TITOLO ORIGINALE: Titina
USCITA ITALIA: 14 settembre 2023
REGIA: Kajsa Næss
SCENEGGIATURA: Kajsa Næss, Per Schreiner
CON LE VOCI DI: Jan Gunnar Røise, Kåre Conradi, Anne Marit Jacobsen, John Brungot
GENERE: animazione, avventura, storico
DURATA: 91 min
Presentato all'Animation is Film Festival di Los Angeles
Al suo esordio al lungometraggio, la regista Kajsa Næss firma un'avventura d'animazione sulla spedizione italo-norvegese del 1926 alla volta del Polo Nord, raccontata attraverso gli occhi della cagnolina di uno dei due esploratori, di nome Titina. Malgrado tutte le intuizioni che avrebbero potuto farne qualcosa di più di uno svogliato prodotto per piccolissimi, la pellicola si lascia trasportare fin troppo da un mero interesse cronachistico e tiene troppo a freno la sua vena più fantasiosa e creativa.
È chiaro fin dalle primissime immagini e sequenze quale sia la principale, o forse proprio l’unica fascia di pubblico a cui si rivolge Titina. Ma non è certo l’attenzione ad un target perlopiù infantile il motivo di difficoltà di cui risente questa avventura d’animazione, co-prodotta da Norvegia e Belgio e diretta da Kajsa Næss, che qui esordisce alla regia di un lungometraggio dopo 25 anni di corti, alcuni anche molto innovativi. Quanto piuttosto la sfida e lo sforzo creativo e produttivo con cui tutto il team si è dovuto misurare. Un’impresa non meno ambiziosa ed ardua di quella raccontata nel film.
Al centro di Titina, vi è infatti la storia della spedizione che, nel 1926, intrapresero l'ingegnere aeronautico italiano Umberto Nobile e il famoso esploratore norvegese Roald Amundsen alla volta del Polo Nord, a bordo del dirigibile Norge. Tra i membri dell’equipaggio, vi era anche Titina, la cagnolina jack russell terrier dello stesso Nobile, la quale funge qui da sguardo d’elezione, delicato, puro ed innocente, sulle vicende narrate.
Se allora ad un giovanissimo spettatore non facciano chissà quanta differenza i modi e la tecnica con cui si racconta una storia, ciò non toglie che l'indirizzarsi ad un pubblico poco esigente giustifichi le evidenti lacune e i problemi che hanno accompagnato ed accompagnano la scelta e la messa in scena, da parte di Næss & co., di un racconto che, trattando appunto di una missione artica, prevede una certa varietà di ambienti e modelli, nonché una missione già di per sé abbastanza ostica come quella di una resa efficace del sense of wonder, del senso di avventura.
Malauguratamente, le incertezze sorgono fin design dei personaggi, che pare riciclato da tanta produzione franco-belga, e dall'animazione, che, specie nei primissimi movimenti, si mostra legnosa, instabile, stentata, talora pure spiacevole all’occhio, spesso sostituita da filmati di repertorio il cui fine (ammesso della stessa regista) di ammortizzamento costi è sin troppo evidente. Tuttavia, a colpire e ad annientare definitivamente le possibilità affabulatorie dell’opera e del suo intreccio, sono la desolazione e l’opacità di alcuni colpi d’occhio e vedute totali - in particolare, per tutto ciò che riguarda le porzioni ambientate in Italia - e la generale inerzia e l’andamento sonnacchioso con cui si affronta la narrazione di una storia di cui non si percepisce il fascino, il respiro, l’anima, l’atmosfera nostalgica e trasognata al di là degli ingenerosi riferimenti a film ben più compiuti e maturi come Porco Rosso, Ernest & Celestine, o, sul fronte live action, Le vacanze di Monsieur Hulot e La mia vita a quattro zampe.
Vitreo e inespressivo è l’itinerario di viaggio di Titina e parimenti è il punto di vista della cagnolina su ciò che si dipana di fronte ai suoi (e ai nostri) occhi. E non basta il parallelismo e il discorso attuale in difesa dei ghiacciai e dell’ambiente contro le trivellazioni artiche (un’intenzione di base che, per quanto nobile, non fuoriesce in alcun modo dal racconto, ma anzi bisogna attendere lo scorrere dei primi titoli di coda), per riabilitare il tentativo di Kajsa Næss e della sua squadra, che, a differenza di come si mostra e di quel che abbiamo scritto in apertura, qualcosa per un pubblico adulto lo aveva e lo ha in serbo.
Parliamo della satira e dell’approccio caricaturale e dissacrante nei confronti di un Mussolini infantile e tronfio, simile a quello del Pinocchio deltoriano, del fascismo e del suo côté di potenti e funzionari; di un ritratto e di una riflessione sull’arroganza, l’orgoglio e l’ipocrisia umana, che, a volte, porta ad adulare, allearsi e chiedere aiuto a chi prima si disprezzava, ed infine del discorso su una mascolinità tossica (e patriottica) imperante ed inestirpabile che si fa largo nell’incontro/scontro tra ingegnere ed esploratore, a dispetto del loro appartenere a due secoli (il Novecento il primo, l’Ottocento il secondo) e a due concezioni diverse di viaggio e scoperta.
Tutte intuizioni che purtroppo la sceneggiatura scritta dalla stessa regista insieme a Per Schreiner mantiene in superficie, facendosi trasportare da un mero interesse cronachistico e tenendo troppo a freno la sua vena più fantasiosa e creativa.
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