TITOLO ORIGINALE: The Continental: From the World of John Wick
USCITA ITALIA: 6 ottobre 2023
PIATTAFORMA/CANALE: Amazon Prime Video
REGIA: Albert Hughes, Charlotte Brändström
SCENEGGIATURA: Greg Coolidge, Kirk Ward, Shawn Simmons, Ken Kristensen
CON: Mel Gibson, Colin Woodell, Mishel Prada, Ayomide Adegun, Ben Robson
GENERE: azione, thriller, poliziesco
N. EPISODI: 3
DURATA MEDIA: 80-98 min
Un recupero nostalgico è alla base di The Continental, la serie prequel/spin-off dell'universo di John Wick. Veri protagonisti sono un Mel Gibson villain squisitamente su di giri ed una colonna sonora dirompente, incontrollabile, talora ingombrante che irrora tutti e tre gli episodi di un prodotto fioco e derivativo tutto finalizzato al grande e sanguinolento action piece finale.
Non a caso a The Continental segue il sottotitolo Dal(!) mondo di John Wick. Difatti, pur raccontando una delle istituzioni cardinali, uno dei luoghi simbolo, una delle trovate più brillanti, nonché una storia centrale ai fini e nell’economia dell’imprevista e man mano sempre più corposa mitopoiesi del franchise nato col revenge movie di Derek Kolstad (autore di soggetto e sceneggiatura), Chad Stahelski (in regia), David Leitch (produttore) e, in larga parte (specie nell’ambizione iconica del killer), anche di Keanu Reeves; la miniserie prequel/spin-off di quella che è la quadrilogia del puro movimento, della performance, dell’astrazione dell’uccidere, è qualcosa di autarchico ed indipendente. Una serie dal mondo di John Wick appunto, quantomeno sul piano estetico.
Alla traslazione temporale dell’universo johnwickiano a metà anni ‘70 - in una New York e in un’America luride ed imputridite, non ancora del tutto riemerse dall’inferno della guerra del Vietnam - coincide invero una sorta di depurazione, di decontaminazione stilistica e formale rispetto a quelli che sono ormai diventati i segni caratteristici della serie, i suoi luoghi comuni, i suoi stereotipi, ribaltando così le aspettative dello spettatore. Nei primi due (di tre) episodi si contano allora sulle dita di una mano le sequenze di combattimento e sparatorie acrobatiche, ipercinetiche, installative, messe in scena con fedeltà e mestiere (la migliore di queste è quella che apre la serie) e, salvo gli occhiolini a qualche frase celebre e le norme risapute che regolano questo mondo (sulla cui riepilogazione non si indugia nemmeno più di tanto), quello a cui assistiamo e che vediamo su schermo è assimilabile a tanti altri testi, meno che a John Wick.
Tutto ciò che sta al di fuori delle mura dell’Hotel Continental (ma per certi versi qualcosa riesce ad infiltrarsi anche lì) è un recupero nostalgico, un conglomerato retro-maniaco e (post-)postmoderno, di chiara derivazione tarantiniana, di tutto ciò che, all’epoca della diegesi, era e che, per noi, è stato ed è il cinema d’azione anni ‘70, da Walter Hill a William Friedkin, dalla blaxploitation al pulp, per non parlare dei film d’arti marziali, in particolare, di quelli con protagonista l’intramontabile Bruce Lee. Allo stesso tempo, la serie contempla una cifra disorientante e, per certi versi, inquietante, affidando ad una coppia di gemelli malvagi e quasi inarrestabili l’incarico di sintetizzare la natura pastiche dell’operazione estetica di The Continental e già codificata nell’universo di John Wick. Nel design e nel look che essi esibiscono si mischiano una deriva fumettistica, il cinema dei killer bislacchi di altri due fratelli, i Coen, la scrittura tutta visiva di certo cinema orientale, e pure qualcosa di Tim Burton.
Insomma, lo avrete capito, sono il gusto cinefilo e l’atmosfera la maniera, i dispositivi, ma pure l’alibi attraverso cui la miniserie ideata da Greg Coolidge, Kirk Ward e Shawn Simmons intende distanziarsi e trovare una propria strada rispetto alle pellicole di Stahelski, ambendo - a partire dalla durata extra-large delle singole puntate (tra i 90 e i 100 minuti) - ad un afflato e ad un respiro prettamente cinematografici.
In questo, un grande apporto è dato dalle interpretazioni e dalla colonna sonora. Protagonisti assoluti sono infatti un Colin Woodell che sembra fuoriuscire da un noir della Hollywood classica ed un Mel Gibson villain squisitamente su di giri, che passa il tempo ad autoironizzare e, così facendo, a riflettere e a farci riflettere sull’ultima incarnazione della propria immagine divistica e sull’ingloriosa fetta recente della sua carriera, costellate di controversie, episodi scomodi, e legate a doppio filo con le sue provocanti credenze politiche e religiose e il suo cattolicesimo forte e radicale. Per quel che riguarda invece le musiche, le fibre di The Continental sono continuamente irrorate da motivi, canzoni, ritmi, inni estremamente riconoscibili che, da sottofondo, commento e strumenti di transizione, non solo assurgono alla funzione di agenti nell’allestimento di quella atmosfera di cui sopra, ma si trasformano in veri co-protagonisti della narrazione.
I Feel Love, Samba Pa Ti, If You Leave Me Now, Crimson & Clover, e ancora La Grange, The Boss, Daddy Cool, Welcome to the Machine: la musica è di fatto un elemento dirompente, incontrollabile, talora ingombrante durante questi tre capitoli della serie, a tal punto che quest’ultima potrebbe sembrare e sembrarvi più che altro un pretesto per spingervi ad aggiornare e rivedere la vostra playlist, che non a scoprire come e perché Winston Scott (interpretato dall’elegante Ian McShane nei film) è diventato il gestore dell’hotel degli assassini.
Il modo sbiadito e livido con cui questo intorno e questa ambientazione straripanti sono legati alle vicende personali, insieme a quello con il quale è scritto e messo in scena l’intreccio o, meglio, l’accumulo di avvenimenti, rivelazioni e drammi personali che conducono all’epica, iperbolica e sanguinolenta resa, al ludico ed immancabile showdown, alla lunga infiltrazione e attacco alla fortezza; non aggiungono in realtà nulla di realmente sostanzioso e davvero intrigante, nessun crescendo emotivo di sorta a supporto, complemento e giustificazione.
Anzi, le tre ore che precedono l’inevitabile, il godurioso, il creativo e l’agognato epilogo di botte, spara-spara, sangue e morte, risultano per lo più un’obbligata procrastinazione. Un eccessivo risparmio energetico, anche e specie dal punto di vista del linguaggio, se paragonato proprio a quest’ultimo grande action piece che, sulla falsariga di quanto fatto da Gareth Evans, sfrutta appieno le coordinate orizzontali e verticali dello spazio, del mezzo e dello spettacolo cinematografici per dar vita forse all’unico frammento di The Continental davvero in grado, per affinità e per contrasto, di sfidare il modello.
Ti è piaciuta la nostra recensione? Se sì, lascia un like e condividi l’articolo con chi vuoi.
In più, per non perdere nessun’altra pubblicazione, assicurati di seguirci sulle nostre pagine social e di iscriverti alla nostra newsletter.