TITOLO ORIGINALE: Firestarter
USCITA ITALIA: 1984
USCITA USA: 11 maggio 1984
REGIA: Mark L. Lester
SCENEGGIATURA: Stanley Mann
GENERE: orrore, thriller, fantascienza
A dispetto dei suoi gusti discutibili in fatto di cinema e trasposizioni delle sue storie, Stephen King ha sempre avuto ragione su Fenomeni paranormali incontrollabili di Mark L. Lester, adattamento di uno dei suoi romanzi meno conosciuti. E dire che, malgrado la sommaria inezia e modestia di un comparto tecnico più pertinente ad un film per la televisione, la primissima parte del film riesce ad instaurare un’atmosfera morbosa, claustrofobica, soffocante, inquietante, avvicinandosi moltissimo all'essenza della materia originale. Purtroppo, più ci si avvicina ai titoli di coda, più quell’atmosfera miracolosa perde potenza a favore di una scrittura che mostra tutte le sue lacune ed inadeguatezze, di un racconto che cade vittima delle proprie ambizioni smodate, e di una messa in scena che abbonda di soluzioni action-horrorifiche alquanto mediocri, se non, in certi momenti, addirittura inesistenti.
Ormai si sa, lo si è detto in tutte le salse. I racconti e romanzi di Stephen King hanno sfamato e continuano a sfamare centinaia di persone, a Hollywood e non solo. Tuttavia, quasi come fosse una maledizione inventata dal suo stesso autore, è anche vero che pochissimi sono gli adattamenti dell’universo kinghiano che, oltre ad offrire qualcosa in termini prettamente cinematografici, riescono a comprendere e, dunque, a riproporre per davvero l'anima e l'essenza della materia originale.
Oltre a Shining di Stanley Kubrick, che gioca una partita tutta sua, i pochi che sono riusciti a confrontarsi e a vincere la sfida con gli incubi kinghiani sono Rob Reiner, che, con Stand By Me e Misery non deve morire, ha firmato due trasposizioni estremamente eleganti e funzionali, Brian De Palma e il suo magnifico Carrie - Lo sguardo di Satana, e, in tempi più recenti, Andy Muschietti, il quale, sulla scia dell’onda pop-nostalgica inaugurata da Stranger Things, è riuscito a restituire, seppur in parte, la complessità di una storia come quella di IT e non far rimpiangere la (bruttina) miniserie con protagonista Tim Curry - salvo poi farsi prendere la mano e mandare tutto a donne di facili costumi con la seconda parte.
In questo potpourri di morti violente, mostri demoniaci, sangue, allucinazioni, traumi, i cui principali responsabili sono sempre e comunque gli adulti e il loro mondo di incertezze e nevrosi, si trova anche Fenomeni paranormali incontrollabili. Pellicola del 1984 per la regia del dimenticato Mark L. Lester, già regista dello sci-fi scolastico Classe 1984 e, l’anno seguente, di Commando con protagonista Arnold Schwarzenegger, e traduzione di Firestarter (da noi, L'incendiaria), uno dei romanzi meno conosciuti di King, ma ciononostante principale fonte d’ispirazione per il personaggio di Undici nella già citata Stranger Things; essa segue le orme di Andy McGee, partecipante volontario di uno strano esperimento che gli donano alcuni poteri paranormali, tra cui la lettura e il controllo del pensiero. Abilità, queste ultime, che egli trasmette, in forma più violenta e incontrollabile, alla figlia Charlie, e che, allo stesso tempo, fanno gola ad un’agenzia governativa segreta simil CIA, che vuole controllarli per utilizzarli presumibilmente sul campo di battaglia. Braccati pertanto da squadre di men in black, capeggiati dal capitano Hollister, padre e figlia danno il via ad una fuga che potrebbe mettere a rischio la vita dell'intera nazione.
“È insapore come il purè della mensa scolastica”: con questi termini, di per sé abbastanza lapidari, il Re del Terrore definisce questo tentativo di road movie con accezione soprannaturale e di dramma familiare. E no, purtroppo non si tratta dell’ennesima cantonata di uno che ha definito Shining un tradimento bell’e buono e ha firmato un orrendo pasticcio come Brivido. In questo caso, le parole corrispondono alla realtà, o meglio, lo fanno una volta superata la prima ora di racconto.
Infatti, malgrado la sommaria inezia e modestia di un comparto tecnico più pertinente ad un film per la televisione (e questo, pur avendo, tra i produttori, Dino De Laurentiis, che lo stesso anno finanzierà pure il Dune di David Lynch), la primissima parte di Fenomeni paranormali incontrollabili riesce, forse pure per questa sua allure slabbrata, dimessa e pesta, combinata alla colonna sonora destabilizzante dei Tangerine Dream, ad instaurare un’atmosfera morbosa, claustrofobica, soffocante, inquietante, in cui l’orrore è invisibile e striscia sotto la superficie della pelle, della psiche, dell'inconscio, della nazione.
Un'idea, quest'ultima, che si avvicina più di quanto sembri al romanzo di Stephen King, il quale altro non è che una figurativizzazione e metaforizzazione delle ansie, del tensioni e dei traumi di un’America perfettamente inserita nel periodo della guerra fredda (“visto che non siamo in Russia”), della nuclearizzazione, degli esperimenti militari secretati, di una ritrovata fede nel giornalismo d’inchiesta a seguito del Watergate. Di un’America nella quale aleggiava ancora il fantasma del Vietnam, delle armi chimiche, delle morti, delle torture, della banalità del male, ma anche, per l'appunto, di tutti quegli scandali governativi che rivelarono come il nemico principale fossero, in realtà, proprio i corpi e le agenzie che tradizionalmente dovrebbero proteggere i contribuenti, ma che, al contrario, si scoprono cospirare alle loro spalle, tradirli, cacciarli, sfruttarli, torturarli, segregarli, ucciderli.
Purtroppo, più ci si avvicina ai titoli di coda, più quell’atmosfera miracolosa perde potenza a favore di una scrittura che mostra tutte le sue lacune di tono ed inadeguatezze drammaturgiche, di un racconto che cade vittima delle proprie ambizioni smodate, e di una messa in scena che abbonda di soluzioni action-horrorifiche alquanto mediocri, se non, in certi momenti, addirittura inesistenti.
E nulla possono una Drew Barrymore (reduce del successo di E.T.) a dir poco perfetta, un Martin Sheen sottoutilizzato, un David Keith a metà strada tra Jim Morrison e Kurt Russell, ed un George C. Scott intrigante e sui generis, per rinvigorire e ridare speranza ad una pellicola che, dal trash, trasloca infine nel cattivo gusto, culminando in uno degli showdown più infantili, fiacchi ed insopportabili a cui chi scrive abbia mai avuto la sfortuna di assistere.
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