TITOLO ORIGINALE: Don't Breathe 2
USCITA ITALIA: 11 novembre 2021
USCITA USA: 13 agosto 2021
REGIA: Rodo Sayagues
SCENEGGIATURA: Fede Álvarez, Rodo Sayagues
GENERE: horror, thriller
Allo sceneggiatore del primo film di Fede Álvarez, Rodo Sayagues, passa il testimone della regia de L'Uomo nel Buio: Man in the Dark, il sequel di un thriller horror ben sopra la media, con un buonissimo concept e, per certi versi, sorprendente. Il risultato finale è un action thriller (non più un horror duro e puro), diviso tra un home invasion dall'azione più spettacolare e dalla regia meno barocca e regolata, ed un revenge movie sensorialmente soddisfacente, forse tirato leggermente per le lunghe. Stephen Lang riprende il ruolo dell'ex Navy Seal cieco con grande fisic du role per un B-movie riuscito e puntuale come pochi, specie al giorno d'oggi.
Otto anni sono passati da quando Norman Nordstrom (Stephen Lang), ex Navy Seal cieco di Detroit, ha difeso casa sua dall’effrazione di tre giovani ladruncoli (tra cui un Dylan Minnette pre-Tredici) in cerca di qualche migliaia di dollari facili, che finiscono però per rivelare un segreto oscuro e morboso.
Cinque anni invece sono trascorsi dall’uscita nelle sale di Man in the Dark (in originale, Don’t Breathe), thriller horror prodotto da Sam Raimi e diretto da Fede Álvarez. Un film teso, spesso sorprendente, caratterizzato da grandi intuizioni nella messa in scena, interazioni elettrizzanti tra personaggi e scenografia, e risvolti sorprendenti. L’eccezione che conferma la regola dell’irregolarità che, specie in materia horrorifica, sussiste tra premesse e attuazione.
Merito, in particolar modo, della sceneggiatura che lo stesso Álvarez firma insieme a Rodo Sayagues, a cui passa il testimone per la regia de L’Uomo nel Buio: Man in the Dark (ennesimo delirio dell’adattamento italiano, in cerca di una parvenza di reboot), sequel sempre prodotto da Raimi e co-scritto da Álvarez, che sceglie di proseguire le vicende di Norman “The Blind Man” Nordstrom, modificando la prospettiva simpatizzata dall’istanza narrante ed adottando così proprio il punto di vista del maniaco.
Quest’ultimo lo ritroviamo in una casa nuova di zecca con il cane Shadow e in compagnia di una ragazzina di undici anni di nome Phoenix (Madelyn Grace) che addestra a sopravvivere per un qualcosa che arriverà prima di quanto pensi. Infatti, una sera fanno irruzione un gruppo di loschi figuri collegati ad un giro di sparizioni di minori e vendita di organi, intenzionati - neanche a dirlo - a rapire la bambina. L’uomo dovrà così affinare tutti i propri (quattro) sensi per annientarli.
Già da queste poche righe di sinossi, ciò che si potrebbe presupporre è che L’Uomo nel Buio: Man in the Dark altro non è che la spudorata copia del suo predecessore, giustificata solo da un ribaltamento del punto di vista, un’inversione dei ruoli di preda e carnefice, e da una scrittura del personaggio di Norman che conduce finanche allo stravolgimento del genere d’appartenenza della pellicola, definibile entro canoni orrorifici solo per i metodi, non certo per l’argomento.
Con Sayagues alla regia infatti, il nostro veterano cieco sveste i panni da horror icon o horror maniac (con i suoi feticci, i suoi strumenti di morte, il suo look riconoscibile e il suo trauma caratteristico e caratterizzante) e si infila invece quelli di uno sciapo antieroe da generico action thriller, con sete di vendetta inclusa. Tanto per cambiare.
L’interpretazione convinta e convincente (specie per il suo fisic du role) di Stephen Lang è allora la sola valvola di sfogo - malgrado Sayagues non riesca ad imprimere e a restituirne registicamente lo stesso grado di carisma - di un personaggio dallo sviluppo e dal programma narrativo prevedibile, che, oltre ad essere l’ultimo arrivato di una lunga lista di uomini - spesso padri o mariti - spietati e vendicativi, si configura pure quale ultimo addendo di una interminabile sfilza di padri putativi, di cormachiana memoria, che si prendono cura e addestrano alla sopravvivenza bambini con cui poi spesso finiscono per intrecciare un rapporto più forte di qualsiasi limite di sangue.
L’Uomo nel Buio: Man in the Dark ripete quindi quel discorso sulla paternità che nel film originale raggiungeva ben altri livelli di intensità e ossessione, e lo unisce all’elemento di decisione e scelta, al solo fine di intessere una storia di precoce emancipazione femminile (come ovvio e giusto che sia); verso la storia di una Young Woman in the Light, per parafrasare il titolo della pellicola. Un testo sul cosiddetto “tagliare il cordone ombelicale”. E a chi importa se poi questo cordone in realtà è un braccio.
Non aspettatevi però nulla di esageratamente sofisticato, anzi questi discorsi, la pellicola di Sayagues, li accantona ben presto a favore di una messa in scena e di una regia che, quando disimpegnate dal rifarsi visibilmente a pellicole quali A Quiet Place (la sequenza dell’addestramento sembra fuoriuscita direttamente dall’horror di Krasinski), John Wick, Rambo: Last Blood et cetera, restituiscono una minima dose di quella tensione martellante che rendeva il primo capitolo un thriller horror ben sopra la media, fondendola però con uno splatter sregolato che finisce per abbandonarsi ad un’estetica trash molto divertente, ed un approccio più smodatamente spettacolare e spettacolarizzato, del tutto alieno ai principi drammaturgici del film di Álvarez, del quale dismette pure il barocchismo registico, non fosse per un piano sequenza veramente da manuale.
Il risultato finale è un home invasion, in cui l’interazione tra personaggi e scenografia casalinga è purtroppo ridotta drasticamente rispetto al predecessore, mentre l’azione, pur camminando spesso sul filo della sospensione dell’incredulità, è più pirotecnica; che si tramuta poi in un revenge movie sensorialmente soddisfacente e di puro intrattenimento, forse tirato leggermente per le lunghe.
Ciò nonostante, la durata (poco meno di un’ora e quaranta) è probabilmente l’aspetto più centrato di un B-movie riuscitissimo e puntuale, solo fotografato con gran cura da Pedro Luque ed accompagnato da una colonna sonora (di Roque Baños) forse pure troppo magniloquente per simili propositi e sviluppi. Sì, un passo indietro, ma assai gustoso e sincero. Magari fosse stato così Halloween Kills di David Gordon Green...
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