TITOLO ORIGINALE: The School for Good and Evil
USCITA ITALIA: 19 ottobre 2022
USCITA USA: 19 ottobre 2022
REGIA: Paul Feig
SCENEGGIATURA: Vanessa Taylor, David Magee, Paul Feig
GENERE: fantastico, drammatico, commedia
PIATTAFORMA: Netflix
Un film d’avventura fin troppo lungo e dilatato, un epigono di Harry Potter, un teen horror con i suoi piccoli brividi, un wuxia, un (banale) ragionamento metatestuale sul potere delle storie, un tentativo di incontro ed ibridazione dello standard Disney e dell’opera di rivisitazione dei suoi recenti live action, un fantasy per l'infanzia, una critica alla società dei social media. Questo e tanto altro vuole essere, ovviamente invano, L'Accademia del bene e del male di Paul Feig, adattamento dell’omonimo romanzo di Soman Chainani, nonché ennesima megaproduzione con cui Netflix tenta di racimolare abbastanza consenso per dare il via ad una nuovissima avventura audiovisiva.
Questo è solo l’inizio. Qualcuno dovrebbe inventare ed istituire una penale per ogni sceneggiatore che sceglie di chiudere così: in questo modo così didascalico, vecchio, proverbiale, stantio e polveroso, del tutto anti cinematografico; il proprio testo e il proprio film, con l’ovvia speranza di dare il via ad una nuova saga, ad un nuovo franchise. È tuttora una delle più gravi cadute di stile del magniloquente e plumbeo Dune di Denis Villeneuve. Ed è il modo in cui Vanessa Taylor, David Magee e Paul Feig chiudono il sipario sulla loro Accademia del bene e del male, adattamento dell’omonimo romanzo di Soman Chainani, nonché ennesima megaproduzione con cui Netflix tenta di racimolare abbastanza consenso per dare il via ad una nuovissima avventura audiovisiva.
Forte di un preciso lavoro di world building, d’ispirazione quasi gaimaniana (tant’è che un riferimento a Sandman non sarebbe poi così sbagliato), i cui semi e meriti sono in gran parte attribuibili alla fantasia del già citato Chainani, il colosso di Los Gatos pare invero tentare la strada - fortunata per alcuni, disastrosa per altri - già intrapresa, in primis, da Disney, seppur in maniera tenue e perlopiù innocua, con prodotti televisivi quali i tre Descendants, o con i cinematografici Maleficent ed Into the Woods. Ossia quella dello svecchiamento del concetto di fiaba, con i suoi archetipi, i suoi stilemi, le sue fissità, attraverso il remixing, il mash-upping, la rivisitazione e la ridefinizione alla base della postmodernità.
Laddove dunque, in Descendants, si seguivano le avventure degli eredi dei villain e degli eroi più celebri della mitologia disneyana, in Maleficent, si riscriveva il mito de La bella addormentata nel bosco, o in Into the Woods si facevano confluire, all’interno dello stesso calderone musical, tutte le storie più famose dell’opera grimmiana; prima nel romanzo di Chainani, poi nella pellicola diretta da Paul Feig (sodale regista di Melissa McCarthy) si aprono le porte di un mondo che tiene insieme tutti questi elementi.
Uno in cui ogni buono e cattivo di qualsiasi storia mai esistita (dall’epica classica ai vari cicli medievali, fino ad arrivare alle succitate fiabe del tardo romanticismo tedesco), prima di potersi definire tale, deve frequentare un particolare accademia, che, secondo una filosofia perlopiù conservatrice, gli insegna qual è il suo ruolo, la sua missione e la sua funzionalità: ispirare le persone del mondo reale (o, per meglio dire, del nostro mondo) a fare delle scelte.
Ed è forse proprio quest’ultima idea - pur trattandosi di un qualcosa di assolutamente assodato e banale per chiunque s’intenda un poco di studi culturali o di sociologia - la più centrata tra le (poche) intuizioni de L’Accademia del bene e del male. Forse la migliore; quella che chi scrive ha rimpianto si trovasse in un film che, superata l’eccitazione per un mondo effettivamente intrigante, si mostra in tutto il suo essere derivativo, irresoluto, blando e privo di un vero e proprio carattere.
Perché sì, ci troviamo di fronte alla naturale (od innaturale e volgare, decidete voi) evoluzione del fantasy anni ‘80. Lo stesso che oggi, a confronto con l’high-fantasy de Il Signore degli Anelli, Le cronache di Narnia o Il trono di spade, potremmo definire low-fantasy. Quello di cult come Highlander, La storia infinita od Excalibur; degli anacronismi abbaglianti, eppure fautori di riuscitissime epifanie, in ambito musicale (come, ad esempio, Who Wants to Live Forever dei Queen o Neverending Story di Limahl); delle incursioni e dei saccheggi da altri linguaggi (si pensi anche solo al videoclip), altri territori ed altre estetiche.
Ciò nonostante, il film di Paul Feig fallisce, al contrario, nel trovare l’identità, così l’anima e il cuore pulsante del proprio mondo, oltre un ammasso di terribile CGI (forse la peggiore dell’ultima produzione blockbuster).
E quindi la storia di due amiche di quel mondo che non è il nostro, ma è come il nostro, unite da una profezia e votate a cambiare e sovvertire gli ordini e le regole di questo reame incantato, dai confini netti ed apparentemente invalicabili; diventa un miscuglio disordinato di stimoli, influenze, riferimenti, sottrazioni più o meno evidenti, il cui unico vero effetto sembra essere disorientare lo spettatore.
Sempre che di spettatore si possa parlare, dato che un altro dei motivi per cui L’Accademia del bene e del male si può definire adespota consiste proprio nel suo essere privo di un preciso target di riferimento. Infatti, l’adattamento che ne traggono Vanessa Taylor, David Magee e Paul Feig mantiene, in qualche modo, la comicità puerile ed infantile del libro, così come la verbosità e didascalicità tipiche del racconto per l’infanzia (si veda come, ogni volta che un nuovo personaggio appare in scena, ne venga fatto nome e cognome e ne venga fornito un vago accenno di backstory). Al contempo, però si cerca di rendere il tutto più maturo, più vicino ad un teen drama, sporcandolo qua e là con qualche parolaccia e confezionando addirittura qualche sequenza dal tocco e dal sapore più horror.
Per riassumere, L’Accademia del bene e del male è quindi: un film d’avventura fin troppo lungo e dilatato (specie nella sua ultima ora - di due e trenta complessive), un romanzo di formazione in chiave scolastica, o in altre parole, un epigono di Harry Potter (o anche della netflixiana Fate: The Winx Saga), ma anche un teen horror con i suoi piccoli brividi, un wuxia (nel cast c’è pure Michelle Yeoh!), un (banale) ragionamento metatestuale sul potere delle storie, ed inoltre un tentativo di incontro ed ibridazione dello standard Disney e dell’opera di rivisitazione dei suoi recenti live action - partendo da sequenze musicali timidamente accennate (ma più dalle parti del musical), passando per una Charlize Theron (elemento di nobilitazione del progetto) a metà tra il Johnny Depp di Alice in Wonderland ed una qualsiasi, affascinantissima ma nevrotica, strega cattiva, ed arrivando ad un finale le cui volontà riformiste e (innocuamente) iconoclaste si infrangono contro il muro di un pudore terzista e contraddittorio.
Infine, come farsi mancare un velo di critica alla società dei social media, al suo perfezionismo egocentrico, alla preminenza dell’aspetto esteriore (ed estetico) su quello interiore, morale, umano, empatico. Una contestazione della superficialità che domina il nostro mondo che il film porta avanti, d’altro canto, con una genericità ed una frivolezza disarmanti, tra un dialogo accorato sull’andare oltre le divisioni nette, le discriminazioni, alla ricerca dell’umanità di ognuno di noi, e la comicità ridicola di un naso da strega o della goffagine di un personaggio atto solo ed esclusivamente a questa sua inettitudine.
Perché ricordate: potrà pure essere l'essere più cattivo di tutti, ma Charlize Theron non potrà mai, per nessuna ragione, essere imbruttita di proposito. Anche solo per portare avanti un discorso; l’unico discorso che avrebbe potuto salvare L’Accademia del bene e del male dalla sua connivenza a quello stesso mondo che critica. Dall’incertezza sul fatto che questo potrà essere l’inizio, ma pure la fine di un’altra, (im)perdibile avventura.
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