TITOLO ORIGINALE: Felicità
USCITA ITALIA: 21 settembre 2023
REGIA: Micaela Ramazzotti
SCENEGGIATURA: Isabella Cecchi, Alessandra Guidi, Micaela Ramazzotti
CON: Micaela Ramazzotti, Matteo Olivetti, Max Tortora, Anna Galiena, Sergio Rubini
GENERE: drammatico
DURATA: 104 min
Premio Spettatori della sezione Orizzonti alla 80ª edizione del Festival di Venezia
Una delle attrici più celebri e riconoscibili del cinema italiano recente, Micaela Ramazzotti, fa il suo esordio dietro la macchina da presa con un dramma che segue le vicende di una famiglia storta e disfunzionale, rappresentativa di un'Italia esaurita, priva di un’identità e di una direzione ben precise, preda delle proprie convinzioni, di populismi e demagogie, di un egocentrismo diffuso. Felicità è un film angolare per la carriera dell'attrice e per la sua immagine divistica. Una vera e propria (ri)nascita.
Ricorda molto da vicino Settembre, l’esordio alla regia della sceneggiatrice e attrice Giulia Steigerwalt, Felicità, a sua volta debutto dietro la macchina da presa di uno dei volti e dei nomi attoriali più importanti, celebri e riconoscibili del panorama italiano recente, Micaela Ramazzotti.
Lo ricorda - quella brillante rivelazione di scrittura e direzione, giustamente premiata con due David di Donatello - nel racconto credibile, realistico, genuino di una famiglia, i Mazzoni, e di un conflitto intergenerazionale (tra baby boomers e millennials) che svelerà modi diversi d’intendere le cose, la vita, i valori principali, le relazioni, la politica, andando così a comporre l’immagine, la rappresentazione di un’Italia disfunzionale, deformata, “storta”, sghemba, esaurita, sbiadita come racconta la fotografia di Luca Bigazzi, priva di un’identità e di una direzione ben precise, senza grandi orizzonti. Un paese ormai preda delle proprie convinzioni, di approfittatori e truffatori, di populismi e demagogie tanto ridicole e grottesche, quanto deleterie e pericolose, e ancora, di un egocentrismo e di un individualismo che si rifugiano sempre e comunque nella superiorità ed inferiorità intellettuale (e sessuale), mai nella verità del proprio cuore e dei propri sentimenti. Un paese che solo chi non ha la cosiddetta giusta chiarezza e lucidità mentale può scorgere e comprendere realmente. In cui soltanto chi viene additato nei modi peggiori, con sprezzo ed indifferenza, da chi fieramente si proclama “sano”, potrà tentare la via della felicità.
Una felicità semplice, fatta di piccole cose, di cose magari banali, ma anche l’unica veramente possibile, quella che cercheranno e forse troveranno fratello e sorella Mazzoni, entrambi molto fragili, affetti da evidenti forme di malessere e disagio mentale, vittime inconsapevoli e condiscendenti del qualunquismo, dell'inettitudine, dell’inadeguatezza dei propri genitori - lui uno showman fallito, che bazzica ormai solo i palinsesti di pidocchiosi canali provinciali, le feste e fiere di paese e le case di riposo, costretto a vendersi ed umiliarsi per continuare ad inseguire un sogno di plastica; lei una parrucchiera che ha rinunciato al suo lavoro di parrucchiera per inseguire le fantasie del compagno - e della vita che questi non sono mai riusciti ad ottenere e che pertanto hanno pensato e programmato per loro più per tornaconto personale, per vanto, per un vincolo morale, che per altro.
È infatti anche per la scrittura - a firma trina e femminile di Isabella Cecchi, Alessandra Guidi e della stessa Ramazzotti - precisa e naturale dei personaggi e della loro psicologia e in quella sintomatica di scambi, dialoghi e dinamiche interpersonali, ché Felicità ricorda il fulgido tentativo di Steigerwalt, e per cui farà senz’altro risuonare il vissuto di molti spettatori. Ciò nondimeno, quel che maggiormente convince della pellicola di Micaela Ramazzotti è il modo in cui scongiura ed evita quasi tutti i passi falsi intrinseci e connaturati ad un’opera prima.
Difatti, ogni volta che qualcuno abituato a stare di fronte agli occhi del cinema decide di mettersene dietro, il dubbio e anche il rischio è che non riesca bene a rifuggire la luce dei riflettori, e a comprendere la differenza di approccio e meccanismi che regolano quest’altra parte e anima di un lavoro alfine collettivo. Diversamente da tutte le aspettative, invece, l’attrice fa coincidere questo momento angolare della propria carriera con una ridefinizione positiva ed elegante della propria immagine divistica e del pregiudizio ad essa annesso e connesso, facendo della fragilità che ha sempre contraddistinto i suoi ruoli non più un veicolo pietistico e patetico, ma un motivo di forza, la spinta necessaria per un cambio di passo e di intensità nelle storie che abiterà e delle storie che dirigerà.
Inoltre, ella non si pone quasi mai del tutto al centro delle vicende dei Mazzoni, anzi lascia spazio anche ai colleghi che dirige (un Max Tortora insieme sordiano e berlusconiano, una Anna Galiena forse meno sofisticata ma comunque efficace, un credibilissimo Matteo Olivetti ed un Sergio Rubini molto sofisticato ed ambiguo) di donare un apporto significativo al prodotto finito, concedendo pure ai personaggi più riprovevoli (come quelli del padre e della madre) un momento in cui far trasparire e scorgere l’intero spettro della propria umanità, dolente e dolorosa, ricca di indefinibile vitalità, sfuggente pur essendo facilissimo per chi guarda immedesimarvisi e penetrarvi.
Qualcosa di più del classico, asfittico e ridondante drammone all’italiana a milieu medio-borghese, Felicità è la (ri)nascita di una star.
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