TITOLO ORIGINALE: See How They Run
USCITA ITALIA: 29 settembre 2022
USCITA UK: 9 settembre 2022
REGIA: Tom George
SCENEGGIATURA: Mark Chappell
GENERE: giallo, commedia
Il vincitore Bafta per la serie comedy This Country, Tom George fa il suo esordio sul grande schermo con Omicidio nel West End, un tentativo di parodia dei cliché e delle normative insieme del whodunit di estrazione christieana e delle detective stories di derivazione hard boiled, che si e ci interroga sullo stato di salute dell'arte e della finzione e sulle sue responsabilità etiche.
Fino a dove può spingersi la libertà di un artista, di un uomo di spettacolo, di uno scrittore, sceneggiatore, regista, attore? Si può realmente parlare di tutto, nel modo in cui si desidera? Esiste davvero una differenza tra “si basa” o “si ispira liberamente”? L’arte, la letteratura, il cinema, il teatro devono rispettare un’etica, uno scrupolo, quando si approcciano o riutilizzano per i propri fini drammaturgici o tensivi storie vere? In un mondo in cui non sembra esserci più nulla di intentato, inedito, inaspettato, dove e come si possono muovere la rappresentazione e la narrazione su una pagina bianca, un proscenio o il grande schermo? E a cosa si riduce lo spettacolo, l’intrattenimento, la finzione, se la realtà le sorpassa, le batte, si mostra più avvincente, creativa, imprevedibile?
Sono queste le riflessioni che (nel finale) si e ci pone Omicidio nel West End, esordio alla regia cinematografica del britannico Tom George (già vincitore di un Bafta per la serie comedy This Country), trovando pure qualche personalissima e - bisogna ammetterlo - originale risposta ad alcune di queste domande.
Perché sì, l’arte e la finzione non hanno né scrupoli, né tantomeno regole e dettami incorruttibili. Esse divorano la realtà che le circonda, scippano dettagli ed elementi con cui impreziosire la proprie installazioni, i propri intrecci, le proprie illusioni. E no, non è come dice l’impacciata, goffa, entusiasta e cinefila agente Stalker (nomen omen), interpretata da una deliziosa Saoirse Ronan - ossia che “il cinema è una fuga dalla realtà”. Come si afferma esplicitamente all’interno della pellicola, il cinema e l’arte in generale sono piuttosto mondi alla proverbiale canna del gas, affetti da una grande crisi creativa, costretti ad una necessaria compravendita di realtà, e ad uno stato di profondo smarrimento, di eterno ritorno dell'uguale, di disillusione autistica, di scarsa lucidità, di ripetizione estenuante e polverosa, e, soprattutto, di mimesi nevrotica rispetto alle proprie creazioni (come vediamo succedere ad una nota autrice di gialli e polizieschi nell’atto conclusivo).
Una conclusione - che il copione smaccatamente metatestuale di Mark Chappelle afferma con il noto pragmatismo ed umorismo inglesi, andando contro tutta la narrazione odierna di romanticismo e riabilitazione post-pandemica in merito - ed un’amara constatazione - che è poi la stessa alla base di tutto il cinema postmoderno -, che Omicidio nel West End non solo mette in chiaro già dalle prime battute (qualcuno, con grande cerchiobottismo, ci avvertirà infatti che vedremo “il classico giallo, visto uno, visti tutti”), ma anticipa e sottintende, ancor prima, nella scelta del tono ironico, arguto e satirico con cui racconta la vicenda; nel suo essere fondamentalmente una parodia dei cliché e delle normative insieme del whodunit di estrazione christieana e delle detective stories di derivazione hard boiled - ed inevitabilmente quasi una risposta british al (ahinoi) più riuscito Knives Out - Cena con delitto di Rian Johnson.
Difatti, malgrado la sceneggiatura, con la connivenza di Tom George, sappia senz’altro lavorare sulla materia comedy (dimostrando anche una buona, se non buonissima conoscenza di tempi e dinamiche intrinseche al genere) e dia vita a personaggi di eccellente fattura (come il duo di poliziotti, composto dalla già citata Stalker e dall’ispettore sciancato, sdrucito e con evidenti problemi di alcolismo, interpretato da un Sam Rockwell esilarante); a volte, e a differenza del fratello di Hollywood - verso il cui modus operandi si tenta pure di muovere una critica abbastanza proverbiale -, la sagacia e l’ironia, così come lo spirito caricaturale e dissacrante delle illazioni e provocazioni, o la rottura delle convenzioni (con i personaggi che commentano ciò che accade o accadrà in scena, rompono la quarta parete, o addirittura rivelano come andrà a finire il film) ottengono, il più delle volte, l’effetto contrario. Paiono quasi un tentativo disperato di convincere lo spettatore della propria arguzia e brillantezza, se non proprio di illuderlo che ciò a cui sta assistendo è un qualcosa di totalmente nuovo, originale, singolare.
Ecco delinearsi dunque la più grande debolezza di Omicidio nel West End, ossia la sua poca consapevolezza generale del mondo in cui si muove e l'ancor minore dimestichezza cinematografica, ravvisabile tanto nell’uso a dir poco pleonastico, se non talora ridicolo, di alcune soluzioni e tecniche (vedasi, per esempio, lo split screen), quanto soprattutto nelle influenze e nei punti di riferimento (cinematografici) secondo cui si informa la visione di Tom George, che, al di là dei whodunit e dei polizieschi che sberleffa, sono quanto di più basilare. Tra i vari Hitchcock (di cui viene esplicitamente citato Il delitto perfetto), Mario Bava, Dario Argento, e il solito, immancabile Shining, forse solo Wes Anderson si discosta da questa classificazione.
Ciò nonostante, il film cade ben presto preda di questo suo rifarsi e riprendere la colorimetria, l’atmosfera insolita, fanciullesca ed artefatta, da fumetto europeo, e (due, Ronan e Brody) volti tipici dei mondi andersoniani. Inoltre, pur sostituendo la perversione del regista texano per la simmetria dell’inquadratura e la fissazione quasi autistica per i dettagli e la compilazione dei propri universi, con una composizione, viceversa, più smussata e confortevole, Omicidio nel West End non lascia fuoriuscire più di tanto la propria voce, ma piuttosto si fissa nella mente della spettatore come un puzzle di stimoli, citazioni ed echi depotenziato, inibito, slavato, taroccato. Uno che ribalta la prevedibilità della propria satira e mostra davvero i segni di una genialità presente e vivida soltanto in alcuni momenti, tra cui il finale, nel quale fortunosamente George e Chappelle riescono a trovare un equilibrio tra le rigidità del genere e la propria contestazione caustica, irriverente, auto-riflessiva.
Chiunque apprezzi “un buon omicidio”, non verrà affatto deluso da questo film, a cui si può rimproverare tutto, tranne che non dimostri entusiasmo e amore per ciò che fa, dice e racconta. Per tutti gli altri, sarà meglio aspettare l’invito ad un’altra Cena con delitto.
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