TITOLO ORIGINALE: I migliori giorni
USCITA ITALIA: 1 gennaio 2023
REGIA: Massimiliano Bruno, Edoardo Leo
SCENEGGIATURA: Massimiliano Bruno, Edoardo Leo, Marco Bonini, Renato Sannio, Herbert Simone Paragnani, Salvatore Fazio, Gianni Corsi, Beatrice Campagna ed Andrea Bassi
GENERE: commedia
DURATA: 125 min
Assistiti in soggetto e sceneggiatura da amici, sodali e colleghi, Massimiliano Bruno ed Edoardo Leo firmano un progetto che prevede due film ad episodi dedicati ai migliori e ai peggiori giorni. Un affresco graffiante, collettivo ed attualissimo del nostro presente, del nostro paese, della “nostra Italia” con cui si vorrebbe riportare in vita la tanto cara commedia all'italiana, quella vera, dei (vecchi) mostri, quella davvero capace di scuotere il tessuto sociale dello stivale. È l’ipocrisia il motore critico dell'intera operazione e l'atteggiamento che accomuna tutti i tipi umani che vediamo sfilare di fronte alla macchina da presa, interpretati da metà del cinema italiano più stellato. Tutto questo però non basta a risanare le debolezze di un testo che è sia scritto male, quando non malissimo, con una tendenza agghiacciante e stantia alla sentenziosità, sia irrisolto, superficiale, terribilmente democristiano, facile, comodo ed accomodante.
Ricorda un po’ Siccità di Paolo Virzì, I migliori giorni di Massimiliano Bruno e Edoardo Leo. Non solo perché è un altro film italiano che ha a che fare e parla - questa volta, ancora più esplicitamente - della pandemia contro cui abbiamo combattuto e di cui abbiamo sofferto negli ultimi due anni, ma anche e soprattutto per il modo fragoroso in cui crolla di fronte alle sue ambizioni.
Ambizioni, come, ad esempio, il voler dar vita, esattamente al pari di Virzì, ad un affresco graffiante, collettivo ed attualissimo del nostro presente, del nostro paese, della “nostra Italia” come titola un programma televisivo pomeridiano, simil La vita in diretta, alla cui preparazione assistiamo nel finale. O come riportare in vita, così facendo, la tanta cara commedia all’italiana. Quella vera, dei (vecchi) mostri - sia in senso umano che artistico -; quella capace davvero di scuotere, turbare, traumatizzare il tessuto sociale, dalla quale il progetto dei due attori e registi capitolini (di cui si prevede già una seconda parte in primavera, tuttavia intitolata ai peggiori giorni) riprende una forma tipica e sdoganata.
Stiamo parlando del cosiddetto film ad episodi, un'invenzione tutta italiana che permette agli autori di sviscerare uno o più temi da molteplici punti di vista, alternando voci sempre diverse e rendendo inoltre la fruizione molto più frizzante, dinamica, variopinta e sorprendente.
È questo, perlomeno, ciò che Bruno e Leo - assistiti in soggetto e sceneggiatura dei singoli frammenti da amici, sodali e colleghi quali Marco Bonini, Renato Sannio, Herbert Simone Paragnani, Salvatore Fazio, Gianni Corsi, Beatrice Campagna ed Andrea Bassi - vorrebbero ottenere, sfruttando il gancio, narrativo e commerciale, di festività o ricorrenze tutte ipocritamente comandate, mandatorie, impossibili da eludere: Natale, Capodanno, S. Valentino e l’8 marzo.
D’altronde - tanto che ci si riferisca a contesti privati e familiari, quanto si racconti qualcosa di appartenente alla sfera pubblica - il motore critico dell'operazione è dato proprio dall’ipocrisia, dal perbenismo, ma anche dall’atteggiamento cerchiobottista ed inconcludente che si annida in ogni tipo di situazione e pare accomunare, ma anche confortare, in fin dei conti, tutti i tipi umani che vediamo sfilare di fronte alla macchina da presa, interpretati da metà del cinema italiano più stellato.
L’ipocrisia relativa e conseguente alla pandemia, alle restrizioni, alle misure per prevenirla e fronteggiarla (le mascherine, i vaccini, i tamponi), ma soprattutto alle posizioni politiche che ognuno (in questo caso, un Edoardo Leo ed un Massimiliano Bruno impegnati a riproporre le proprie maschere) può avere in merito - le quali, da entrambi i lati della barricata, finiscono per ridursi irrimediabilmente alle peggiori e più arroganti ossessioni e ai più ciechi fanatismi -, solo riportato ad un contesto familiare e natalizio e all’evenienza vista e rivista del capo(-partito) che viene a cena (a casa di una Anna Foglietta molto misurata).
Oppure l’ipocrisia che dimostra, in maniera pure ripugnante, impietosa, inumana, un imprenditore romano (Max Tortora in una versione sbiadita ed esaurita di Christian De Sica) e la sua famiglia disastrata e nevrotica al doversi interfacciare e fare beneficenza, così da “ripulirsi l’immagine”, in un centro accoglienza per persone senza fissa dimora, con l’inquietante presenza di un ex impiegato deluso e con qualche sassolino nella scarpa (Paolo Calabresi, da sfruttare decisamente meglio).
Ma è anche l’ipocrisia che ha ormai attecchito e corrotto il matrimonio e il legame amoroso tra un giornalista goffo, imbolsito, impigrito, ridicolo, che ciononostante gioca ancora a fare il latin lover (Luca Argentero a disagio, fuori luogo e fuori fuoco), ed una donna d’affari fredda, meticolosa, calcolatrice, eppure avida di nuove esperienze (una Valentina Lodovini che si riconferma volto e corpo più procaci e seducenti del nostro cinema), i quali, a turno, si infilano in una tresca senza via d’uscita: lui, con una ventiquattrenne ingenua e credulona (Maria Chiara Centorami, sminuita e sottostimata), lei, con una collega che tenterà di sistemare le cose (una Greta Scarano senza infamie e senza lode); e senza sapere che la ventiquattrenne e la collega sono, a loro volta, amanti.
Ed è, in ultima istanza, la stessa ipocrisia che dimostrerà una conduttrice televisiva stile Barbara D’Urso (una Claudia Gerini più sopra le righe di quanto richiesto ed accordato) che vorrebbe prendere in mano o per qualcos’altro il sistema e combattere per i diritti che, in passato, le sono stati ripetutamente negati, ma che, suo malgrado, non riesce ad ergersi e vincere la spietatezza della rete e di chi ci lavora (tra cui, l’autore interpretato da uno Stefano Fresi in una parte difficilissima e molto ambigua).
Episodio, quest’ultimo, che funge da chiosa alle posizioni e ai discorsi di Bruno, Leo & co., mettendo evidentemente in luce, attraverso il nome della trasmissione di cui sopra ad accompagnamento di una determinata azione e compromesso infido e convenzionalista, quale sia “La nostra Italia”, quella di oggi, quella che ha stimolato e reso attuale I migliori giorni, e, al contempo, quale sia l’Italia verso cui guardare con speranza, quella del futuro, quella con cui la pellicola sceglie di salutare il pubblico: quella dei giovani e, ancora meglio, delle giovani donne.
Quella di donne come Ludovica Martino, che sarebbe la presenza più pura, lieve e delicata dei quattro racconti, se solo non le fosse stato affidato uno dei monologhi e dei momenti più artificiosi di tutti (e ce ne sono a iosa durante le due ore). Vale a dire lo sfogo e l’enfasi fluviale, con cui gli sceneggiatori sembrano voler addurre un po’ di sostanza, di statura morale e dare un minimo di conclusione ad un testo che è sia scritto male, quando non malissimo, con una tendenza agghiacciante e stantia alla sentenziosità; sia irrisolto, superficiale, terribilmente democristiano, facile, comodo ed accomodante nei risvolti, nelle scelte, negli spunti comici che abbraccia ed asseconda (i primi a venire in mente, i più scontati che possiate immaginare). Tant'è che, come sempre avviene nel cinema italiano, si finisce per urlarsi contro e prendersi a parolacce.
Un testo che sembra fare di tutto per accomunarsi a quei personaggi che dovrebbe e vorrebbe leggere attraverso una lente grottesca e satirica, senza però avere il piglio, l’energia, la cattiveria necessari, né tantomeno il vero sfizio di andare fino in fondo a ciò che suggerisce epidermicamente.
Il primo episodio è forse il più simpatico e il più ispirato del mucchio, quello che almeno qualche risata amara la strappa, che pare scritto sulla scia (al ribasso, ovviamente) dei migliori Costella e Genovese. Da lì in poi, purtroppo, è tutto in caduta libera e si arriva a stento ai titoli di coda, tra rivisitazioni di formule già gustate e meglio sviluppate altrove.
Quantomeno, bisogna riconoscere, a Bruno, Leo e a tutta la produzione, la consapevolezza e l’onestà di essersi resi conto che soggetti tanto flebili richiedevano un rispolvero di un simile formato, e ringraziarli quindi di averci risparmiato quattro film blandi, se non proprio sciapi, a favore di uno solo, altrettanto frivolo. Di un 4x1 conveniente il giusto, che ci ricorda che I migliori giorni, quelli veri, (ahinoi) erano e sono ben altri.
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