse.
Ed è un vero peccato, dal momento che l'evidente delusione di chi scrive - che, tra una parola e l’altra, sta pian piano emergendo - non si sostanzia propriamente nella forma del testo co-scritto e diretto da Jason Reitman. Anzi, Ghostbusters: Legacy avrebbe tutti gli strumenti in regola per esprimere al meglio le proprie intenzioni di base: alcune interpretazioni coinvolte e convincenti (con particolare riferimento a quelle di una mitica Mckenna Grace e di un esilarante Logan Kim), una colonna sonora iper-citazionista, effetti visivi degni di nota ed una fotografia (di Eric Steelberg) che sa ben cogliere l’azione e il rapporto tra naturale e soprannaturale; ma deve fare i conti con l'infima ed insipida qualità con cui sceglie di incorporare ed inserire citazioni e riferimenti tra le trame di narrazione e messa in scena.
In particolare nella prima ora (di due, interminabili), Ghostbusters: Legacy si trasforma allora in una visita guidata al museo, in cui il fluire dell’intreccio subisce delle momentanee, ma brusche interruzioni per permettere alla macchina da presa di enfatizzare e dilatare al massimo il momento di rivelazione, svelamento o epifania di un dato cimelio o memorabilia proveniente dritto dritto dal film originale.
Capite quindi bene il disappunto al rendersi conto che probabilmente tutta la prima ora sarà devoluta nient'altro che a questa forma di pornografia dell’elemento nostalgico, di perversione dell’oggettistica e dei suoi significati intrinseco-culturali, di masturbazione fanatica sul richiamo, sul ricordo, sulla commozione e sull’affetto per un dato testo.
Tutto questo spicciolame, questo inganno emotivo (il cinema è sì illusione, ma fino ad un certo punto), questa gratuità e pochezza di mezzi viene poi alimentata ulteriormente da una narrazione che, già di per sé, stenta ad ingranare, povera di qualsiasi forma di strumento affabulatorio autonomo ed indipendente, di un contenuto forte abbastanza da giustificare una tale focalizzazione sull’eco nostalgico, di una scrittura dei personaggi che sappia slegarsi del preconfezionato, di una tensione narrativo-emotiva altra rispetto a questa fissazione per le reliquie.
A dimostrazione di questa tensione, necessità e voglia di rimanere nel passato, basti pensare all’aiuto risolutivo apportato da alcuni vecchi personaggi (avete capito) proprio nelle battute finali. E poi, è mai possibile costruire tutto un film su una riesumazione ed ascetica (ri)messa in scena di icone storiche, per poi scegliere - sbagliando - di accompagnare il suo momento più emotivamente alto (l’unico in realtà) con uno dei nuovi, camaleontici, ma del tutto banali temi composti da Rob Simonsen, e non con la fantastica canzone di Ray Parker Jr. che tutti conoscono e amano? Un errore, a nostro parere, veramente imperdonabile.
Potrà commuovere gli aficionados, quelli che “c’ero quando uscì”, oppure ancora quelli che si sono sentiti traditi dall’altro tentativo di rilancio - quello al femminile proposto da Paul Feig più di cinque anni fa (perlomeno, in quel caso, sapevamo già in partenza a cosa stessimo andando incontro) -, ma Ghostbusters: Legacy è una pellicola di base insufficiente, nonché contraddittoria in maniera eclatante.
Un’opera divisa tra un passato, sì, emozionante, ma sintetizzato in tutta la sua polverosità e farraginosità da un Bill Murray francamente stanco e scocciato (gli si addice di più il ruolo di Arthur Howitzer Jr. in The French Dispatch); ed un presente a cui è necessario strizzare l’occhio per vendere qualche biglietto in più alle famiglie. Che ha insistentemente bisogno (anche troppo) di indicazioni ed esplicitazioni su ciò che si sta vedendo, che gli omini di marshmallow vengano “minionizzati”, oppure ancora che ogni sintomo di denuncia o satira rispetto ad un oggi i cui fantasmi sono ben più inquietanti di Gozer il Gozeriano, venga ridotto al massimo.
La perfetta dimostrazione che “se ci si perde nella nostalgia, questa può uccidere”, tesi alla base di Ultima notte a Soho di Edgar Wright. Una danza mesta, di pura matrice capitalista (come biasimarli), sulla tomba del franchise, per non dire del povero Harold Ramis. Questo è, in sintesi, il nostro giudizio su Ghostbusters: Legacy.
E sarebbe pure ora di smetterla di riesumare periodicamente questo universo con risultati mediocri, quando non del tutto scadenti. Stessa cosa vale per questa mania anni ‘80, che ha già iniziato a fare i suoi primi danni. Ma la profezia dell’industria prevede ben altro, purtroppo...
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