TITOLO ORIGINALE: The Promised Land
USCITA ITALIA: 5 ottobre 2023
REGIA: Nikolaj Arcel
SCENEGGIATURA: Nikolaj Arcel, Anders Thomas Jensen
CON: Mads Mikkelsen, Amanda Collin, Gustav Lindh, Magnus Krepper, Kristine Kujath Thorp
GENERE: biografico
DURATA: 127 min
In concorso alla 80ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia
Mads Mikkelsen interpreta un veterano di guerra di umili origini nella Danimarca del XVIII secolo, che tenta l’impresa (a detta di tutti) impossibile di coltivare un pezzo di brughiera. In questo suo sforzo, si scontrerà con le mire e i capricci di un signorotto locale, che gli scatenerà addosso il caos. Pur apparendo come un pastiche interessante tra period drama e western, Bastarden di Nikolaj Arcel è (solo!) cinema puramente intrattenitivo che sacrifica ciononostante il piacere e il mestiere della narrazione sull’altare di un arido e sbiadito rilancio autoriale.
Se c’è una cosa che Bastarden di Nikolaj Arcel (lo conoscerete per La torre nera) fa di sofisticato e davvero cinematografico è il modo in cui Rasmus Videbæk fotografa la brughiera inospitale, impervia, secondo il pensiero comune impossibile da coltivare, di cui si impossessa Ludvig Kahlen, il protagonista del film, un ex capitano dell’esercito danese di umili origini della Danimarca del XVIII secolo, interpretato da Mads Mikkelsen, per ricavarci qualcosa. Quello che vediamo, infatti, è tutto fuorché l’inferno arido di cui parla pure il cartello iniziale. Quanto piuttosto un paradiso terreste, idilliaco, suggestivo. Quasi un luogo dell’anima - quella dello stesso Kahlen - a cui si deve ritrovare un senso, uno scopo, che deve rifiorire, redimersi, andare oltre il pregiudizio (classista) dei potenti.
Uno scacco, quest’ultimo, grazie a cui lo spettatore riesce ad entrare in sintonia, se non proprio a comprendere la scelta apparentemente irragionevole e sconsiderata del militare e il suo impegno resiliente, determinato, pressoché martirico. Più generalmente, la fotografia è ciò che, di più memorabile, ha da offrire questo affresco storico tratto dal romanzo Kaptajnen og Ann Barbara scritto da Ida Jessen che inserisce, in un impianto narrativo classicissimo, tutta una serie di derive più moderne e contemporanee del genere storico.
E quindi: l’ibridazione del racconto con l’immaginario, gli argomenti e temi morali fondamentali, i codici estetici e la mitologia delle storie di frontiera, del genere western, una rappresentazione estremamente ridicola, caricata, ipersessuata, viziosa, infantilizzata, al limite della parodia, dei membri dell’aristocrazia (già incrociata dal regista danese in Royal Affair), per non parlare del maggior rilievo dato alle figure femminili, che diventano decisive per lo scioglimento dell’intreccio.
Eppure, nulla di questo promettente pastiche viene approfondito, assecondato ed ampliato in maniera adeguata da Arcel & co., che invece si accontentano di un affresco storico insieme intimo e di ampio respiro, a metà tra Ridley Scott, Terrence Malick e Michael Cimino. Di un film di pura e sola narrazione che, come nel caso di un altro collega veneziano (Comandante), si lascia viziare più del dovuto dalle interpretazioni e dal carisma di un Mads Mikkelsen che lavora e sfrutta tutte le sfumature del proprio talento per rendere al meglio l’odissea emotiva e le trasformazioni caratteriali di un eroe dalla scrittura, al contrario, fin troppo semplicistica e tentata dall’agiografia; e di un diabolico Simon Bennebjerg, eccezionale ed indovinatissimo per lo stereotipato villain che è chiamato a portare su schermo.
Forse però quel che impedisce a Bastarden di essere il period drama coinvolgente, emotivo e potente che avrebbe potuto e voluto, è la totale assenza di inventiva e giudizio nel condurre la storia di Kahlen e della sua impresa verso l’epilogo, oltre ad una durata fin troppo generosa. Tutta la seconda metà, infatti, è disseminata di sequenze superflue, situazioni ridondanti, dialoghi retorici ed enfatici, ed una ricerca del tutto risibile ed eccessiva di trovare la lacrima e la commozione. Altro grande intruso all’interno del concorso di questa 80ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia, quello di Nikolaj Arcel è un dimenticabile tentativo che sacrifica il piacere e il mestiere della narrazione sull’altare di un arido e sbiadito rilancio autoriale.
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