TITOLO ORIGINALE: One night in Miami...
USCITA ITALIA: 15 gennaio 2021
USCITA USA: 25 dicembre 2020
REGIA: Regina King
SCENEGGIATURA: Kemp Powers
GENERE: drammatico, biografico
PIATTAFORMA: Amazon Prime Video
La notte del 25 febbraio 1964, il pugile Cassius Clay si riunisce con i suoi amici più stretti - Malcolm X, Sam Cooke e Jim Brown - in una stanza dell’Hampton House Motel, per festeggiare la sua vittoria contro Sonny Liston. Ben presto però, questa rimpatriata tra amici abbandona i toni di festa e baldoria, convertendosi in un’opportunità, per i quattro, di confrontarsi, discutere e riflettere sulla condizione attuale della comunità afroamericana. L’attrice Regina King approda alla regia cinematografica, dirigendo l’adattamento di una pièce teatrale di Kemp Powers, qui impiegato come sceneggiatore. Questa natura teatrale del racconto è fortemente riconoscibile nella messa in scena, che, ciononostante, non limita le proprie possibilità e le proprie dimensione rappresentative. Detto ciò, i due veri punti di forza dell’opera sono però la sceneggiatura - che, pur basando l’intera sua riuscita su dialoghi e riflessioni, riesce ad essere avvincente e ritmata - e un quartetto di interpretazioni formidabili che farà incetta di nomination in questa stagione di premi.
Una notte a Miami, e non una qualsiasi - bensì quella del 25 febbraio 1964 -, il pugile Cassius Clay (che passerà alla storia con il nome di Muhammad Ali) si riunisce con i suoi amici più stretti in una stanza dell’Hampton House Motel per festeggiare la vittoria del titolo di campione del mondo dei pesi massimi, sottratto a Sonny Liston in un incontro che è entrato negli annali.
Oltre all’imponente Clay, nella stanza di un motel ordinario e di seconda mano dell’area metropolitana di Miami - essendo nero non poteva alloggiare in nessuno dei grandi alberghi del centro cittadino -, fanno quindi la loro apparizione figure ugualmente, se non più imponenti come Malcolm X - uno dei maggiori leader e sostenitori della lotta nera contro ciò che egli definiva la “supremazia bianca”, da poco convertitosi all’islamismo e divenuto uno dei rappresentati più in vista della Nation of Islam di Elijah Muhammad -, Sam Cooke - uno dei padri della musica soul, da molti definito il re del soul, uno dei primi artisti di colore ad occuparsi anche dell’aspetto imprenditoriale della propria arte, fondando una casa discografica ed editoriale di proprietà - e Jim Brown - giocatore di football, allora re indiscusso della NFL, in seguito ad una sfavillante carriera come running back nei Cleveland Browns.
Ciò nonostante, quest’aria di baldoria e di festa ha vita breve e, per il quartetto, questa notte a Miami si converte ben presto in un’opportunità per confrontarsi, discutere e riflettere sulla condizione attuale (del 1964) della comunità afroamericana e sulla sua lotta contro la segregazione, i pregiudizi, il razzismo e i soprusi a cui è questa sottoposta ogni giorno. E, così facendo, mettere in discussione non solo il proprio operato e il proprio status di rappresentanza, ma anche i propri ideali etico-morali, artistici e religiosi.
Tutto molto bello e tutto molto stimolante. Peccato soltanto che quanto avete appena letto sia in parte frutto dell’immaginazione. Certo, quella notte del 1964, al Convention Hall di Miami, Cassius Clay si è guadagnato il titolo di campione e, a festeggiare con lui quella notte, vi era realmente Malcolm X - il quale intratteneva, con il pugile, un rapporto che andava ben oltre la semplice conoscenza. Il resto è però completamente finalizzato alla riflessione, al dibattito e alla propugnazione di un concetto, centrali nella pièce teatrale di Kemp Powers (Soul, 2020) dal titolo Quella notte a Miami..., da cui, recentemente, è stato tratto un adattamento cinematografico diretto dall’attrice premio Oscar Regina King (Se la strada potesse parlare, 2018). Reduce dal successo e dal clamore ottenuti (fuori concorso) alla scorsa edizione della Mostra del cinema di Venezia, il film approda in esclusiva su Amazon Prime Video.
Oltre ad essere la prima pellicola di una regista afroamericana ad essere presentata al Lido, Quella notte a Miami… rappresenta anche e soprattutto il vero e proprio esordio della King - dopo una serie di interventi televisivi davanti e dietro la macchina da presa - alla regia cinematografica. L’origine e la struttura teatrale del racconto filmico costituirebbero, in tal senso, una specie di gentile sussidio e facile escamotage dietro cui rifugiarsi per oliare il passaggio da due diverse concezioni di regia e messa in scena e, con ciò, facilitare l’esordio dell’attrice alla regia del lungometraggio. Al contrario, pur mantenendo lo stesso una serie di tratti tipicamente teatrali e teatralizzanti, la King dà comunque prova di una visione inattesa e promettente nella trasposizione della pièce di Powers, muovendosi in spazi che sono tutto fuorché orientati al palcoscenico.
Sarebbe quindi naturale paragonare Quella notte a Miami… con il contemporaneo Ma Rainey's Black Bottom di George C. Wolfe, ma ciò denoterebbe una circoscrizione d’analisi al solo comparto tematico delle due opere. Difatti, in termini prettamente registici, l’esordio di Regina King è ben più dinamico, ibrido ed “ardito”, non limitandosi dunque a “rinchiudere” i suoi personaggi e a rinchiudersi tra le quattro mura dell’Hampton House.
Pertanto, prima di gettare i quattro protagonisti nella fossa - dialettica e teatrale - dei leoni, la regista dà spazio e respiro ad un intero blocco narrativo estrinseco ed estraneo al corpo del racconto, interamente finalizzato ad una loro introduzione ed “allestimento” caratteriale e ad un’esibizione superficiale del dramma che diverrà sempre più profondo e plateale con il proseguire della narrazione. Malcolm, Cassius, Sam e Jim vengono mostrati ad un punto di svolta e in un momento importante delle loro rispettive vite e carriere: c’è infatti chi sta subodorando il successo (Clay), chi il successo e la fama già li ha raggiunti (Cooke e Brown) e chi invece è sul punto di fare una scelta che pregiudicherà e condizionerà profondamente il proprio futuro e la propria storia (Malcolm).
Seppur estremamente funzionale, subordinato all’esposizione dei fatti e ai dialoghi e votato ad un’evidenziazione dell’espressività e delle doti recitative degli interpreti, il modo in cui Regina King adopera, sfrutta e manovra la macchina da presa, in questa specie di prologo a cortometraggi, ci fa quasi rimpiangere, per rigore compositivo e senso del ritmo, le derive fortemente teatrali di sviluppo e conclusione - che, ciononostante, abbandona la forma del Kammerspiel e “torna nel mondo”, all’esterno, ad una rappresentazione delle vite individuali del quartetto, profondamente influenzate da questa notte a Miami.
Anche in Quella notte a Miami..., come nella migliore tradizione drammatica, elementi come il contesto storico e l’ambientazione giocano funzioni soprattutto passive e di mero contorno. In tal senso, sono piuttosto i personaggi e le loro vicende a costituire uno degli elementi di forza; uno dei nuclei cardine attorno a cui si impernia l’intera impalcatura filmica. E, di conseguenza, è negli attori, nella loro somiglianza fisiognomica e nella loro immedesimazione che la pellicola trova la via per eccellere ed individualizzarsi da tutta una cinematografia di impegno politico-sociale e di denuncia e riflessione sul presente attraverso eventi e figure appartenenti ad un passato più o meno remoto.
Un irritato ed inquieto Kingsley Ben-Adir (King Arthur: Il potere della spada, 2017) è il catalizzatore del quartetto nei panni di un Malcolm X custode d'un segreto e di una divisione interiore che porteranno la vicenda del film su tutt’altro piano concettuale ed emotivo - per questo motivo, il personaggio difficilmente intercetta l’empatia dello spettatore. Solare, sorridente e bambinone è invece Eli Goree (Race - Il colore della vittoria, 2016; Riverdale, 2017) nel ruolo di un istrionico ed esuberante Cassius Clay che, secondo per centralità solo a Malcolm, rappresenta l’anima ingenua e spontanea - in cerca quindi di una guida morale e spirituale - del racconto. Molto più marginali e marginalizzati, ma non per questo meno rilevanti, Leslie Odom Jr. (Assassinio sull’Orient Express, 2017), chiamato ad interpretare un Sam Cooke sofferente e afflitto, e Aldis Hodge (Straight Outta Compton, 2015) nei panni di un Jim Brown perlopiù neutrale e calcolatore.
Unitamente alla qualità delle interpretazioni, un altro aspetto di forza e diversificazione del mosaico produttivo di Quella notte a Miami… è, senz’ombra di dubbio, la sceneggiatura di Powers e il modo in cui questa riesce a coinvolgere e far immergere lo spettatore in una vicenda e in una narrazione fondate non tanto sull’immagine e sulla sua immediatezza quanto più sulla parola e sulla sua verbosità; sullo scontro dialettico più che su quello fisico, sull’uniformità di momenti e scene piuttosto che su una loro varietà.
Attraverso dialoghi lucidi, concreti e ritmicamente avvincenti ed una caratterizzazione precisa e distintiva dei quattro protagonisti - facendo inoltre affidamento su una messa in scena scrupolosa nella definizione di posizioni, atteggiamenti e rapporti all’interno del gruppo -, lo script mette in campo un confronto - che sovente si trasforma in un vero e proprio gioco di forza - di ideali, fedi e visioni che va ben oltre la semplice denuncia delle condizioni impietose e del dramma razziale vissuto, ogni giorno e a proprie spese, dalla popolazione afroamericana.
Il dovere morale del quartetto - in quanto “neri emergenti” - nei confronti delle proprie origini, della propria gente, della lotta di emancipazione e riscatto portata avanti da milioni di persone e il concetto di potere nero, il divario interno alla stessa comunità afroamericana in base all’intensità del colore della pelle, la libertà economica come vera e propria forma di autonomizzazione da una condizione sociale precaria e la fede e devozione ad una causa, un’organizzazione, un ideale o un’entità superiore - che spesso può distorcere e allontanare dalla realtà, dal luogo effettivo del conflitto, dalla verità e, talvolta, portare addirittura al martirio - sono solo alcuni degli originali ed inediti spunti di riflessione proposti da Kemp Powers nella sua composizione e alla base sia degli intenti tematico-argomentativi sia della generale riuscita della pellicola.
Cambi repentini d’atmosfera, una tensione dialogica costantemente reiterata, risvolti di dialogo inaspettati e sviluppi concettuali che non ammettono qualsivoglia tipo di luoghi comuni, slogan d’effetto o banalità - combinati con interpretazioni di altissimo livello e gran carattere - sono solo alcuni dei maggiori pregi di una sceneggiatura che, proprio grazie a quanto appena elencato e ad una teatralità che non significa artificiosità e tragicità costretta, dà vita ad una sequela impressionante di momenti alti, memorabili, ispirati, ma soprattutto di grande Cinema.
Per una volta, possiamo quindi constatare di trovarci di fronte ad una pellicola che riesce (e finalmente, diremmo) a porsi come e ad essere una via di mezzo tra il film mediocre e il capolavoro. Non nascondiamo quindi la presenza di un paio di difetti più o meno eclatanti: come già suggerito precedentemente, non tutti e quattro i protagonisti sono equamente e pienamente sviscerati e, di per sé, l’impianto teatrale non permette una percezione sufficientemente potente ed energica (à la Detroit, per intenderci) del contesto storico, sociale, politico e culturale dell’America di metà anni ‘60 e, soprattutto, della lotta afroamericana; e di qualche minimo labirinto ed indugio narrativo.
Eppure, Quella notte a Miami… si presenta ai nostri occhi come un’opera quadrata, onesta, perfettamente dosata e calibrata in tutte le sue anime produttive - e che, per questo motivo, sembra voler puntare a far incetta di nomination in questa stagione di premi -, integra e coerente con sé stessa, e con i propri fini rappresentativi e riflessivi, dalla prima all’ultima inquadratura, tanto simile quanto dissimile rispetto alle recenti produzioni sul genere, emblematico e rappresentativo del potere dell’arte di distorcere e alterare la realtà (e la Storia in questo caso) a scopo narrativo, ipotetico, riflessivo o semplicemente affabulatorio. Infatti, è proprio e soltanto grazie al teatro prima e al cinema poi se oggi questi quattro giganti riescono ad interagire e a scambiarsi opinioni; se Quella notte a Miami (che, purtroppo, mai avvenne) riesce ad avverarsi e prendere vita sul grande schermo.
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