TITOLO ORIGINALE: The Creator
USCITA ITALIA: 28 settembre 2023
USCITA USA: 29 settembre 2023
REGIA: Gareth Edwards
SCENEGGIATURA: Gareth Edwards, Chris Weitz
CON: John David Washington, Madeleine Yuna Voyles, Gemma Chan, Allison Janney, Ken Watanabe
GENERE: azione, fantascienza, thriller, drammatico
DURATA: 133 min
A sette anni da A Star Wars Story: Rogue One, Gareth Edwards torna sul grande schermo con un film che riporta la mente al suo interessantissimo esordio, Monsters. Purtroppo, a differenza di quella di quest'ultimo, la sceneggiatura di The Creator non si dimostra ugualmente ispirata e ricca di idee ed intuizioni, e la pellicola deve puntare tutto su un'allure ed una costruzione visiva ed estetica che non possono però colmare del tutto le mancanze di una scrittura poco ambiziosa.
Che fosse bravo a raccontare e dipingere mondi fantascientifici e post-apocalittici, il fu effettista Gareth Edwards lo aveva fatto notare già ai tempi del suo interessantissimo esordio al lungometraggio. Quello in cui aveva luogo il suo Monsters era infatti un mondo che univa saggiamente e in maniera armonica gli elementi tipici del fantastico e della fantascienza più classica e, va da sé, spielberghiana, con una ricercatezza ed un’attenzione per il dettaglio, un quadro geopolitico completo e verosimile, e discorsi e rappresentazioni che richiamavano un certo cinema di impegno socio-politico.
Un immersivo segno iperrealista (a partire dalla violenza grafica) che non per questo rinnega il piacere epidermico e il sapore inconfondibile della produzione di genere: è soprattutto questo ciò che fece la fortuna di quel debutto, il quale aprì poi al cineasta le porte dorate di Hollywood, che gli avrebbe poi affidato le regie di due progetti di primissima fascia, quali il remake di Godzilla e Rogue One: A Star Wars Story. Ma è anche l’aspetto che più di tutti ha avvicinato e reso il suo cinema quasi gemellare con quello del quasi coevo e coetaneo Neill Blomkamp. Laddove però, scelte, risultati o semplicemente il destino hanno fatto perdere un po’ la strada a quest’ultimo - portandolo per giunta su lidi e produzioni non proprio esaltanti come il recentissimo Gran Turismo -, il regista britannico, seppur dopo uno iato di sette anni, dimostra invece di essere rimasto fedele all’inebriante idea di fantascienza e di futuro degli inizi.
Lo ribadisce con The Creator, un’opera di cui - proprio come nel caso di Monsters, e a differenza delle commissioni ad esso successive - egli firma soggetto, sceneggiatura, regia e produzione, ambientata in un mondo in cui l’umanità ha affidato ai robot e all’intelligenza artificiale sempre maggior potere fino a quando questi, almeno pare, hanno sganciato un ordigno nucleare su Los Angeles. Da allora, umani e IA, o, in termini geopolitici, Stati Uniti e Nuova Asia (che ha dato asilo alle macchine, le sostiene e continua a produrne di nuove) entrano in guerra. Un conflitto che, al tempo diegetico presente, è giunta ad una fase di stallo: i robot sono infatti abbastanza audaci da riuscire ad impedire all’esercito americano di sbaragliarli, ma quest'ultimo si dimostra molto abile nell’infiltrarsi tra le loro linee e risponde per giunta al fuoco in maniera punitiva ed esponenziale con un’arma micidiale o, meglio, con una stazione orbitale che sgancia bombe dalla potenza indescrivibile, capaci di radere al suolo intere città.
È in questo contesto che si dipana e sviluppa la storia di Joshua (portato in scena da un John David Washington funzionale ed azzeccato nei panni di un personaggio che necessita proprio delle sue linee stoiche e melodrammatiche), un ex-agente delle forze speciali americane che, dopo aver perso la moglie, sarà riarruolato per dare la caccia a quello che le IA chiamano “Il Creatore”, l’umano che le ha programmate, il quale sembra star sviluppando un’arma sintetica (dalle fattezze di una bambina, Alfie, interpretata dalla giovanissima Madeleine Yuna Voyles che ricorda il piccolo Pu Yi de L'ultimo imperatore di Bertolucci) che potrebbe porre fine a questa guerra e garantire finalmente una convivenza pacifica tra i vecchi e nuovi abitanti della Terra. Tra due specie formalmente, biologicamente, apparentemente agli antipodi, eppure più simili di quanto si penserebbe.
È su questo concetto: sull’idea che le macchine, le IA possano provare sentimenti in maniera anche più intensa, dimostrare maggiore empatia, ed essere addirittura più umane degli stessi esseri umani; che Edwards fonda e costruisce tutto il racconto, il concept, oltre che il discorso ideologico di The Creator, ponendosi pertanto in diretta antitesi, controcorrente, in pieno anticonformismo rispetto a quello che è l’attuale e più diffuso pensiero, quasi l’ossessiva paranoia, di Hollywood - e in particolare, del gruppo, i creativi, di cui il cineasta fa parte - in riferimento al tema dell’intelligenza artificiale. D’altronde, è un’idea, quella dell’integrazione, della mediazione di due specie idealmente antagoniste, nemiche, in netto contrasto l’una rispetto all’altra, che aveva trovato spazio e fortuna, come già riassunto sopra, in Monsters, il quale concludeva il viaggio di due americani - portati a riconsiderare, ridefinire e vedere da estranei, stranieri e alieni quel che da tempo davano per certo, per scontato - con l’immagine di una mostruosità condivisa ed interspecie che trova una forma di liberazione e nobilitazione nel sentimento, nell’amore, nel rapporto con il mondo intimo dell’altro.
Un'idea, un'intuizione che, dal canto suo, The Creator non ripropone. Anzi, sembra più che altro reiterare per due ore quell’assunto di cui sopra, limitandone il potenziale, non sviluppandolo o portandolo ad alcun tipo di conseguenza, ma semplicemente accontentandosene. Ecco allora che, per dare sostanza e ragioni di memorabilità, e perseguire le virtualità e gli sbocchi di un soggetto intrigantissimo, viene in aiuto appunto un lavoro al solito immersivo, avvolgente e, per certi versi, straniante di world building, di estetiche, di atmosfere e di tinte narrative.
Edwards frammenta ed esplode il post-modernismo di generi alla base di Monsters e lo applica ad ogni singola cellula e piano di The Creator. Il cui mondo diventa quindi una sintesi dei grandi racconti di fantascienza visti sugli schermi da che si ha memoria (2001 - Odissea nello spazio, Blade Runner, ovviamente A.I., Ex Machina, Metropolis, Terminator, Westworld, Avatar e tantissimi altri), percepita ed assimilata tuttavia attraverso il dettagliato iperrealismo della regia edwardsiana - che non si lascia sfuggire davvero nulla, siano oggetti, architetture, veicoli o anatomie robotiche -, ed intrisa di una spiritualità e disseminata di iconologia biblica (il nome del protagonista, non a caso, è Joshua, Giosuè, condottiero del popolo ebriaco durante l’esodo e patriarca della Chiesa cattolica ed ortodossa) che dona al tutto un retrogusto arcaico e primordiale, anacronisticamente moderno. D'altra parte, il racconto, pur rifacendosi a dilemmi e assiomi tipici della fantascienza letteraria e poi cinematografica, è messo in scena servendosi un mélange di approcci e generi (dal war allo spy movie, fino ad arrivare al noir più torbido, fumoso, granuloso).
Eppure, la nota più elegante di The Creator sta nel lavoro - estetico, iconografico, di pasta e rievocazione fotografica - estremamente sofisticato con cui Edwards pensa e compone le sequenze di guerriglia e di operazioni militari (in cui predilige, ovviamente finché possibile, un’azione analogica e pratica). Egli trasfigura infatti questa Terra del futuro, del 2070 e, nello specifico, questa Nuova Asia vertiginosamente dissimile dagli Stati Uniti, attraverso l’immaginario e le immagini - di archivio e di cinema - della guerra del Vietnam, ovvero la madre di tutti i conflitti di aggressione post-coloniale; e seguendo pedissequamente le orme dell’imprescindibile Apocalypse Now di Francis Ford Coppola nella scansione di un viaggio epico ed insieme intimo nel Cuore di tenebra. Di questo, il montaggio di Hank Corwin, Scott Morris e Joe Walker amplifica poi a dismisura il disorientamento e la cifra inquietante, accordandosi sui turbamenti del personaggio di Joshua e spesso tentando letteralmente di ricrearne il flusso di coscienza e i procedimenti mentali. Un montaggio, che è d'altronde la parte emersa di un impianto tecnico ineccepibile, silenzioso nei modi in cui si fonde per costruire un fondo che appare quanto di più naturale e credibile, ed assolutamente virtuoso, se non proprio esemplare per la gestione meticolosa e il controllo accorto del budget (di soli 80 milioni di dollari!).
Allo stesso tempo, resta però il fatto che questa costruzione e questa allure visiva decisamente vistose, suggestive, affascinanti avrebbero meritato una sceneggiatura parimenti lungimirante ed ambiziosa. Come accennato qualche riga sopra, sono infatti il lavoro di scrittura dello stesso Edwards e di Chris Weitz, il suo adagiarsi su risvolti fin troppo facili, la mancanza di sviluppi della tematica, e la sommarietà nello sciogliere qualche nodo e nel risolvere un paio di situazioni, l’irriducibile buco di programmazione di un’operazione che aveva tutti gli ingredienti per osare, puntare verso grandi altezze ed ampi orizzonti, e porsi senza tentennamento alcuno come opera imprescindibile della fantascienza contemporanea. Insomma, un organismo sintetico teoricamente impeccabile, ma fallibile come tutti.
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