TITOLO ORIGINALE: Renfield
USCITA ITALIA: 25 maggio 2023
USCITA USA: 14 aprile 2023
REGIA: Chris McKay
SCENEGGIATURA: Ryan Ridley
CON: Nicholas Hoult, Nicolas Cage, Awkwafina, Ben Schwartz, Shohreh Aghdashloo
GENERE: commedia, fantastico, orrore
DURATA: 93 min
Dopo una lunga ed apprezzata incursione in un cinema sotterraneo, tipicamente cinefilo e di nicchia, Nicolas Cage torna alla ribalta e alla serie A con Renfield, l'horror-action-comedy di Chris McKay in cui interpreta e tenta di ridare vita al Bela Lugosi del cult movie anni '30 di Tod Browning. Inutile dire che il suo carisma, la sua generosità espressiva e la sua recitazione ancor più marcatamente espressionista vampirizzano il film.
Impossibile pensare a Renfield senza pensare a Nicolas Cage. Sarebbe come pensare a Dracula senza i canini aguzzi, il mantello nero come la notte ed un’insaziabile voglia di sangue. Per quanto il regista Chris McKay e soci ci provino, è inutile: il loro rimarrà sempre “quel film in cui Nicolas Cage fa Dracula, omaggiando il Bela Lugosi del cult movie anni ‘30 di Tod Browning” (più o meno così).
Come non bastasse, tanto per non farci mancare nulla, è solo ed esclusivamente alla presenza e al casting del fu divo, che è legata una delle sequenze forse più interessanti di tutta l’operazione. Una sequenza, in cui, dopo essere stato esposto alla luce del sole (mortale per i vampiri), un Signore del Male all’apice del suo potere cade in rovina e viene nutrito in maniera scadente. Una parabola simile a quella dello stesso Cage, che dopo aver conosciuto o, meglio, esser stato illuminato dal successo, è caduto fragorosamente in disgrazia e in ruoli scadenti che non ne hanno appagato la fame e le ampiamente attestate possibilità artistiche.
Capite allora quanti siano gli indizi che fanno apparire il tentativo di McKay & co. quasi soltanto come un mero veicolo, utile a ragionare sul più recente percorso imboccato dalla carriera dell’attore premio Oscar e rendere il più chiaro possibile lo spolvero e la prova di riammissione e ridefinizione - in un contesto senz’altro moderno - che, dopo Via da Las Vegas (esattamente il film che gli fece vincere quell’ambita statuetta), la sua recitazione ha intrapreso nei confronti di una maniera espressiva data, allora come oggi, per finita, ritenuta vecchia ed anacronistica. Quella stessa via espressionista, di cui Cage riprende uno dei massimi esponenti: proprio quel Bela Lugosi che, con la sua interpretazione affettata, enfatica, teatrale e plateale, ha contribuito a permettere all’iconismo del vampiro stokeriano di entrare prepotentemente nella storia del cinema e cristallizzarsi nell’immaginario di tutti noi.
Riassumendo queste righe: non c’è Dracula senza Bela Lugosi, non c’è (l’ultimo, ma pure il primo) Nicolas Cage senza Bela Lugosi (e magari anche Klaus Kinski), e potrebbe non esserci Renfield senza Nicolas Cage.
Esatto, Renfield. Perché è questo, malgrado tutto, il titolo scelto per quello che originariamente avrebbe dovuto essere un capitolo del Dark Universe (sui mostri classici) di casa Universal - quell’universo narrativo nato morto con (il flop del)La mummia di Alex Kurtzman con Tom Cruise protagonista.
Difatti, a dispetto di quello che si potrebbe pensare, il vero protagonista del soggetto di Robert Kirkman (già autore di The Walking Dead), della sceneggiatura di Ryan Ridley e del film di McKay è, per l’appunto, il qui più indispensabile servo del Conte, ergo Robert Montague Renfield, un’ex agente immobiliare (perlomeno nel canone ammesso dalla pellicola di Browning) che si reca in Transilvania per concludere quello che dovrebbe essere l’affare della vita, solo per scoprire che l’acquirente altri non è che un vampiro, un essere maligno, che di lì a poco lo ridurrà in schiavitù.
Non solo, il punto di tutta la questione è proprio il rapporto di sudditanza che lega ed incatena narrativamente padrone e lacchè. Rapporto, questo, che, in conformità con gli interessi e le regole del panorama cinematografico contemporaneo, viene reso e trasfigurato da McKay e compagnia nel racconto di una relazione tossica, di narcisisti patologici, di una co-dipendenza, finanche di un vero e proprio abuso mentale. Nella concretezza filmica, parliamo di un testo ambiguo in termini estetici, dall’ottica e dal piglio sempre divertiti, ironici e parodici, conteso tra la commedia romantica (in duplice veste, sia tra Dracula e Renfield, che tra quest’ultimo ed una coraggiosa poliziotta), l’horror più truculento, il poliziesco, e l’action movie supereroistico con tutte le variazioni ed ibridazioni di sorta.
Più banalmente, di un B-movie. Ma attenzione: di un B-movie vecchia maniera solo per quel che riguarda le assurdamente geniali premesse narrative (l’idea di inserire il Dracula del 1931, proprio lui, con tanto di rifacimenti di segmenti originali, omaggi e citazioni, in un contesto in tutto e per tutto contemporaneo e di derivazione gangster), passato sotto il rullo ed inserito in uno schema e in una confezione da film di serie A, da blockbuster prodotto da una grande major come Universal.
È un po’ lo stesso discorso di Cocainorso (non a caso prodotto anch’esso dalla grande U), una pellicola, che dietro la facciata e la maniera da B-movie, rispondeva ad esigenze da film per tutti e per il grande pubblico. In entrambi i casi, della vera tradizione cult, trash o, addirittura, exploitation, rimane insomma soltanto una posa. Ne risulta, come in Cocainorso, un film svigorito, diafano ed anemico già a cinque minuti dai titoli di testa; uno che mostra ben presto il fiato corto, la pochissima ispirazione e la pavida genialità delle sue trovate, così come dalla composizione delle sequenze action.
Ciò nondimeno, a differenza della stoner-horror-comedy di Elizabeth Banks, la quale finiva per condire il tutto con un’arroganza ed una saccenza fastidiosissime; la pellicola di McKay riesce a conservare un po’ di umanità e sincerità, ed osservare e mettere in scena la propria storia e la propria, rudimentale e spuria concezione di serie B, quando non Z, con un'adeguata dose di coinvolgimento ed interesse.
Eppure, queste poche righe avrebbero avuto tutt’altro tono se, a benedire davvero Renfield, non ci fosse stato un casting tanto giusto.
Oltre ad un istrionico, imprescindibile e sempre generoso Nicolas Cage - che può e deve andare sopra ogni riga al fine di distanziare e rendere ancor più sovrumano ed alterigio il proprio personaggio -, stiamo parlando di un Nicholas Hoult assolutamente adorabile, che ce la mette tutta per convincerci nuovamente dell'immagine di bello & fragile (più che dannato) che avevamo già intravisto ed apprezzato nello shakespeariano Warm Bodies; ed un Awkwafina che, pur non regalando qui la prova della sua carriera, riesce sempre a lasciare il segno, che sia con una particolare espressione facciale o il tempo di una battuta.
Sono loro a comporre il trio che permette all’opera di non tornare nella sua bara prima dell’alba. Sono loro, insieme forse soltanto all’ottimo design delle scenografie e degli oggetti di scena, o ancora al reparto trucco, a fare di Renfield non certo un’imperdibile trip cinematografico, ma quantomeno un’incursione (e resurrezione) degna di nota nell’immarcescibile mito stokeriano.
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