TITOLO ORIGINALE: Competencia oficial
USCITA ITALIA: 21 aprile 2022
REGIA: Mariano Cohn e Gastón Duprat
SCENEGGIATURA: Mariano Cohn, Gastón Duprat, Andrés Duprat
GENERE: commedia
A cinque anni dal magnifico Il cittadino illustre, gli argentini Mariano Cohn e Gastón Duprat tornano a scrivere e dirigere insieme, attaccando come loro solito la vacuità e la falsità di un mondo artistico ed intellettuale frustrato, nervoso, mendace, ipocrita, fondamentalmente umano. Ciò nonostante, Finale a sorpresa non è soltanto una commedia acre e pungente che, a partire da una premessa tanto assurda quanto geniale, sviluppa un cinico ed ingegnoso racconto a sketch sul dietro le quinte del cinema, ma è più che altro un imperdibile studio ed un nitidissimo esercizio di scrittura di tre personaggi, apparentemente dissimili, tuttavia accomunati da un istinto verso la competizione, la prevaricazione, la bugia, la beffa, la recita, la farsa, la dissimulazione, al fine di imporre sé stessi, la propria visione, le proprie certezze e convinzioni, e autoconvincersene al contempo. Un film sorprendente, eccezionale, irripetibile, inequiparabile, impreziosito ulteriormente da alcune delle migliori prove d'attore di Penelope Cruz, Antonio Banderas e Oscar Martínez.
“Spesso le cose più importanti sono quelle che l’occhio non coglie” rivela la regista Lola Cuevas agli invitati di un party di inizio riprese, in una delle ultime sequenze di Finale a sorpresa - Official Competition, nuovissima epifania della coppia di registi argentini Mariano Cohn e Gastón Duprat. Questo rivela la metteur en scène, come direbbero alcuni, ovvero letteralmente colei che tenta di mettere in scena, di inscrivere l’imprevedibilità del mondo, delle persone, delle cose all’interno di un riquadro delimitato, finito, preciso; qualche istante prima di venire investita, sopraffatta e disincantata del tutto dalla potenza del caos, dell’inaspettato, del balzano, di quel finale a sorpresa a cui fa esplicito e didascalico riferimento il titolo italiano, proprio in seguito alla vista di una di queste “cose”. Una minima e trascurabile percezione che fa deragliare il film di Cohn e Duprat rispetto alla traiettoria prefissata, abbandonandolo alla vita, al mondo così com’è, alla nostra vita e al nostro mondo, o - per usare le parole dell’incantevole sceneggiatura scritta dalla coppia di cineasti insieme ad Andrés Duprat - alla domanda: “Quando finisce un film? Adesso? Dopo i titoli di coda? All’uscita dal cinema? Il giorno dopo? Una settimana dopo? Un mese? Ogni volta che ci pensiamo?”.
Ciò detto, Finale a sorpresa non è soltanto una commedia acre e pungente che, a partire da una premessa tanto assurda quanto geniale: un nome miliardario della farmaceutica in cerca di prestigio decide di commissionare ad una regista imprevedibile, elettrica, indomabile (come i suoi arruffati capelli rossi), ma di indubbio talento, la regia dell’adattamento cinematografico del libro di un premio Nobel che lui stesso nemmeno ha letto; sviluppa un cinico, esilarante ed ingegnoso racconto a sketch sul dietro le quinte del cinema e sui suoi processi artistici, creativi e produttivi.
Ma è più che altro un imperdibile studio ed un nitidissimo esercizio di scrittura di tre personaggi, apparentemente dissimili, asimmetrici, speculari, al contempo opposti e complementari, tuttavia accomunati da un istinto verso la competizione, la prevaricazione, la bugia, la beffa, la recita, la farsa, la dissimulazione, al fine di imporre sé stessi, la propria visione, le proprie certezze e convinzioni, e autoconvincersene al contempo.
Per usare le accortissime parole di Pier Maria Bocchi, Finale a sorpresa è “una vertiginosa messa in abisso della superficie e insieme della profondità delle cose”.
Ciò nonostante, non fatevi spaventare da simili epiteti: quella combinata e messa insieme dal duo argentino è, sì, una commedia acida, bizzarra, insolita, riconducibile a pochi affini, sconcertante, ma è anche una classica commedia di Cohn e Duprat, dunque un'opera lucidissima, stimolante e cristallina, che, proprio nel segno di questa sua razionalità e chiarezza d’intenti (ulteriormente ribadite da una messa in scena ed un montaggio rigidi e rigorosi), porta avanti numerosi discorsi - alcuni pure abbastanza specifici, quasi da “addetti ai lavori” -, senza mai mostrare il fianco a cerebralismi, arroganze e sofismi vari.
Anzi, a lungo andare, il cinema e tutto ciò che lo riguarda diventano probabilmente il polo di minor interesse della pellicola - per intenderci, Finale a sopresa non vuole essere affatto una versione comica di opere meta come Effetto notte, The Artist, Dolor y gloria o Mank -, che preferisce invece il racconto e la messa a nudo di un’umanità condivisa, frustrata, nervosa, mendace ed ipocrita, attraverso un processo di rivelazione, ridimensionamento (di carattere concreto, spaziale, scenografico) e sabotaggio - di intensità creativa e genio compositivo sempre crescenti - dell’attrazione, del carisma, dell’importanza, dell’aura, del fervore, della serietà, finanche del pregio e della necessità della macchina cinematografica.
Finale a sorpresa diventa perciò un testo su tre attori che interpretano due attori e una regista, che, a loro volta, non fanno altro che recitare, mascherare, mimetizzare, nascondere, mentire, sdoppiarsi. Una recita, una bugia ed una costruzione che - proprio come accade nella conclusione dell’opera che Lola stessa dovrà dirigere - tutti noi, “abitanti del villaggio”, forse per inclinazione, forse per abitudine, accettiamo imperturbabili, spesso tentando addirittura di inquadrarle, ricondurle e ridurle ai limiti di un logicità e ragionevolezza, che, come ben dimostra la pellicola, non riescono ad arginare il sopravvento del caos e del caso. Ad imbrigliare il film vero: il nostro, quello che non finisce “dopo i titoli di coda” e nemmeno “all’uscita del cinema”.
In tal senso, se, come anticipato sopra, l’elemento nitido, consapevole, funzionale e calcolato dell’opera è ben corrisposto da una regia ed una fotografia che prediligono inquadrature fisse, sistematiche, eloquenti, grandangolari, capaci di lavorare con e sullo spazio in modi sempre nuovi ed originali, intervallate ogni tanto da qualche leggero movimento di macchina; sono i personaggi e gli attori che si muovono, agiscono ed interagiscono all’interno di questi quadri la cifra prorompente, incontenibile ed irrefrenabile di Finale a sorpresa.
La competizione ufficiale del titolo originale è dunque, anche e soprattutto, quella che si viene a creare tra tre attori formidabili e perfettamente sinergici in un tris di personaggi notevoli, a loro volta sublimati da un accuratissimo lavoro di casting, sulle cui tensioni, intese e attriti, Cohn e Duprat puntano la riuscita su schermo di gran parte delle situazioni.
Da leggere in questi termini il lavoro svolto su Penélope Cruz, che, per interpretare un personaggio imprevisto, enigmatico, irrequieto, continuamente sconcertante, come quello di Lola Cuevas, viene sottratta dalla propria zona di comfort e, così facendo, resa inedita e disorientante in un ruolo tra l’artista libertina, bislacca, crudele ed iperbolica e la madre premurosa, attenta, ma sessualmente procace. I suoi figli sulla e per la scena, litigiosi, dispettosi, infantili, fermi nelle loro convinzioni, sono i due attori che ella dovrà dirigere in un racconto di rivalità che vede protagonisti due fratelli agli antipodi, ma interscambiabili ed uguali nell’impotenza e nella mediocrità.
Da un lato, troviamo quindi l’Iván Torres interpretato da uno splendido Oscar Martínez, un guru della recitazione impegnata e di un approccio psicologico alla recitazione, personalità snob, sinistroide ed insopportabile, fervido sostenitore dell'ideale puro, serio, spirituale, umile, non mercificabile, competitivo o a solo scopo di lucro, ma contemporaneamente superfluo ed inutile del mestiere(!) dell’attore.
Dall’altro, spicca invece il Félix Rivero di un Antonio Banderas che, dopo la meravigliosa interpretazione (lì di un regista) in Dolor y Gloria, riconferma la propria rinascita artistica nei panni di un’imitazione calzante, beffarda e pungente del sé stesso degli anni d’oro. Rivero, come il Banderas che fu, è infatti la tipica star latina assimilata, per non dire comprata, dall’industria hollywoodiana, sex symbol dalle doti attoriali discutibili, ma dall’indubbio fascino, donnaiolo, spocchioso e arrogante, uno di quegli interpreti onnivori, impegnati nel social(e), amati dalle giurie dei grandi festival internazionali, che, nonostante la presunzione e l’insolenza, venderebbero volto e corpo a chiunque, pur di ottenere un minimo di fama, guadagno e comfort.
Questa trinità eterogenea, incompatibile, disarmonica dovrà allora unirsi per dar vita a due grandi film (più uno), a qualcosa che lasci il segno, ad un'analisi umana che vive delle proprie contraddizioni e dei propri spazi incerti, che costruisce e parallelamente si stringe e asserraglia in un mondo a sé, in una visione sorprendente, eccezionale, irripetibile di cinema, e che diventa pure preziosa testimonianza del livello, della vivacità e delle risorse di una commedia spagnolo-argentina che, specie se confrontata con quella nostrana, appare più fresca e sentita ad ogni sua nuova torsione. Ma che, come vedrete nel finale di Finale a sorpresa, è e sarà sempre e comunque meno utile e vero di un ponte.
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