TITOLO ORIGINALE: Strange World
USCITA ITALIA: 23 novembre 2022
USCITA USA: 23 novembre 2022
REGIA: Don Hall
SCENEGGIATURA: Qui Nguyen
GENERE: animazione, azione, avventura, commedia
DURATA: 102 min
La Disney sceglie di inaugurare al cinema i festeggiamenti per il suo centesimo anniversario con Strange World, 61° classico d'animazione. E lo fa non a caso, perché il nuovo film di Don Hall rappresenta un ideale punto di arrivo per l'ultimo corso della major. Un film in cui centrale, se non proprio fondamentale è il ricettacolo di messaggi socio-politici urgenti a cui la casa di Topolino ci ha ormai abituati. Un viaggio al centro e alla (ri)scoperta, alla (ri)definizione e (ri)connessione della nostra interiorità, del nostro corpo, della nostra emotività, delle nostre radici, per capire come vivere pensando al domani, nel segno della resilienza, dell’intraprendenza, ma anche della comprensione di questo delicato equilibrio che ci lega a tutto ciò che ci circonda. Un atto di fede (capitalista) nei confronti del cinema e dell'animazione.
Non a caso, è con Strange World che la Disney sceglie di inaugurare al cinema (anche se, visti i risultati deludenti al box office, crediamo non ci rimarrà per molto) i festeggiamenti per il suo centesimo anniversario. Non a caso, perché il nuovo film d’animazione di Don Hall (già co-regista di Big Hero 6 e Oceania, e autore di Raya e l'ultimo drago), il 61° classico dei Walt Disney Animation Studios, si mostra quale ideale culmine del recente corso della major e nuovo punto fermo da cui far partire nuove storie.
Infatti, nel racconto di questa città-nazione immaginaria di nome Avalonia, bucolica e rigogliosa, ma isolata dal resto del mondo da una catena di montagne invalicabili; centrale, se non proprio imprescindibile è l’ideologia dello studio, il ricettacolo di messaggi socio-politici urgenti (ecologia, inclusività, rilettura e riforma degli archetipi, delle strutture, dei personaggi tipici della fiaba o comunque del racconto per infanzia) a cui la casa di Topolino ci ha abituati e che ha pian piano - e sempre con meno compromessi o veli di sorta - instillato nei propri prodotti, nei propri brand, nelle proprie IP e in tutto ciò che le riguarda, dentro e fuori lo schermo.
In tal senso, l’allegoria con cui Hall, il suo sodale sceneggiatore Qui Nguyen e tutto il team creativo danno respiro a questa miscela di temi, a tutti questi discorsi, è dunque la reale protagonista di Strange World e, al contempo, la vera missione del viaggio di un manipolo di personaggi, che, di tale missione, se ne fanno, uno per uno, irriducibili ed evidenti ambasciatori (pure troppo, tanto da venir privati talora del loro lato più umano e della loro innata simpatia).
E, per capire la gravità di questo sorprendente (a suo modo) passo in avanti da parte dello studio, vi basti pensare al personaggio del giovane Ethan Clade - ultimo discendente di una lunga stirpe di esploratori e conquistatori - e alla sua omosessualità dichiarata, discussa, posta continuamente al centro dell’inquadratura, letta secondo canoni e situazioni che, fino a qualche tempo fa, quantomeno in casa Disney, sarebbero spettati solo ed esclusivamente a due personaggi di sesso opposto, principi o principesse, aiutanti, esseri magici.
Una figura, quella di Ethan, che non si impone solo quale unico, grande protagonista delle vicende, delle posizioni e delle proposizioni di Strange World, dunque quale principale punto di riferimento del pubblico e del suo coinvolgimento nella narrazione - laddove, appena un decennio fa, sarebbe stato relegato ad un ruolo minore, se non addirittura a quello del villain. No, lui e tutto ciò che lo concerne vengono espressamente definiti ed individuati dall’istanza narrante come il futuro, la speranza, la via da seguire per il mondo di Avalonia e, logicamente, per il nostro.
Per non parlare poi della provocazione, di fatto utopica, per cui questo tipo di apertura, di progressismo che non solo è accettato, ma anzi pare intrinseco a tutta la comunità, avvenga in una civiltà che, in questa sua autarchia politica e circoscrizione morfologica e geografica, idealmente maturerebbe ben altri pensieri e comportamenti.
Ciò detto, Ethan rappresenta quindi il domani, l’avvenire, la speranza, poiché è e sarà il punto d’incontro, la crasi, un ibrido tra due filosofie esistenziali e politiche contrastanti e diametralmente opposte, e, in parallelo, tra due pilastri generazionali che per lui significano molto e da cui mutua il meglio, i punti di forza. Vale a dire il nonno Jaeger (nomen omen), esploratore imperialista, fallocratico, invadente, esuberante, arrogante, ma anche e soprattutto stolto e ridicolo in questa sua smania di conquistare, e il padre-agricoltore Searcher (di nuovo, nomen omen), segnato indelebilmente dall’abbandono, dall’interferenza, dal fantasma e dall’ombra mitica del padre, dallo spirito integerrimo, concentrato nel suo lavoro, sicuro di sé e delle proprie convinzioni, ma pure tremendamente insicuro, immobile, nervoso e, a suo modo, soffocante col figlio, con la sua vita e le sue scelte.
Strange World si rivela essere pertanto anche un film su tre modelli maschili, sui loro alterchi e sulle loro complicità (è qui che custodisce una grande parte del suo cuore!), e, in generale, sui rapporti familiari e su come questi ultimi e ciò che ne concorre ci rendano chi siamo stati, chi siamo ora e chi saremo domani. Una pellicola che parla dunque di noi stessi e mette in scena un viaggio al centro e alla (ri)scoperta, alla (ri)definizione, (ri)negoziazione e (ri)connessione della nostra interiorità, del nostro corpo, della nostra emotività, della nostra storia, delle nostre radici.
Una riconsiderazione, allora, del nostro punto di vista, delle nostre credenze, delle nostre illusioni, ma anche del nostro peso e della nostra importanza all’interno di un’ecosistema in cui ogni singolo elemento, anche la più minuscola particella, concorre ad un qualcosa di comune, ad un legame inscindibile ed irrefutabile, ad un destino condiviso. Vivere pensando al domani, nel segno della resilienza, dell’intraprendenza, ma anche della comprensione di questo delicato equilibrio: è questo il messaggio che inquadra e condensa Strange World nei suoi ultimi dieci minuti, quelli in cui la creatura filmica di Hall & co. raggiunge il più alto tasso di simbolismo, figurativizzazione ed iconografizzazione.
Minuti dagli esiti forse prevedibili, che molti potrebbero tacciare di retorica e di un eccessivo didascalismo, ma che, oltre appunto a perseguire e compiere, con impressionante coerenza, un discorso decennale molto caro alla Disney (a cui si aggiunge la progressiva astrazione ed idealizzazione del villain e della minaccia - su cui tra l’altro si ironizza in un segmento), sono messi in scena con una sintesi ed una semplicità che sottolineano, ancora una volta, la capacità dello studio di lavorare sulla chiarezza compositiva ed espressiva e la lucidità semantica dell’immagine in movimento, al di là della sua potenza spettacolare, favolistica, immaginifica (che qui raggiunge livelli davvero eccezionali).
Minuti in cui la pellicola riesce a concentrare tutto ciò che ha costruito fino ad allora, ricordandoci inoltre il contesto, il contenitore, il recupero estetico, l’unità di spazio artistico in cui questo discorso prende forma, consistenza, dinamismo, colore, sapore, importanza. Allora, parliamo dell’effetto nostalgico dei pulp magazine a cui si rifà tutto il prologo, o della letteratura di incontro con l’altro, il diverso, il nuovo, l’ignoto, l’insondato, sia essa avventurosa come quella di Jules Verne, Arthur Conan Doyle e Rudyard Kipling o fantascientifica come quella di H. G. Wells.
Più astrattamente e poeticamente, Strange World è un grande atto di fede verso il cinema quale luogo dalle infinite possibilità, quale espressione più concreta e tangibile di uno o svariati pensieri, quale potente digressione fantastica e meravigliosa in cui dare vita se non ad una, ad un accenno di trasformazione e riforma della società del domani; ma anche verso l’animazione quale funzionaria positivista di un’invenzione variopinta, di un’armonia possibile, di un futuro che si spera non rimanga solo materiale per gli immutati “c’era una volta…” e i “e vissero per sempre felici e contenti”. O, meno favolisticamente e più paradossalmente, per i ("potremmo farne un") gadget, per una fantasia capitalista. Perché - ricordiamo - anche le idee sono in vendita.
Sei d’accordo con la nostra recensione? Se sì, lascia un like e condividi l’articolo con chi vuoi.
In più, per non perdere nessun’altra pubblicazione, assicurati di seguirci sulle nostre pagine social e di iscriverti alla nostra newsletter.