TITOLO ORIGINALE: Dungeons & Dragons: Honor Among Thieves
USCITA ITALIA: 29 marzo 2023
USCITA USA: 31 marzo 2023
REGIA: Jonathan Goldstein, John Francis Daley
SCENEGGIATURA: Jonathan Goldstein, John Francis Daley, Michael Gilio
GENERE: fantastico, commedia, azione, avventura
DURATA: 134 min
Memori della disfatta del 2000 e dell'attuale stato di saturazione del genere fantasy, il duo di registi Jonathan Goldstein e John Francis Daley riporta sul grande schermo - dopo la rivitalizzazione di Stranger Things - il brand anni '70 di Dungeons & Dragons. Lo spirito avventuroso incondizionato, un'ottima orchestrazione action, un casting formidabile, un decotto fantasy che racchiude tutte le possibili espressioni e deformazioni del filone dagli anni '80 ad oggi, una comicità esasperata con perle di assoluta genialità ed un sottotesto estremamente interessanti sono ciò che fa de L'onore dei ladri un perfetto film per famiglie, un giocattolone logorroico, nonché il versatile, ampio e promettente inizio di un franchise che, "rubando" ai migliori (la Marvel), potrebbe davvero imporsi nell'immaginario collettivo e nel panorama cinematografico mondiale.
Fare oggi un fantasy classico, tradizionale e (inevitabilmente) tradizionalista è forse una delle imprese più ardue ed ostiche in cui si possa scegliere di avventurarsi. Questo perché del fantasy puro - ovvero quello con il viaggio dell’eroe, le città medievaleggianti e le praterie sconfinate, le distese laviche e i castelli arroccati sulle alture, gli oggetti magici, le razze e le classi, gli aiutanti e gli stregoni malvagi, le creature magiche, gli spiriti, gli incantesimi; privo dunque di tutte le combinazioni e le miscelazioni con altri territori, linguaggi ed elementi - si sono già esaurite le potenzialità e possibilità con un numero di opere ristretto alle dita di una, forse due mani.
Senza contare gli scritti archetipici (come la Canzone dei Nibelunghi e i diversi Cicli bretoni e carolingi), cosa si può creare, dire e mostrare di altro, di nuovo, di diverso, del fantasy classico, dopo l’apice assoluto (di elevatissima letteratura e cinema) de Il signore degli anelli? Ben poco. E se ne può dire ancora meno se, nel mentre, il genere fantastico ha provato pure tutte quelle combinazioni di cui sopra, tutti i tradimenti, le sintesi e le alchimie possibili, tant’è che possiamo dire sia arrivato quasi ad una saturazione da cui non sembra esserci antidoto, né rimedio.
Ebbene erano questi il grande scoglio, l’insormontabile chimera, il temibile drago che infestavano il reboot di Dungeons & Dragons, proposto da Paramount e Hasbro a seguito della rivitalizzazione nostalgica del brand per merito di Stranger Things. L’altro grande tenzone consisteva invece nel non ripetere gli imbarazzanti esiti del precedente tentativo, coevo all’uscita de La compagnia dell’anello di Peter Jackson (ouch!), Dungeons & Dragons - Che il gioco abbia inizio, dove il confine tra la seriosità e l'allure di un fantasy serioso e cupissimo si scontravano con l’imbarazzo e la ridicolaggine di una computer grafica ben poco magica.
In questo senso, la via che intraprendono i registi incaricati del progetto, Jonathan Goldstein e John Francis Daley, e, ancor prima, gli autori del soggetto Chris McKay e Michael Gilio, è forse l’unica in grado di dar vita ad un risultato credibile, fresco e soddisfacente, ma al contempo è pure tra le più complesse da portare a termine senza farsi troppo male.
Che tipo di percorso sia lo si può intuire già dal curriculum degli appena citati. McKay è infatti tra i registi di Robot Chicken, nonché uno dei co-creatori di quella perla che è LEGO Batman, mentre la coppia Goldstein-Daley ha già firmato la sceneggiatura Come ammazzare il capo... e vivere felici, Piovono polpette 2, e Spider-Man: Homecoming, e ha diretto un altro film a soggetto ludico quale Game Night.
Qualora non l’aveste capito (da queste poche o dagli svariati materiali promozionali), Dungeons & Dragons - L’onore dei ladri riunisce, racconta ed osserva la mitopoiesi e il mito pop-culturale del celebre gioco di ruolo anni ‘70 - creato da Gary Gygax e Dave Arneson, simbolo per antonomasia del sottobosco (oggi campagna vasta e sconfinata) nerd - attraverso la lente della commedia, dell’ironia, del sano (auto)divertimento, e seguendo il modello blockbuster e mainstream che, oggi come oggi, funziona meglio, ossia quello del Marvel Cinematic Universe.
I riferimenti ci sono tutti e sono più che evidenti, così come i relativi difetti, mutuati, con lo scopo di dar vita ad un giocattolone logorroico, consapevolissimo delle sue risibili pretese, centrato sugli eroi, sul loro coefficiente comico, sulle loro indoli e sul loro essere amabili, ma soprattutto sulla loro sintonia e sincronia di squadra, superficiale nella scrittura del o dei villain (e in questo è marvelliano al 100%). Verrebbe da paragonarlo all’idea cinecomics di registi e autori del calibro di James Gunn o Taika Waititi, anche se Goldstein e Daley (impegnati anche dietro il tavolo della sceneggiatura) si accontentano di molto meno.
Difatti, la comicità messa in campo - per quanto sia disillusa, dissacrante, talora demenziale, e seppur arrivi come e quando deve - non è, per chi vi scrive, tanto raffinata come quella di un Gunn o, viceversa, così smodatamente, pericolosamente ed assolutamente demenziale come nel caso di Waititi. È piuttosto una via di mezzo tra le due scuole, maggiorenne e spesso esplicita, con sprazzi di genialità e sofisticatezza che paiono provenire dal copione di un film dei Monty Phyton (si pensi a tutto il segmento delle 5, arbitrarie, domande ai cadaveri di un campo di battaglia è la più oscura e scintillante reliquia che vi porterete a casa da questo film; davvero oro colato!), ma sempre e comunque riferita ad elementi semplici, effimeri, epidermici, e pertinente ai lidi del film per famiglie che vuole e (deo gratias) non si vergogna di essere.
I due registi prestano inoltre decisamente meno attenzione, a confronto di Gunn e Waititi, ad un’effettiva ed efficace comprensione, assimilazione, memorizzazione e resa atmosferica del mondo su cui aprono gli occhi dello spettatore ed ambientano la propria avventura. Vediamo e ci addentriamo infatti in moltissimi luoghi, scopriamo le peculiarità di innumerevoli esseri magici, ascoltiamo ed assistiamo a racconti appartenenti alla mitologia e al trapassato remoto di questa landa fiabesca, idilliaca, fantastica, ma altamente pericolosa, tuttavia l'istanza narrante non permette, né dà volutamente il tempo, né tantomeno sembra conferire poi così tanta importanza e rilievo a ciò su cui lei stessa spesso si dilunga e dilata.
Ed è forse questa l’esemplificazione massima del compromesso quasi miracoloso che riesce a raggiungere Dungeons & Dragons - L’onore dei ladri, il quale si pone a metà tra il film per i fan del brand e i giocatori della prima ora, e quindi un racconto effettivo ma fugace (al pari di un generoso easter egg) di tutto ciò che compone i luoghi che si visitano, la biografia dei personaggi che si incontrano, gli oggetti che si adoperano lungo tutto il viaggio, e (soprattutto) un prodotto comprensibile e gradevole per gli spettatori casuali e il pubblico di famiglie.
Laddove allora la natura produttiva, di soggetto e di intenzioni (anche rispetto alla nascita di un nuovo franchise multi- o trans-mediale, di un nuovo universo cinematografico) è frutto di una convenzione, di un compromesso appunto, non lo sono lo spirito e il sapore avventuroso che filtrano e trasudano nel racconto e nello sviluppo del viaggio o, meglio, della campagna, della quest, che malgrado la comicità esasperata riesce a ricavare anche un’emotività improvvisa ed inattesa. Ma non lo sono nemmeno l’insperata ed ottima messa in scena ed orchestrazione delle sequenze più prettamente action (arricchite, a loro volta, da coreografie altrettanto valide), e il distillato fantasy che informa la costruzione visivo-estetica della pellicola.Sì, perché, la sua forza e vera personalità, la pellicola di Goldstein e Daley la trova al crocevia del genere, nel compendio di tutte le possibili emanazioni, espressioni, forme e corpi che esso ha assunto nei decenni, finanche nei secoli. C’è quindi il fantasy altissimo, quello tradizionale, più autorevole, ergo Il signore degli anelli o Le Cronache di Narnia. Quello moderno de Il trono di spade o di The Witcher. Ma anche quello più ludico, giovanile e disinvolto come Warcraft e la saga di Harry Potter.
Ciò nondimeno, il grosso dell’operazione si sostanzia però nel recupero (filologicamente coerente e accorto) di quel fantasy anni '80 scanzonato, pruriginoso, che tradiva costantemente il proprio essere finzionale ed artificioso, dalle soluzioni (in particolare, quelle visive) un po’ posticce e toupet, con largo uso di animatronics (la cui rigidità e meccanicità è qui ripresa anche nella resa stessa dell’effetto digitale e computerizzato) e dei cosiddetti mascheroni. Quei film spesso approssimativi, con recrudescenze da B-movie e derive spesso trash per quanto riguarda la loro cifra propriamente fantastica; che richiedevano un po’ di astrazione e un contributo in termini di fantasia da parte dello spettatore, ma dall’atmosfera irreplicabile. Pellicole intramontabili, impeccabilmente (s)cult e retrò, come Labyrinth, Ladyhawke, La storia infinita, La storia fantastica, Willow…
L’altro grande elemento di personalità di Dungeons & Dragons - L’onore dei ladri è dato poi da un casting formidabile: un Chris Pine più espressivo e a suo agio di quanto ci si potrebbe aspettare, anche se forse un po’ troppo “vecchio” per essere il volto di riferimento di una possibile, nuova saga; Michelle Rodriguez in un ruolo che sembra nata per interpretare e dai risvolti inaspettati; un integerrimo Regé-Jean Page mai così divertito che impersona l’opposto logico e tonale, oltre che lo scampato errore del progetto di Goldstein e Daley; un adorabile Justice Smith; una Sophia Lillis dai lineamenti e fisicità fatti su misura per il personaggio che è chiamata ad interpretare; ed infine un Hugh Grant gigione ed infingardo il giusto, che sembra fuoriuscire da una commedia di Richard Curtis e regala all’operazione quella quota britannica che è, da sempre, connaturata e complice del fantasy.
È proprio questa cura riposta nella composizione di questo cast molto particolare e tutt’altro che scontato, uno dei motivi fondamentali e presupposti necessari dell’altrettanto incredibile e soddisfacente chimica tra questi stessi interpreti, capace da sola di risollevare le sorti di una caratterizzazione che, in conformità con le regole e la sostanza del gioco di ruolo originale - salvo qualche esilarante parentesi -, limita i personaggi e il loro arco ai loro pregi e difetti, alle loro tendenze, indoli ed attitudini, alla loro classe di appartenenza, alle proprie abilità e talenti.
Ciò detto, il tratto meno riconoscibile, ma più interessante e stimolante di Dungeons & Dragons - L’onore dei ladri è il lavoro - qui maggiormente sottile e subdolo rispetto ad altri lidi, di concerto con lo zeitgeist e gli interessi attuali della grande filiera hollywoodiana - che si compie sul processo di ribaltamento, anche ironico, dei ruoli e di rivoluzione dei generi (che dal fantastico parte per imporsi sempre più, o perlomeno si spera, nel reale).
E, ben più che nelle dinamiche, nelle schermaglie e nel raffronto femminista tra Pine e Rodriguez, questo sottotesto della sceneggiatura di Goldstein, Daley e Gilio si esprime in una scena specifica, ma appunto, come scritto sopra, di passaggio, di minor importanza ai fini narrativi. Un segmento nel quale tale discorso coincide con il cammeo taciuto, sorprendente e graditissimo di una star amatissima che, in questa stessa scena, viene presentata nelle fattezze di un uomo minuscolo, intento alle faccende domestiche, ex-fidanzato di una donna (la bruta interpretata dalla Rodriguez) viceversa altissima, nerboruta, mascolina e muscolosissima.
Ecco, in questa scelta apparentemente secondaria, accessoria, quasi irrilevante, si esemplificano l’intelligenza e le potenzialità vastissime del cinema blockbuster e d’intrattenimento, che, come ci insegna la storia della stessa Hollywood, quando è fatto a modo(!), è solo ad una prima occhiata un carnevale, un contenitore fantasmagorico, un oggetto primariamente e necessariamente commerciale, ma anzi può arrivare più forte e in profondità di tanto cinema cosiddetto d’autore che, di quegli stessi discorsi, fa il contenuto principale delle proprie composizioni.
Al momento in cui vi scriviamo, non sappiamo se Dungeons & Dragons diverrà un grande successo e, di conseguenza, una nuova saga protagonista del cinema contemporaneo e del futuro, ma senz’altro, tra i vari e molti tentativi di emulazione e di inseguimento della Mecca Marvel, è quello che più di tutti meriterebbe una chance in questo senso.
Sei d’accordo con la nostra recensione? Se sì, lascia un like e condividi l’articolo con chi vuoi.
In più, per non perdere nessun’altra pubblicazione, assicurati di seguirci sulle nostre pagine social e di iscriverti alla nostra newsletter.