TITOLO ORIGINALE: Kobieta z...
USCITA ITALIA: n.d.
REGIA: Richard Linklater
SCENEGGIATURA: Richard Linklater, Glen Powell
CON: Glen Powell, Adria Arjona, Austin Amelio, Retta
GENERE: azione, thriller
DURATA: 113 min
Fuori concorso alla 80ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia
Richard Linklater continua a navigare con amore, gioia e sapienza le acque del genere e le possibilità di un cinema camaleontico ed imprendibile in Hit Man, un film che parte come parodia e si trasforma ben presto in qualcosa di più. In un palcoscenico perfetto per rilevare il talento di Glen Powell. In uno scrigno di sano divertimento e genialità sconfinata.
Fin dalle prime immagini, Hit Man di Richard Linklater ha tutta l’aria (e la sostanza!) di essere più di ciò che sembra. Di essere ben più di una commedia dai risvolti e dalle influenze noir - liberamente ispirata alla straordinaria storia vera di Gary Johnson (raccontata dal giornalista Skip Hollandsworth in un articolo sul Texas Monthly) - che segue le orme di un uomo che nasce come sprecato professore di filosofia dell’università di New Orleans, ma che, viste le sue doti in elettronica ed informatica, per sbarcare il lunario, collabora con la polizia come tecnico in bizzarre operazioni speciali; la cui esistenza cambia totalmente, e in modo assurdo, quando si ritrova a dover interpretare la parte di un sicario e, sempre in questi stessi panni, trova forse l’amore della sua vita.
L’elemento trasformista alla base di Hit Man, così come dell’imprevisto talento del nostro Gary nel mimetizzarsi e cambiare letteralmente pelle, travestimento, personalità, voce, accento, in base al cliente che si trova di fronte; sembra infatti riferirsi - e neanche troppo subliminalmente - al carattere camaleontico ed indefinibile della filmografia linklateriana (popolata di indimenticabili gemme come La vita è un sogno, School of Rock, la trilogia dei Before e l’irripetuto ed irripetibile Boyhood), che si è sempre mossa con agilità, perspicacia, bravura, ed uno spiccato senso dell’intrattenimento tra generi, estetiche ed idee di cinema tanto contrastanti da essere quasi larger-than-life, come si suol dire.
Tuttavia, se l’eventualità di una crisi di identità non si è mai paventata nel caso del cineasta di Houston, si materializza invece in quello del protagonista di Hit Man, il quale, ad un certo punto, si sentirà talmente a suo agio, quasi assuefatto, nei virili e fantasiosi panni di una delle sue identità da sicario (Ron) da infiltrarsi e cadere con tutte le scarpe in una relazione matrimoniale in cui l’omicidio potrebbe essere un’opzione. E da cui, a dispetto dell’esortazione che fa ai suoi studenti, citando Nietzsche, potrebbe non uscire vivo (d’altronde, guida una Honda Civic!). Sarà quindi chiamato a scegliere chi essere, chi diventare, quale identità, quale migliore versione di sé assumere ed introiettare definitivamente.
Qualora ve lo steste chiedendo, sì, Hit Man è anche una parabola squisitamente e profondamente radicata nella contemporaneità, nel suo dedalo di apparenze, specchi, finzioni ed (auto)costruzioni (sulla base in primis dell’immaginario cinematografico), nella frammentazione quotidiana dell’io o, per dirla col film (che a sua volta cita Jung), nella nostra incapacità di trovare davvero un io, un ego, risultante appunto dall’incrocio e dall’equilibrio tra es e super-io, tra logica ed istinto, tra lecito ed illecito. In questo caos, in questa discontinuità, in questa ossessiva rifrazione dell’immagine che, ogni giorno, proponiamo di noi agli altri - ergo della nostra immagine più stereotipata - sta la cifra specifica della pellicola di Linklater. Che, questa cosa, la pone in senso filmico, ammettendo la propria vena metatestuale (ribadita ulteriormente dalla missione di credibilità ed interpretazione di Gary Johnson), e giocando, per tutta la sua prima metà, con le icone e l’iconografia del genere action, dal più bizzarro Austin Powers al più noto Tom Cruise col capello lungo liscio di Mission: Impossible II, Vanilla Sky, Innocenti bugie; per poi ribaltare di nuovo tutto negli ultimi momenti.
L’invidiabile ed eccezionale grandezza di Hit Man e del lavoro di regia e sceneggiatura (davvero a prova di scasso o, come dicono gli angloamericani, flawless) di Linklater sta però soprattutto nell’illusoria semplicità con cui riesce a tenere insieme tutte queste sublimazioni del racconto, riuscendo miracolosamente a sfruttare al meglio tutti gli elementi a propria disposizione - tra cui quelli del registro comico - per dare forma e vita alla versione più generosa, elevata, pura e preziosa di popcorn movie, di cinema d’intrattenimento. Un cinema che - ce lo dimostra la storia di Gary - può ambire in alto soltanto se supportato da un copione solido, e che, dopo questa nostra visione, ci sentiamo di definire arricchito dalla presenza e da una personalità come Glen Powell (Top Gun: Maverick), qui impegnato in uno di quei ruoli capaci di svoltare e ridefinire una carriera. Linklater, dal canto suo, gli offre il giusto palcoscenico su cui risplendere, ma Powell (pure co-autore della sceneggiatura) ciò nondimeno si imbarca in un’impresa davvero pazzesca, ben supportato da una sensualissima Adria Arjona.
Se lo vedrete in sala, sarà probabilmente una delle migliori esperienze della vostra vita, ma anche sprovvisti del grande schermo Hit Man avrà sempre qualche cartuccia da sparare: la sua illimitata immaginazione, la sua disarmante genialità, la sua imprendibile strategia, il suo ritmo travolgente da screwball comedy, il suo cuore e il suo battito sempre nei posti giusti, una delle migliori sequenze di depistaggio di tutta la storia del cinema.
Magari è vero che “tutte le torte sono buone”, ma quelle cucinate, con amore, gioia e sapienza, da Linklater lo sono un po’ di più.
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