TITOLO ORIGINALE: Enea
USCITA ITALIA: 2023
REGIA: Pietro Castellitto
SCENEGGIATURA: Pietro Castellitto
CON: Pietro Castellitto, Benedetta Porcaroli, Sergio Castellitto, Giorgio Quarzo Guarascio, Matteo Branciamore
GENERE: drammatico, commedia, noir
DURATA: 117 minuti
In concorso alla 80ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia
Dopo il promettente esordio con I predatori, Pietro Castellitto firma Enea, un'altra disamina idealmente beffarda, pungente, cruda, un’altra analisi dal piglio comico-satirico della giungla umana medio-borghese, del tessuto sociale, culturale e politico dell’Italia di oggi. La pellicola finisce però ben presto preda delle sue ambizioni e si rivela meno efficace, crudele, pungente di quella che l'ha preceduta. Ciò nonostante, va dato credito a Castellitto di essere forse tra i pochi, nuovi registi italiani a sapere realmente utilizzare le immagini per esprimere e sintetizzare efficacemente concetti ed idee idealmente complesse.
“È nata una star?” Così, con questa domanda, chiudevamo la recensione de I predatori, esordio cinematografico di Pietro Castellitto, vincitore del concorso di Orizzonti per la migliore sceneggiatura alla 77ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Solo il futuro - scrivevamo - potrà dirlo, sperando “non faccia più paura della morte”. Ebbene, quel futuro è finalmente arrivato, alla 80ª edizione del festival veneziano, dove Enea, l’opera seconda della nostra papabile “star” (prodotta, tra gli altri, anche da Luca Guadagnino), è finito addirittura nel parco titoli del concorso ufficiale. L’interrogativo, allora, si ripresenta puntuale. È nato davvero un autore?
Per certi versi, sì, questo nuovo film è una conferma di tutte le buone impressioni di quel debutto. Per altri - e ci duole dirlo - no, ci troviamo di fronte ad un prodotto decisamente meno riuscito rispetto al suo predecessore. Ma una cosa è certa: con Enea, Pietro Castellitto definisce ulteriormente e riconferma quale siano il suo principale interesse, il soggetto o i soggetti che preferisce osservare, il genere che percorre con più facilità e felicità (si fa per dire) artistica, la sua cifra poetica. E, soprattutto, a chi, fra i grandi del cinema nostrano, si ispiri maggiormente.
Il giovane regista rifà dunque lo stesso film: un'altra disamina idealmente beffarda, pungente, cruda, un’ulteriore analisi dal piglio comico-satirico della giungla umana medio-borghese, del tessuto sociale, culturale e politico dell’Italia di oggi, con un occhio di riguardo sugli scambi, i rapporti tra i personaggi e ancora sui contrasti e le differenze tra “i primi giovani stronzi della storia” - quelli del post ‘68, i genitori - e i giovani d’oggi.
Questa volta, però, si trasformano e crescono - logicamente - l’ambizione nella messa in scena, la consapevolezza del mezzo cinematografico, la dimestichezza comica nell’uso degli strumenti a propria disposizione. Ne è prova inequivocabile la fotografia magniloquente ed inedita (quantomeno per quel che riguarda il contesto italiano) del polacco Radek “Babadook” Ładczuk che ricorda da vicino - specie nell’uso dei piani, di lenti grandangolari, dei tagli di luce - i lavori di Darius Khondji.
Ciò nondimeno, a cambiare è anche la conformazione del racconto, sempre scritto da Castellitto, il quale mantiene sì la coralità de I predatori, virando tuttavia, fin dal titolo, verso un protagonismo sempre più deciso e decisivo di (e del personaggio interpretato da) Pietro Castellitto. Che, proprio grazie a questo film, dichiara la sua forte parentela con (il cinema di) Nanni Moretti, inteso nell’assoluta identificazione sua e del suo iconico Michele Apicella con un discorso, con una visione. Lo stesso discorso e la stessa visione. Si pensi al dettaglio degli auricolari per notare, in Enea, un processo di creazione di una maschera comica ben definita e precisa.
Allo stesso tempo, però, sarebbe ingiusto e scorretto non accorgersi di quanto - anche a causa di suddetto e radicale mutamento di equilibrio - questo secondo lungometraggio non riesca sempre a far combaciare ambizioni ed effettiva riuscita, e che anzi sia molto meno compatto, potente, preciso, memorabile, in particolare dal punto di vista della scrittura. La maggior parte delle volte ci si abbandona invero a formalismi superflui e pretenziosi, movimenti di macchina dalla funzione ed utilità incomprensibile, e ad un’enigmaticità che, a differenza dell'esordio, si converte più facilmente in disordine ed indecisione. Inoltre, fatta eccezione per quello, a dir poco adorabile ed interessantissimo, di Giorgio Quarzo Guarascio, viene meno anche la complessità degli stessi personaggi, pur interpretati con nerbo e fascino da un cast ottimo, composto da un sempre ipnotico Pietro Castellitto, un’incantevole Benedetta Porcaroli, un imprevisto Adamo Dionisi, un ritrovato ed indiavolato Matteo Branciamore, ed un tenerissimo Sergio Castellitto.
Tutto questo va ad inficiare irrimediabilmente l’efficacia della pellicola e dei suoi intenti profanatori, dissacranti, anticonformisti. La crudeltà e la scomodità de I predatori non trovano seguito in Enea, soffocate e sostituite da una sentenziosità a mò di Grande Bruttezza, e da una sgraziata indulgenza autocelebrativa, suffragata anche dalla presenza nel cast del clan Castellitto (non solo il padre Sergio, ma anche dal fratello minore Cesare), con tanto di stucchevole montaggio di alcune foto di famiglia.
Al di là di tutte le piccole e grandi cadute che ne fanno una parziale delusione delle speranze espresse da quella domanda, va dato credito a Pietro Castellitto di essere forse tra i pochi, giovani registi italiani a sapere realmente utilizzare le immagini per esprimere e sintetizzare efficacemente qualcosa che il copione spende viceversa dialoghi su dialoghi per esporre. A fare della recitazione qualcosa di più di un mero dispositivo narrativo o discorsivo. A disorientare attraverso un lavoro ed un gioco meticolosi di disinnesco, decostruzione e deflagrazione del linguaggio cinematografico e delle sue zone di comfort.
Fosse stato condotto non facendosi prendere da evidenti complessi e stress da prestazione, magari con un po’ più di intelligenza, di sinergia e sincronia, Enea avrebbe potuto essere un'opera di svolta, oltre che una commedia sofisticatissima. Così è soltanto un film ispirato ma non del tutto compiuto, con ottimi momenti di riso, tempi sommariamente azzeccati, buone interpretazioni ed un finale memorabile, sospeso tra lirismo magico e malinconico ed un urlo deprimente, soffocante, ma quasi impercettibile. Un passaggio di testimone lieto e fraterno. Il passaggio di una maledizione, giovanile e tutta italiana a cui bisogna resistere per non finirne preda(tori).
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