TITOLO ORIGINALE: After Ever Happy
USCITA ITALIA: 28 settembre 2022
REGIA: Castille Landon
SCENEGGIATURA: Sharon Soboil
GENERE: drammatico, sentimentale
PIATTAFORMA: Amazon Prime Video
A distanza di poco più di un anno dalla sua ultima iterazione, torna (su Amazon Prime Video) After e lo fa con un quarto capitolo che riconferma in toto i (pochi) pro e i (fin troppi) contro dei suoi capitoli precedenti. Anche questa volta, poco fanno le ragioni per cui accade quello che deve accadere, né tantomeno le condizioni che innescano determinati percorsi emotivi e drammaturgici intrapresi dai personaggi. E, alla fine, si torna sempre e solo alla dinamica ridondante, elementare, estenuante, del tira-e-molla tra due figure che non hanno e, probabilmente, mai avranno un’evoluzione. A quell’idea, diseducativa e ripugnante, di amore incondizionato, di attrazione fatale, di spettacolarizzazione sessuata di problematiche, complessi e patologie che dovrebbero essere affrontate con maggior serietà. O ancora ad una mascolinità fragile, esangue e problematica, eppure dispotica, prevaricatrice, (auto)distruttiva, fastidiosamente retriva, che addirittura qui sembra uscire vincitrice. Arrivati a questo punto, viene spontaneo chiedersi: After interessa ancora a qualcuno? Oppure gli spettatori sono riusciti a disintossicarsene, a disfarsene, a capire cos’è meglio per loro, ancor prima dei suoi protagonisti?
C’è un momento, in After 4, in cui sembra che il film voglia psicanalizzare(?), fare autocritica(?), ragionare(?) sul fenomeno inaugurato dai romanzi (già fan fiction) di Anna Todd. Un momento in cui si dice esplicitamente che “nessuno vuole leggere questa roba perversa”, ma che ciononostante “piovono le offerte” di editori e case di pubblicazione.
Ma è tutto solo un’illusione passeggera, la lucidità di un attimo, il breve e vano risveglio di un’ora e trenta di intorpidimento, oppure uno sterile appiglio che chi scrive sta utilizzando per cercare di tirar fuori qualcosa di inedito da una pellicola che è, di fatto, la stessa, ostinata, rigida ed invariabile ripetizione di sé stessa e dei suoi "episodi precedenti", con i loro (pochi) pro e (fin troppi) contro; dalla quarta iterazione di una serie su cui abbiamo già speso fin troppe parole e che recensire, per l’ennesima volta, diventa paragonabile ad uno sforzo e ad un esercizio creativo.
Verrebbe, in tal senso, da chiedersi, in primis, se esista realmente qualcuno che sceglie con gusto (e non con una risata di compassione, mista ad imbarazzo ed un malsano richiamo trash) di sorbirsi, ogni volta, un’ora e trenta di nulla cosmico, ma anche e soprattutto se il fenomeno After funzioni o quantomeno riesca a suscitare ancora una qualche forma d’interesse nelle lettrici e nei lettori della prima ora, ormai adulti. Ma è una domanda perlopiù retorica, nonché abbastanza superflua, visto il pochissimo impegno produttivo alla base e la conferma e realizzazione imperterrita, ad oltranza, di nuovi capitoli.
È l’eterno ritorno dell’uguale nella sua chiave più sciocca e frivola, After, e questo quarto capitolo ne è l'ennesima conferma. Poco fanno le ragioni per cui accade quello che deve accadere, né tantomeno le condizioni che innescano determinati percorsi emotivi e drammaturgici intrapresi dai personaggi. Tanto, alla fine, si ritornerà sempre e solo alla dinamica ridondante, elementare, estenuante, del tira-e-molla tra due figure di fatto dipendenti l’uno dall’altra - e che, nonostante i consigli e l’aiuto di alcune persone loro vicine e care, non hanno e, probabilmente, mai avranno un’evoluzione -, o, se preferite, a quell’idea, diseducativa e ripugnante, di amore incondizionato, di attrazione fatale, di spettacolarizzazione sessuata (seppur qui più contenuta ed inibita nelle sue involuzioni, maldestramente coreografate, a metà tra l’harmony e il porno-soft) di problematiche, complessi e patologie che dovrebbero essere affrontate seriamente, e non assecondate per fini eccitanti, di una mascolinità fragile, esangue e problematica, eppure dispotica, prevaricatrice, (auto)distruttiva, fastidiosamente retriva, che addirittura qui sembra uscire vincitrice.
Ciò detto, tutto il racconto di After 4 ruota attorno ad una domanda (che è poi la stessa che, quantomeno da spettatori, ci si poneva negli scorsi capitoli): “resasi conto (alla buonora) del dolore che le provoca il ragazzo e della loro incompatibilità, riuscirà la (principessa) Tessa a fare a meno del (principe) Hardin?" Il quesito è evidentemente retorico, eppure il modo in cui la costruzione drammatica e patetica (eufemisticamente proverbiale e didascalica) messa in piedi da Castille Landon tenta di convincerci del contrario è quanto di più irritante ed insieme soporifero avremmo mai potuto immaginare.
E forse è anche arrivata l’ora di smetterla di scrivere e di inventarci ragioni per convincervi della mediocrità, immoralità ed insulsaggine di questo ennesimo, insipido loop. Degli aspetti per cui questo infantile, trascurabile e rumoroso ibrido tra il videoclip, la pubblicità e la soap opera è ciò che di più vicino esiste alla definizione di quello che una volta si chiamava "prodotto da cestone" e che oggi è diventato invece il perfetto materiale di scarto con cui i servizi di streaming stipano le proprie libraries. O anche solo dell'intrinseca scorrettezza di una pellicola che continua ad essere il grado zero della scrittura dei personaggi e della composizione delle situazioni, pur dovendo fare - come ogni buon teen drama che si rispetti - della tensione e delle dinamiche interpersonali la sua cifra più riconoscibile.
Viene dunque nuovamente spontaneo chiedersi: After interessa ancora a qualcuno? Oppure gli spettatori sono riusciti a disintossicarsene, a disfarsene, a capire cos’è meglio per loro, ancor prima dei suoi protagonisti? To be continued…
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