TITOLO ORIGINALE: Mi fanno male i capelli
USCITA ITALIA: 19 ottobre 2023
REGIA: Roberta Torre
SCENEGGIATURA: Roberta Torre
CON: Alba Rohrwacher, Filippo Timi, Maurizio Lombardi, Lorenzo Terenzi, Elio De Capitani
GENERE: drammatico
DURATA: 83 min
Presentato alla Festa del Cinema di Roma 2023
Col solito spirito esplorativo ed estremamente personale, Roberta Torre scrive e dirige Mi fanno male i capelli, un film che intende essere un omaggio all'icona insormontabile e alla ruggente donna del cinema italiano ed internazionale che era Monica Vitti, attraverso la storia di un'altra Monica, affetta dalla sindrome di Korsakoff, una malattia neurodegenerativa che le provoca veri e propri vuoti di memoria e le impedisce di riconoscersi, la quale troverà nei film dell'attrice un lenitivo ed un rifugio. A volte però la via più semplice è anche quella più giusta. E forse l'unica possibile per evitare simili risultati.
Bisogna riconoscere a Roberta Torre il fatto che non si accontenti mai della via più semplice e che anzi cerchi sempre di raggiungere l’obiettivo prefissatosi e si approcci a qualunque sia il soggetto di un proprio film con uno spirito eclettico, esplorativo, estremamente personale, e quindi originale, allontanandosi per quanto possibile dalle convenzioni.
È questo il caso anche della sua ultima fatica, Mi fanno male i capelli, in cui, come si può ben evincere dal titolo, intende in qualche modo omaggiare tutto ciò che, per immensa gioia e fortuna nostra e del cinema italiano ed internazionale, è stata Monica Vitti. Torre rifugge fin da subito il cammino e la scelta del biopic più classico e tradizionale, ma anche quelli del docu-film, rivolgendosi invece ad un soggetto e ad una storia che includono la presenza di Monica Vitti secondo criteri e modalità potenzialmente più affascinanti, ma comunque decisamente curiosi.
Protagonista della pellicola è infatti “solo” un’omonima della nostra leonessa (che però all’anagrafe faceva Maria Luisa Ceciarelli). Una donna di nome Monica che vediamo per la prima volta mentre passeggia e saltella con vitalità fanciullesca su una spiaggia nel litorale romano. Non scorgiamo e capiamo tuttavia chi sia davvero fino a che non ne vediamo il viso, lo sguardo e, specialmente, lo smarrimento e la confusione che lì si celano. Il perché di questo sentire, lo scopriremo qualche istante più tardi, tramite le parole di un medico, il quale ci racconterà che la nostra Monica ha la cosiddetta sindrome di Korsakoff.
Parliamo di una forma di alterazione della mente che le fa perdere i contorni delle cose, le provoca veri e propri vuoti di memoria, la getta in pasto ad allucinazioni, rimozioni, e non le permette più di riconoscersi e riconoscere chi le sta accanto, tra cui il marito Edoardo, sì molto depresso e scoraggiato da questa situazione - a cui si somma il debito di una causa legale andata male e la soffocante pressione dei creditori -, eppure premuroso e dolce nell’assecondare gli sperdimenti della compagna. La quale, per parafrasare una celebre frase proprio di Vitti ne La notte, ha l’impressione di scordarsi ogni giorno qualcosa, e trova nei ruoli, nei film, nel cinema e nell’iconografia della mitica musa antonioniana un rifugio, un conforto, un lenitivo contro la malattia ed uno strumento inconscio, spontaneo e suggestivo per creare nuovi ricordi. Ricordi di una vita che, al contempo, ha e non ha vissuto.
È insomma un bel soggetto, un incipit estremamente stimolante ed inventivo, quello di Mi fanno male i capelli, che reimpiega uno dei tratti più suadenti, interessanti ed unici di Monica Vitti attrice, icona e donna: quel suo essere insieme presente e da tutt’altra parte; per descrivere la scissione, discontinuità e schizofrenia dei processi mnemonici della Monica protagonista. Non solo, quello immaginato e messo in scena da Roberta Torre è inoltre un discorso metatestuale che lega indissolubilmente il cinema con le dimensioni psicologiche e cerebrali del ricordo (in riferimento al carattere oggettivo, meccanico e scientifico del mezzo- e della macchina-cinema), e del sogno (ad occhi aperti, com’è sempre stato definito il cinema fin dalle sue origini).
E, diversamente da Filippo Timi, compunto ed integerrimo nei frammenti più tipicamente melò, stonato nel calzare i panni e, nello specifico, nel rendere la dizione e l’inflessione di Marcello Mastroianni - funziona pure Alba Rohrwacher, reduce dall’interpretazione di Alida Valli in Finalmente l'alba, nei panni della smemorata Monica. Grazie alla naturale compenetrazione del cinema, l'attrice si trova impegnata infatti in una prova assolutamente rispettosa e misurata, memorabile per la naïveté, la dolcezza e la delicatezza, quel piglio anche infantile di cui sopra - che è alla base dell’atto o, meglio, del suo gioco mimetico e rende quasi toccanti alcuni momenti di rifrazione e dialogo impossibile tra “originale” e “simulazione incarnata” -, nonché per l’indubbia sensualità che ella sa inaspettatamente esprimere nelle sequenze più disorientate e disorientanti.
D’altra parte però, pur riconoscendo il grande coraggio di Torre non soltanto nell’approcciarsi ad una figura che pare irreplicabile ed inviolabile, ma nel farlo in un modo così apparentemente fresco ed audace, è anche vero che, a volte, la via più semplice è forse pure la più giusta. E forse l’unica.
Specie se, come nel caso di Mi fanno male i capelli, si decide infine di accontentarsi del soggetto, delle premesse e dei presupposti, senza svilupparli e senza darvi un briciolo di compiutezza, di senso ulteriore, di corpo e di sostanza, insieme e al di là dell’omaggio. Difatti, il taglia e cuci di prelievi, schegge, segmenti celebri dalle pellicole con protagonista la Vitti (come il già citato La notte, o L'eclisse e Deserto rosso, sempre di Antonioni, o ancora il monicelliano Le coppie, Teresa la ladra con Michele Placido, e i sordiani Polvere di stelle e Amore mio aiutami), a loro volta accostati ad altre immagini provenienti da opere più sperimentali, quali Limite di Mario Peixoto, Le tempestaire di Jean Epstein e Quando l'occhio trema di Paolo Gioli; si sviluppa per alchimie visive, specchi-soglie, allegorie, parallelismi ed un fintissimo effetto Super8, e procede schematicamente al ritmo di un video-essay, girando su sé stesso e beandosi della propria autoreferenzialità endogena e della luce riflessa dell’immaginario a cui fa riferimento, per poi perdersi del tutto nei movimenti conclusivi.
In primis, sbagliando il tono di un paio di scene e il dosaggio di dramma e commedia. Successivamente, suscitando un profondo imbarazzo, misto ad una patetica tenerezza, nella goffa simulazione di un altro dialogo impossibile, questa volta con Alberto Sordi - tanto per non lasciarsi scappare un altro omaggio, accessorio, il quale tuttavia finisce per sbilanciare e decentrare il tutto. Ed arrendendosi infine alle tentazioni più prevedibili, facili e banali, come ad esempio ad un montaggio finale, sorretto interamente dalle meravigliose musiche del giapponese Shigeru Umebayashi (In the Mood for Love, La foresta dei pugnali volanti), che non avrebbe certo sfigurato durante una cerimonia dei David di Donatello, ma che qui è veramente l’ultima dimostrazione di quanto l’avventura proposta da Roberta Torre sia più modesta di quel che dà a vedere. Che oltre ad una malinconia scombiccherata, Mi fanno i capelli ha ben poco altro da regalare allo spettatore.
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