TITOLO ORIGINALE: Comandante
USCITA ITALIA: 1° novembre 2023
REGIA: Edoardo De Angelis
SCENEGGIATURA: Edoardo De Angelis, Sandro Veronesi
CON: Pierfrancesco Favino, Massimiliano Rossi, Johan Heldenbergh
GENERE: drammatico, guerra, storico
DURATA: 120 min
Film d'apertura, in concorso alla 80ª edizione del Festival del Cinema di Venezia
Pierfrancesco Favino è il Comandante di sommergibile Salvatore Todaro nel nuovo film di Edoardo De Angelis, una pellicola che prende il via da alcune intuizioni felici, ma che finisce per essere fin troppo concentrata su ciò che il divo ha da offrire e troppo poco su ciò che lei per prima dovrebbe prevedere, approfondire, argomentare.
Inizia con un inconfondibile rimando ad uno dei primissimi e più celebri segmenti di 8½ di Federico Fellini, Comandante di Edoardo De Angelis, film d’apertura della 80ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Tuttavia, a differenza di quello che accade al regista Guido Anselmi interpretato da Marcello Mastroianni, il capitano di sommergibile (realmente esistito) Salvatore Todaro non trova, in questo (seppur momentaneo) stato di sospensione a mezz'aria, una fuga, un rifugio, una lieta sopportazione di una realtà deprimente, un altro piano del proprio sé (artistico). Bensì incontra soltanto la forza e la crudeltà della forza di gravità e dell’impatto contro la superficie dell’acqua. Il suo non è un volo della mente, ma un volo del corpo (da un idrovolante in caduta libera) nel bel mezzo del mare.
Quel corpo che, a seguito di questo incidente, lo disgusterà (checché ne dica la moglie-sirena portata su schermo da Silvia D’Amico che invece, quelle ferite, le adora, in un’uscita quasi cronenberghiana) ed obbligherà, per il resto della sua vita, ad un busto ortopedico. E quel mare che, da quella caduta, diventerà la sua unica ed ultima vocazione. Un richiamo insopprimibile, romantico e romanzesco, nobile e glorioso, ascetico ed esoterico, ma anche crudele, imperdonabile, mortifero, come da sempre è nella tradizione e nel folclore marinaresco, partendo da Omero, passando per Coleridge, fino ad arrivare ad Hemingway. Quel mare (per lui, in quanto a marinaio, e per noi, in quanto uomini) primigenio in cui il nostro comandante si tufferà, con quello stesso corpo, per azionare, insieme ad altri, un ennesimo corpo. Solo di ferro e acciaio. Un capolavoro di tecnica ed ingegneria. Un corpo meccanico che, a forza di rispondere agli ordini di un’umanità costantemente belligerante [in questo caso, siamo ai tempi della seconda guerra mondiale, ndr], ignara a concetti come la pietà o il rispetto dell’altro, finirà per sostituirla. Per sostituirci.
È forse proprio questa, assieme al matrimonio esemplare tra corpo e mare appena descritto, l’intuizione più brillante della pellicola di De Angelis e della sceneggiatura scritta da lui insieme al romanziere premio Strega Sandro Veronesi (da cui è stato tratto anche un libro). Peccato solamente che i reali interessi di Comandante siano tutt’altri, si poggino per di più su basi ideologiche, e suppongano, senza però tenere concretamente in conto la complessità del contesto storico (quello dell’Italia nel 1940) che affronta, oltre che della figura che intende dipingere. Infatti, malgrado le parole dello stesso Favino, secondo cui quella di De Angelis è “un’opera che ci fa rivalutare l’importanza del ‘ma anche’”, che la realtà non è fatta soltanto di antinomie e di antitesi, ma anche di equilibri, di convivenze felici, di complessità, appunto; tutto questo non si riesce a ritrovare nella concretezza filmica e testuale, oppure nella scelta di casting - comprensibile ma, in fondo, limitante - di un eroe irriducibile, di un sempre vincente (in termini di mera percezione), di un eterno buono del nostro cinema, com’è e sempre sarà Pierfrancesco Favino. Ad esempio, non si trova, né tantomeno si approfondisce più di tanto la natura e il grado di aderenza di Salvatore Todaro e del suo pensiero all’ideologia e al governo fascista, di cui egli è stato, a tutti gli effetti, un’emanazione, una propaggine, un coscritto.
Al contrario, De Angelis adotta la più comoda soluzione dell’uguaglianza marittima, di un’equità viscerale, di una riduzione allo spurio stadio di uomini, come annuncia la frase in esergo per cui “in mare siamo tutti alla stessa distanza dal braccio di Dio e dal braccio di chi ci salva, chiunque esso sia”. Un discorso, quest’ultimo, che aiuta inoltre Comandante nell’addurre un parallelismo, mirabile ma isolato e, ancora, superficiale, su un tema quanto mai urgente come quello degli sbarchi, delle migrazioni via mare, e dell’etica, dell’obbligo, del diritto sovranazionale al salvataggio; e che permette allo stesso De Angelis, tramite la scelta, inconsueta, rischiosa e di fatto non costruita o giustificata narrativamente, di Todaro di salvare i naufraghi di un mercantile belgio avversario; di identificare e, in un certo senso, nobilitare gli italiani come popolo che “non abbandona gente in mare”. Desiderando, come non bastasse, di accendere, infiammare ed incitare un popolo - il nostro - che per natura e storia non è mai stato particolarmente patriottico.
Tutto ciò che non rientra nelle righe che avete letto sinora è cinema spettacolare rudimentale, quadratissimo e funzionale ma mai deciso e decisivo, con una tensione magari buona ed ispirata in qualche momento, spesso con eccessi retorici e didascalici che tradiscono un’ideologia senza patria e la deformazione letteraria di uno dei suoi due autori, ma che, in definitiva, non riesce a tenere testa alla proposta se non proprio d’oltreoceano, quantomeno d'oltralpe. Anzi, a dirla tutta, nella sua costruzione e concezione di film di genere, di mero submarine movie, il tentativo di De Angelis manca di due aspetti cruciali. Che sono - primo - la claustrofobia e l’angoscia dovute allo spazio angusto ed ostile a cui sono costretti i marinai, e - secondo - proprio gli stessi marinai, la loro presenza, la loro umanità, i loro istinti al di là della (iper)sessualità, anch’essa timidamente inclusa, nonché un'autentica nota e variazione. Com'è il loro essere di fatto la rappresentazione di una nazione giovane, febbrile, e non ancora, forse mai davvero unita. Sprecato risulta, a tal proposito, l'apporto e la devozione di Massimiliano Rossi e di tutto il cast di caratteri(sti).
Comandante è una pellicola ambiziosa. A certificarla e ad imporla, questa ambiziosità, è innanzitutto il suo budget (15 milioni di euro, kolossale per gli standard europei, speso prevalentemente nella ricostruzione in scala del sottomarino e in inserti in una computer grafica non sempre ottimale). Ma è anche e soprattutto un film che, come tanti altri prima di lui, si regge fin troppo sul mimetismo, sul carisma, su ciò che Pierfrancesco Favino ha da offrire, che, dal canto suo, tiene il timone come meglio più. Il timone, per sua sfortuna, di un vascello senza alcuna bandiera ed identità visibile, spinta verso latitudini impreviste e profondità irrisorie.
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