TITOLO ORIGINALE: The 355
USCITA ITALIA: 12 maggio 2022
USCITA USA: 14 gennaio 2022
REGIA: Simon Kinberg
SCENEGGIATURA: Simon Kinberg, Theresa Rebeck
GENERE: azione, thriller, spionaggio
Al suo secondo lungometraggio, lo sceneggiatore e produttore Simon Kinberg dirige, co-scrive e produce uno spy movie che vorrebbe aspirare alle vette di Skyfall, Jason Bourne e gli ultimi Mission: Impossible, ma che invece si attesta nelle immediate vicinanze della produzione Netflix più svogliata. Non c’è estro, non c’è divertimento in ciò che si sta raccontando, non c’è quella tensione sessuale fondamentale per ogni spy movie che si rispetti, non c’è il senso della minaccia incombente, non c’è assolutamente niente in Secret Team 355, al di fuori di una gestione rovinosa di attrici di grande calibro e di moltissima confusione nella messa in scena dell'azione, così come nello sviluppo di una premessa commercialmente forte e di un intreccio soporifero che non riesce mai a ravvivare per davvero l’attenzione dello spettatore. Più che un attentato al patriarcato, uno al piacere della visione e alla sospensione dell'incredulità.
Come si fa a sbagliare così tanto un film come Secret Team 355? Come si fa a sprecare un cast simile, con attrici di respiro internazionale come Jessica Chastain, Diane Kruger e Penélope Cruz, e premesse che si inseriscono perfettamente la scia del movimento #MeToo, proponendo un’idea ed un inizio di saga all-women in cui la DC/Warner ha fallito clamorosamente e che nemmeno la Marvel è riuscita ad imporre? Come si possono ottenere tali livelli di bassezza da un soggetto che avrebbe potuto essere ed osare qualunque cosa, avvicinandosi là dove, forse, solo Nikita e Atomica Bionda sono riusciti a spingersi?
Una possibile risposta la si potrebbe trovare nel nome di Simon Kinberg, produttore altalenante e sceneggiatore di grandi successi commerciali come Sherlock Holmes, Mr. & Mrs. Smith e X-Men - Giorni di un futuro passato, quanto di flop rumorosissimi quali Jumper, X-Men - Apocalisse e X-Men - Dark Phoenix (che rappresenta pure il suo esordio dietro la macchina da presa). Ancora acerbo, inesperto e sbilenco nell’arte della messa in scena, figuriamoci nell’action, Kinberg dirige, produce e co-scrive (insieme a Theresa Rebeck) una pellicola [la sua seconda da regista] che, in poco più di due ore, commette tutti gli errori possibili e immaginabili di chi si ritrova a prendere in mano una macchina da presa per la prima volta.
D’altronde, l’andamento rovinoso di Secret Team 355 lo si può intuire già nelle sue primissime sequenze, dal modo in cui Kinberg, coadiuvato dal direttore della fotografia Tim Maurice-Jones, dispone e prepara l’azione. Quest’ultima, infatti, arriva in modo sgraziato, irregolare e confusionario sino al proprio culmine tensivo, per poi esplodere in un tripudio di macchine a mano traballanti, gru e droni utilizzati in modo scolastico, computer grafica insufficiente e panoramiche circolari che, da assolutamente superflue, diventano, una volta che iniziano ad essere utilizzate pure in momenti di dialogo elementari, a dir poco insopportabili.
Se una regola non scritta del cinema, specie di quello narrativo hollywoodiano, afferma che ogni movimento di macchina debba avere un senso ed una logica nell'economia della messa in scena, Kinberg è di tutt'altro avviso. Invero, le sue soluzioni visive rispondono e rimandano quasi ad una messa a nudo del budget e delle risorse a propria disposizione, piuttosto che all’effettiva presenza di uno sguardo e di un’idea alla base di ciò che sta riprendendo.
A questo gusto inesistente per l’immagine (qualcuno dovrà senz'altro rispondere del vestitino a fiori rosa fatto indossare alla Chastain) e a questo approccio, da un lato, pedissequo per quanto riguarda lo sviluppo narrativo, tra doppi giochi e scambi insospettabili, e la scrittura dei personaggi, dei loro drammi individuali e delle loro relazioni sentimentali, dall’altro, eretico nei confronti delle regole formali e leggi interne dello spy movie, l’imbarazzante macchina-cinema di Secret Team 355 affianca una gestione a dir poco vergognosa dei propri volti attoriali.
Jessica Chastain, coinvolta nel progetto anche in veste di produttrice (sigh!), non è mai stata così poco seducente e affascinante e così goffa, impacciata ed imbarazzante nei panni di un’agente speciale della CIA altamente addestrata, specializzata nel corpo a corpo, coinvolta più di quanto vorrebbe nella relazione col collega e agente Nick Fowler (un Sebastian Stan piattissimo). Penélope Cruz, d’altro canto, riesce, con un singolo, agghiacciante ruolo, ad azzerare tutta l’evoluzione che la sua immagine divistica ha attraversato in questi ultimi anni, reinterpretando lo stereotipo che, di lei, hanno gli americani e mostrando, sì e no, due espressioni (basita e impaurita) per tutto il film - in questo momento, farebbe bene a chiamare il proprio agente.
Più centrate di queste due, Diane Kruger e Lupita Nyong'o. La prima, nei panni della solita agente algida, altezzosa, dal passato turbolento, dei servizi segreti tedeschi. La seconda, l’ennesimo genio della tastiera, esperta di cybersecurity, decrittazione ed infiltrazione informatica, la più sentimentale ed emotiva del gruppo. Infine, fanno la loro comparsa Fan Bingbing, grande star cinese che rappresenta - neanche a dirlo - la quota orientale del film, tra erbe, tè medicinali e arti marziali; ed Édgar Ramírez che… è presente. E tanto basta.
Ebbene, queste cinque agenti donne tutte provenienti da cinque agenzie governative, parti del mondo e contesti socio-culturali diversi (che ciononostante l’infantile concezione geopolitica dello script del duo Kinberg-Rebeck uniforma, banalizza e riduce all’osso) dovranno superare le antipatie e rivalità reciproche, e unire le forze per impedire che un hard disk, contenente un software che potrebbe dare il via ad una terza guerra mondiale, finisca nelle mani sbagliate. Questo, in un racconto che vorrebbe puntare alle vette di tutti quei film, tra cui Skyfall e Mission: Impossible - Protocollo fantasma, che annunciano la fine dell’era delle spie e l'inizio della guerra a colpi di click, contro fantasmi e nemici senza un volto ben definito.
Purtroppo per lui, Secret Team 355 si aggira più che altro nelle vicinanze di un qualsiasi thriller Netflix poco ispirato o, ancora peggio, negli stessi territori dello sgangherato Domino di Brian De Palma.
Non c’è estro, non c’è divertimento in ciò che si sta raccontando, non c’è quella tensione sessuale fondamentale per ogni spy movie che si rispetti, non c’è il senso del pericolo, della minaccia, dell’armageddon incombente, non c’è assolutamente niente in Secret Team 355, al di fuori di moltissima confusione nello sviluppo di una premessa commercialmente forte e di un intreccio soporifero che, malgrado qualche piccola sorpresa sul finale, non riesce mai a ravvivare per davvero l’attenzione dello spettatore.
Tutti elementi, quelli finora elencati, che vanno a comporre il ritratto di un intrigo internazionale a prova di neonato, morto ancor prima di nascere, che, pur essendo perfettamente allineato con il presente, appare vecchissimo, fiacco, stancante, sin dai suoi titoli di testa. Insomma, Secret Team 355 non è soltanto un prodotto di cui, tra qualche mese, nessuno avrà memoria, ma forse, addirittura, la peggior cosa che potesse capitare alle donne dopo il mansplaining. Più che un attentato al patriarcato, uno al piacere della visione e alla sospensione dell'incredulità.
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