TITOLO ORIGINALE: Firestarter
USCITA ITALIA: 12 maggio 2022
USCITA USA: 13 maggio 2022
REGIA: Keith Thomas
SCENEGGIATURA: Scott Teems
GENERE: horror, thriller, azione
Un Keith Thomas al suo secondo lungometraggio firma il remake, targato Blumhouse, dell'horror del 1984 con una giovanissima Drew Barrymore, da noi conosciuto con il titolo di Fenomeni paranormali incontrollabili, già adattamento di uno dei romanzi meno noti di Stephen King. Nonostante sia apprezzabile il tentativo di maggior rispetto, espansione, modificazione e maggior approfondimento del testo originale, oltre che la presenza di uno sguardo di base più equilibrato, rigoroso e raffinato, Firestarter è un remake ben più piatto e spento dell’originale, privo dell'atmosfera morbosa, claustrofobica, soffocante, inquietante del predecessore, di per sé abbastanza bruttino. A salvarsi davvero è soltanto la martellante ed affilata colonna sonora elettronica scritta da John Carpenter, insieme al figlio Cody e a Daniel Davies.
Che talento che è John Carpenter! Questa è la prima (e forse la sola) cosa che vi verrà in mente una volta finito Firestarter. La colonna sonora oscura, martellante, affilata, che il celebre regista e compositore scrive, insieme al figlio Cody e a Daniel Davies, è forse la componente meglio congegnata e più riuscita di questa nuova “miniatura horror” targata Blumhouse, diretta da Keith Thomas (al suo secondo lungometraggio, dopo The Vigil), adattamento dell’omonimo romanzo di Stephen King, quest'ultimo già trasposto da Mark L. Lester nel film del 1984, conosciuto in Italia col titolo - bizzarro e tipicamente “ottantino” - Fenomeni paranormali incontrollabili, con protagonista una giovanissima Drew Barrymore, reduce dal successo di E.T.
E il fatto che a curare le musiche di questo remake vi sia proprio Carpenter, da un lato, la dice lunga sull’anima colta, sofisticata ed intellettuale dell’operazione, prodotta, oltre che da Jason Blum, da Martha De Laurentiis, moglie (purtroppo venuta a mancare qualche mese fa) del più noto Dino, produttore, a suo tempo, della pellicola di Lester. È risaputo, infatti, che a dirigere la versione del 1984 avrebbe dovuto essere proprio Carpenter, il quale venne però scaricato a seguito dell’ecatombe che il suo La cosa registrò al botteghino statunitense. Per quest'ultimo, dunque, Firestarter rappresenta una sorta di chiusura del cerchio, l'esorcizzazione di un demone che il cineasta si porta dietro da circa quarant’anni.
Dall’altro lato, invece, la scelta di Carpenter per la composizione dei tappeti musicali che accompagnano la fuga dei soprannaturali Andy e Charlie McGee (rispettivamente padre e figlia) dalle mire di un’agenzia governativa, la Dsi, che vuole sfruttare i propri poteri, frutto di un esperimento governativo super-segreto; è segno involontario di una profonda fedeltà alla materia (cinematografica) originale da parte di Thomas e soci. Invero, così come nel caso di Fenomeni paranormali incontrollabili, che poteva contare sulle melodie destabilizzanti del gruppo Tangerine Dream, anche in Firestarter la musica costituisce l’anima più coinvolgente di un racconto, al contrario, talmente sbiadito ed insipido da sembrare, in alcuni punti, quasi da concept video per un nuovo album di Carpenter.
Perché sì, malgrado sia da apprezzare il tentativo, da parte della sceneggiatura di Scott Teems, di maggior rispetto dell’opera kinghiana, dunque di espansione di quanto già mostrato nella pellicola del 1984, di modificazioni che oscillano tra lo stimabile (ora il sangue non esce più dal naso, ma dagli occhi, per non incorrere in ingenue accuse di plagio) e il superfluo (il processo di attualizzazione del testo originale), e di maggior approfondimento psicologico e morale dei personaggi, specie di papà Andy, oltre che la presenza di uno sguardo di base più equilibrato, rigoroso e raffinato - seppur meno sostanzioso di quanto vorrebbe far credere -, Firestarter è un remake ben più piatto e spento dell’originale, che quantomeno aveva dalla sua un’atmosfera morbosa, claustrofobica, soffocante, inquietante, che incatenava fin da subito l’attenzione dello spettatore - salvo poi perderla nella seconda parte.
Tra le probabili ragioni di questo grigiore generalizzato, vi è senz’altro la scelta degli interpreti che falliscono il confronto con i propri “antenati”. Se il volto da eterno ragazzo, fanciullesco, perfetto, pulito, e il corpo nerboruto ed atletico di Zac Efron ben si confanno al portamento manierista, leccato e ricercato, tipico delle produzioni Blumhouse, gli stessi finiscono per fare del suo Andy McGee un personaggio inverosimile, stonato, sproporzionato rispetto al contesto e alla storia che si desidera raccontare.
Per non parlare poi di Ryan Kiera Armstrong e della sua Charlie, che nulla ha a che vedere con quella, più splendente, graduale, inafferrabile, di Drew Barrymore, specie per le sue scarse doti espressive (cosa abbastanza insolita per Hollywood, patria di numerosi enfant prodige), o del John Rainbird di Michael Greyeyes, privato di tutto il fascino, l’enigmaticità, la particolarità e la lucida follia di quello di George C. Scott.
Ciò detto, non colpisce, infine, nemmeno lo sforzo di dotare il film della sporcizia, della ruvidità e dell'artigianalità degli horror di serie B che circolavano a cavallo tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80 (e di cui lo stesso Carpenter è stato, a suo tempo, paladino), tuttavia coniugandolo ed iscrivendolo in un’idea di cinema che ambisce a vette stilistiche, estetiche, compositive non indifferenti.
Questo contrasto di intenzioni ed essenze fà di Firestarter un film che non sa né dell’uno, né tanto meno dell’altro. Un remake senza arte né parte, che fallisce per giunta nel restituire la carica polemica e figurativa del romanzo di King, ben tradotta dalla versione di Lester. Un fuoco fatuo, per non dire di paglia. Forse, proprio il film che Stephen King previde nel lontano 1984, quando definì Fenomeni paranormali incontrollabili “insapore come il purè della mensa scolastica”.
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