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UTAMA, O IL CINEMA CHE RESISTE ALLA FINE DEL MONDO

SCHEDA

TITOLO ORIGINALE: Utama
USCITA ITALIA: 20 ottobre 2022
REGIA: Alejandro Loayza Grisi
SCENEGGIATURA: Alejandro Loayza Grisi
GENERE: drammatico
Vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival 2022

VOTO: 8

RECENSIONE:

Vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival 2022, Utama, esordio al lungometraggio del boliviano Alejandro Loayza Grisi, è un western esistenziale che racconta, con mitezza, silenzio e tanta delicatezza, un’umanità che tenta di sopravvivere, di trovare ancora un proprio spazio, un proprio respiro in un mondo e in una terra affascinanti, necessarie, eppure dolorosissime, brulle, solitarie, che condannano i più deboli, gli emarginati, gli ultimi per gli errori di altri, di tutti.

IL CINEMA CHE RESISTE

Il cinema che resiste. Negli ultimi tempi - fortunatamente - lo stiamo vedendo sempre di più, calato in contesti, argomenti, modi, sguardi sempre diversi e sempre unici. Basti pensare al più eclatante, al migliore di tutti: all’iraniano Jafar Panahi, che, col suo Gli orsi non esistono, dà vita ad un’opera lucidissima e teorica che, a partire dallo stato di prigionia artistica e (va da sé) esistenziale del regista, ragiona sull’importanza delle immagini e sulle loro conseguenze. Un discorso quanto mai attuale, in modo iperconnesso ed ipertrofico (di stimoli, immagini, contenuti) come il nostro, e conseguentemente di una progressiva superficializzazione dell'immagine in sé e per sé.

Frattanto, all’altro capo del mondo, in Bolivia, un altro regista, l'esordiente Alejandro Loayza Grisi, racconta con Utama - vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival 2022 - il dramma di un’anziana coppia quechua, di due allevatori di lama e coltivatori di patate che vivono nelle aride, inospitali e dimenticate terre dell’altopiano boliviano; per riflettere in realtà sui cambiamenti climatici e sulla crisi ecosistemica che sta investendo il nostro mondo.

Utama Recensione Cinemando

UN LAMENTO SILENZIOSO CONTRO UNA FINE GIÀ IN ATTO

Ebbene, come solo i grandi registi, o i futuri tali, riescono a fare, Grisi amplia l’obiettivo e l’ambizione del proprio piccolo, grande racconto alla collettività, alla globalità, andando alla ricerca dell’universalità, del valore comune, della compartecipazione dello spettatore in una vicenda apparentemente distante, remota, specifica.

E, pur mostrando tutte le difficoltà tipiche di un esordio - e pur non brillando della lucidità teorica, delle capacità espressive e della forza discorsiva dell’urlo di Panahi -, Utama colpisce per la mitezza, il silenzio, l’indolenza, la placidità con cui lascia percepire uno scenario sconfortante, angosciante, spaventoso, e per la sensibilità e la delicatezza con cui lancia il proprio messaggio disperato di ascolto, aiuto e condivisione di questo dolore i cui motivi sono da ricercare altrove, forse proprio in quella città, o civiltà, che rende automaticamente mendicanti - perlomeno stando alle parole del vecchio e testardo Virginio. Dunque, per il modo in cui ci rende spettatori del senso di mortalità di una famiglia che, nella terra, ha sempre riposto ogni sua speranza. Che, alla terra, ha sempre dedicato ogni suo gesto e goccia di sudore. Che, dalla terra, ha sempre ricevuto i semi del proprio tempo - passato, presente e futuro.

Colpisce inoltre il modo in cui il cineasta riesce ad inserirsi, in punta di piedi, con un approccio quasi documentaristico, all’interno di un microcosmo fatto di gesti, espressioni, consuetudini ripetute, minimali, essenziali, tuttavia capaci di essere così eloquenti; di rimandare, o meglio, raccontare una storia parallela, coeva, sotterranea a quella esplicitata dal copione di Grisi e da lui stesso messa in scena, con la connivenza della meravigliosa e contemplante fotografia di Barbara Alvarez. Fotografia che, dal canto suo, intercetta e ripropone questo rapporto necessario, innato, incontrovertibile, eppure dolorosissimo, con una natura visivamente affascinante come lo era ed è nei film western (di cui Alvarez recupera chiaramente l’iconografia), ma semanticamente brulla, incrinata, riarsa, desolante, solitaria.

Utama Recensione Cinemando

UN WESTERN ESISTENZIALE DI SPAZI E RESPIRI

Utama diventa pertanto un western esistenziale su un’umanità che tenta di sopravvivere, di alzarsi ogni mattina con un memento mori ad attenderla fuori dalla soglia di casa, di trovare ancora un proprio spazio, un proprio respiro (questo, un dettaglio onnipresente in sede di sound editing) in questo mondo e questa terra che condannano i più deboli, gli emarginati, gli ultimi per gli errori di altri, di tutti; che ci fanno sentire inutili, impotenti, effimeri, deboli di fronte a questa loro insormontabile grandezza.

Un’umanità che ciononostante tenta di opporsi, continuando a scrutare l’orizzonte in cerca di risposte o speranza alle proprie incertezze, ad attenersi a regole che appaiono necessarie, a seguire ciecamente costumi e usanze che, quantomeno in un primo momento, sembrano l’unico, possibile appiglio di fronte ai segni mortiferi che la circondano, ad una catastrofe non solo annunciata, ma anzi già in corso.

In realtà, l’ultimo, vero rifugio contro la fine del mondo risiede, neanche a dirlo, in un legame rinsaldato (in questo caso, tra un nonno arroccatosi ed isolatosi non solo in mezzo al nulla, ma anche nelle sue opinioni, ed un giovane che cerca di contrastarne la testardaggine e di riportarlo invano al presente, alla ragione, alla consapevolezza della propria condizione, salvo poi scoprire il vero motivo di questa sua irremovibilità), in un riavvicinamento, in un calore familiare, in un sentimento riscoperto, capace di prevalere e non lasciarsi travolgere dall’inevitabile. Per resistere un altro giorno ancora.


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Pubblicato da Nicolò Baraccani il 26 Ottobre 2022
Categorie
  • Cinema
Tag
  • 2022
  • DRAMMATICO
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