TITOLO ORIGINALE: Il grande giorno
USCITA ITALIA: 22 dicembre 2022
REGIA: Massimo Venier
SCENEGGIATURA: Aldo, Giovanni e Giacomo, Davide Lantieri, Michele Pellegrini, Massimo Venier
GENERE: commedia
DURATA: 90 min
Dopo la resurrezione di Odio l'estate, il trio comico italiano per antonomasia, Aldo, Giovanni e Giacomo, torna al cinema con Il grande giorno, loro quattordicesima apparizione cinematografica, ma anche e soprattutto continuazione consapevole, seppur forse meno intensa, di quel film essenziale ed importantissima per la loro carriera e filmografia. Il racconto proverbiale di un matrimonio, reso originale da uno slancio ed una composizione comica sempre e comunque precisa, puntuale, inarrestabile, da una scrittura oculata di tutti i personaggi, dalla riconferma di una linea femminile fortissima e pungente, ma anche e soprattutto da un cast di comprimari azzeccatissimo, diventa il gancio di una pellicola diversissima dal canone di Aldo, Giovanni e Giacomo, di una critica ad una borghesia sull'orlo dell'abisso e di un racconto che afferma che qualcosa deve chiudersi e finire affinché si possa continuare a fare ciò che rende felici.
“Ho deciso di fare solo quello che mi fa stare bene, non quello che dicono o vogliono gli altri” dice qualcuno in uno degli ultimi segmenti de Il grande giorno, pellicola che segna, di nuovo di fronte alla macchina da presa di Massimo Venier, la quattordicesima apparizione sul grande schermo del trio comico italiano per antonomasia, Aldo, Giovanni e Giacomo, tracciando, al contempo, una continuità evidente ed un fil rouge innegabile con l’ultimissimo Odio l'estate. Il testo, quest'ultimo, che, in un 2020 pre-pandemico, funse un po’ da resurrezione ideale dei tre mattatori, ma anche e soprattutto il risultato del necessario periodo sabbatico successivo al disastro concettuale e di pubblico della loro “morte artistica”, voluta e non voluta, in e con Fuga da Reuma Park.
È invero dalle ceneri di quella fine sbagliata, ingiusta, ingloriosa, che nacque appunto l’esigenza di un’opera e di un racconto come Odio l’estate. Di una pellicola che ribaltasse un po’ le cose, ridesse una nuova direzione al cinema di Aldo, Giovanni e Giacomo e ripensasse le tanto confortevoli quanto asfissianti maschere, a loro carissime sin dai tempi dell’iconico ed importantissimo Tre uomini e una gamba.
Addio pertanto alla figura, divenuta ormai stereotipo, dell’eroe romantico piccolo- o medio-borghese, spazio ad una maggior attenzione e cura alla scrittura dei personaggi secondari, di contorno e, soprattutto, femminili (che, nei loro film, quantomeno da Il cosmo sul comò in poi, avevano progressivamente perso di intensità) e, di conseguenza, ad un’equiparazione ed omogeneizzazione, in termini di presenza scenica, proporzioni narrative ed incisività, tra loro tre e "gli altri". Per ultimo, largo ad un’inaspettata incursione del dramma della malattia, dell’inevitabilità della fine. Fine, che ciononostante, come loro stessi ci ricordano e si rincuorano nella chiusa malinconica, caliginosa, agrodolce ed indubbiamente moralistica di questa loro ultima fatica, “è la cosa più importante”, poiché permette di dare il là e sottintendere pur sempre “un nuovo inizio”.
È d’altronde proprio questo: un nuovo inizio, una nuova possibilità, una vita che esuli da un copione che sembra già scritto per loro da qualcuno o qualcos’altro; ciò a cui aspira la galleria, nevrotica, buffa, talora grottesca, di personaggi che si aggira tra le stanze, i giardini, i corridoi, gli anfratti di una sontuosissima villa (il nome ve lo lasciamo scoprire da soli) sulle rive del lago di Como, scenografia esclusiva di un matrimonio costosissimo; quest'ultimo favola ridicola e assurda di una mentalità borghese ipocrita, sull’orlo dell’abisso, votata alla ricchezza, alle velleità tanto per, al non plus ultra, al denaro e all'ostentazione di tutte queste cose assieme, più vetrina commerciale ed autocompiaciuta per l’attività e il prestigio dei consuoceri - padri - soci d’affari - sponsor, ovvero il ganassa narcisistico, vanesio e spendaccione Giovanni e il tirchio, delicato, irritabile ed accidioso Giacomo, che non autentico e sentito coronamento del sentimento dei loro due giovanissimi ed esitanti rampolli (Giovanni Anzaldo e Margherita Mannino, perfetti per la parte).
Per fortuna che, a scombinare i piani e a dimostrare che forse, come scriveva già Manzoni su quel ramo del lago di Como, “questo matrimonio non s’ha da fare”, oltre a tutti gli imprevisti del caso, ci penserà Aldo, l’espansivo, bonario ed irriflessivo nuovo compagno dell’ex moglie di Giovanni. Quasi fosse uno psicoterapeuta improvvisato (fa però il fisioterapista!), questi, con la sua spontaneità e palese sproporzione ed inadeguatezza in un simile contesto ed ambiente sociale, farà emergere e disvelerà tutti gli scheletri nell’armadio, i non detti, i segreti di una vita, mettendo in crisi e ridefinendo questo groviglio di rapporti nutriti spesso per inerzia, che diventano e sono diventati col tempo proprio le categorizzazioni, le gabbie, le etichette di cui sopra; le stesse che avevano letteralmente portato il trio meneghino su una strada sbagliata ed autoreferenziale.
Come avrete forse intuito, nulla nel racconto de Il grande giorno - che i tre comici scrivono insieme all’imprescindibile Venier, a Davide Lantieri e Michele Pellegrini - è propriamente inedito od originale, così come non lo era nemmeno Odio l’estate. Laddove, in quel film, si sfruttava il qui pro quo di una prenotazione estiva per raccontare la storia di tre famiglie che arrivano a stringere un legame di una forza unica, qui si passano in rassegna i tre giorni di questo matrimonio, scanditi e resi ilari e dinamici, appunto, dagli immancabili inconvenienti, incidenti di percorso, incomprensioni e tensioni tra gli invitati. E, in tal senso - al di là dei toni da satira sociale pungente ed affilata con cui si apre quest'ultimo film, coronata, in ultima istanza, dal testo della canzone originale di Brunori Sas - Odio l’estate era e resta decisamente un inserto superiore, nonché maggiormente interessante e sofisticato, nella loro filmografia; uno di maggior levatura comica, spinto inoltre da intenti e sentimenti creativi ed esistenziali nettamente più travolgenti.
Ciò nondimeno, il copione de Il grande giorno riesce a donare a vicende sommariamente semplici, anzi talora quasi elementari, un tocco che appare unico ed irripetibile, una misura invidiabile, un gusto esclusivo ed un retrogusto semplicemente inconfondibile. E forse il merito, più che ad una scrittura, uno slancio ed una composizione comica sempre e comunque precisa, puntuale, inarrestabile (specie nella prima mezz’ora) dal mirabile tempismo, che raggiunge sempre (ed intendiamo sempre!) ciò che si prepone, l’esatta reazione a cui mira; è da attribuire proprio alla proroga dell’impegno nella caratterizzazione di tutti i personaggi, nella riconferma di una linea femminile fortissima e pungente, ma anche, in particolar modo, al cast di interpreti che supportano, completano, si sommano al trio fin quasi a pretendere ed accentrare su di loro tutte le luci e le attenzioni dello spettatore.
A tal proposito, unitamente ai già nominati Anzaldo e Mannino, è d’obbligo citare una raggiante Antonella Attili, un’impenetrabile e mai così divertente Elena Lietti, una sobria e sempre elegantissima Lucia Mascino, uno splendido Pietro Ragusa, un delizioso Francesco Brandi (anche narratore delle vicende), uno spassoso Roberto Citran e pure Francesco Renga, il quale interpreta fondamentalmente una versione autoironica ed improbabile di sé stesso.
Il risultato finale è, a tutti gli effetti, il remake (del francese C'est la vie) che il quasi coevo Il giorno più bello di Andrea Zalone avrebbe voluto essere, ed insieme - sempre ai sensi della riconferma di questo loro nuovo inizio - un film ancora più distante da come abbiamo sempre immaginato e da ciò che ci si potrebbe aspettare da Aldo, Giovanni e Giacomo. Il che, almeno per chi scrive, è tutto fuorché un problema, se poi ci troviamo di fronte ad un'opera con un grandissimo cuore, sia nella scrittura, sia nella produzione vera e propria, e che soprattutto si dimostra consapevole dei propri limiti e fa di tutto per sfruttare al meglio quello, anche il poco, il minimo indispensabile, di cui dispone.
Se arduo e tutt'altro che scontato può essere allora riconfermare i voti di uno dei matrimoni artistici più fulgidi e divertenti dello spettacolo italiano, immaginate quanto difficile, specie nel nostro paese, possa essere riconoscere che qualcosa deve chiudersi, deve finire, che bisogna rinunciare a ciò che ci ha reso chi siamo e saremo per sempre, pur di continuare a fare ciò che ci rende felici. Che, prima o poi, non sapremo più dove ci sediamo, nemmeno con la premiata ditta Aldo, Giovanni, Giacomo... e Paolo Guerra, a cui Il grande giorno è dedicato e che senz'altro sarebbe fiero di ciò che i suoi amici di una vita sono riusciti a creare, ancora una volta.
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